Russia: italiani, tornate a investire
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Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – La Federazione russa è sempre più interessata ad attrarre investimenti sul suo territorio, piuttosto che importare prodotti. È il messaggio emerso in modo chiaro nel corso dell’importante conferenza bilaterale italo-russa tenutasi presso la Farnesina lo scorso 3 luglio. L’incontro, aperto alle imprese e agli stakeholder interessati, ha visto protagonisti il ministro degli Esteri italiano Angelino Alfano e il vicepremier russo Arkady Dvorkovich, accompagnato
da una folta e qualificata delegazione governativa.
[pubblicita_articolo allineam=”destra”]Il 2017 si sta rivelando un anno molto positivo per l’economia russa, a dispetto delle sanzioni. Il prodotto interno lordo sta crescendo a una media più alta di quella mondiale (+1,3 per cento nel primo quadrimestre), dopo un pessimo 2015 (-3 per cento circa) e un 2016 stagnante. Il debito pubblico resta molto basso (15 per cento del Pil), così come il carico fiscale, mentre l’inflazione si è ormai stabilizzata al 4 per cento: un risultato molto positivo per un paese che appena due anni fa registrava un aumento dell’indice dei prezzi al consumo attorno al 16 per cento, in virtù del quale la Banca centrale russa prevede di abbassare significativamente nella seconda metà dell’anno in corso i tassi di interesse. Anche la disoccupazione si mantiene a livelli contenuti: è pari al 5 per cento della forza lavoro disponibile, un dato che, stando a quanto affermato dal viceministro dello Sviluppo economico Nikolaj Podguzov, potrebbe determinare nel paese, nei prossimi anni, una penuria di manodopera da soddisfare aprendo le frontiere a lavoratori esteri.
Nel corso della conferenza il vicepremier Dvorkovich ha risposto con forza alle accuse di protezionismo economico rivolte a Mosca dall’Occidente. Glissando sulle questioni commerciali, ha tenuto a rimarcare come la Russia sia pronta «ad accogliere investitori e imprenditori stranieri, equiparandoli a quelli locali e addirittura favorendone l’attività, a patto che essi localizzino le loro produzioni e le loro aziende». Il quadro macroeconomico da questo punto di vista appare favorevole, tanto è vero che la Banca mondiale ha alzato il rating della Federazione russa, portandola al 40esimo posto per affidabilità, dal 112esimo che occupava solo pochi anni fa.
I primi risultati
Ciò che attualmente preme ai russi è aumentare il proprio export e diversificare gli investimenti stranieri, tradizionalmente concentrati nel settore degli idrocarburi. L’obiettivo è implementare le infrastrutture (in particolar modo quelle viarie e ferroviarie), la meccanica di precisione, il settore chimico, quello turistico (nel 2018 ci saranno i mondiali di calcio) e perfino l’agricoltura, che sta vivendo uno straordinario boom produttivo, al punto che il raccolto di grano di quest’anno è tornato ai livelli del periodo sovietico e non sembra dover diminuire nei prossimi anni, ma, al contrario, sarebbe destinato ad aumentare ulteriormente.
Rispetto all’Italia, l’ambasciatore Sergey Razov e l’intera delegazione hanno ribadito come il rapporto con Roma sia da considerare un «rapporto prioritario e privilegiato». Semmai il rammarico è che il regime sanzionatorio abbia determinato un clima di prudenza negli scambi e negli investimenti, oltre che un calo del nostro export alimentare e manifatturiero, penalizzando soprattutto l’Italia. In realtà, nel corso del primo quadrimestre del 2017 l’import-export italo-russo è aumentato del 25,5 per cento dopo la brusca discesa verificatasi in questi anni, che ha portato l’interscambio dei due paesi dal picco toccato nel 2013 (con un volume complessivo pari a circa 40 miliardi di dollari) ai 13 miliardi dello scorso anno.
La proposta avanzata dai russi al nostro paese, però, si concentra soprattutto sull’offerta di aprire il paese agli investimenti. Attualmente la presenza italiana è meno significativa se confrontata con quella di altri paesi occidentali (Germania, Francia e Stati Uniti innanzitutto), nonostante le nostre pionieristice attività già in periodo sovietico (basti ricordare gli impianti Fiat e Eni già negli anni Cinquanta, in piena guerra fredda). Inoltre essa si concentra particolarmente nell’area di Mosca, laddove l’istituzione di ben 26 “zone economiche speciali” disseminate su tutto il vasto territorio russo potrebbe rivelarsi maggiormente attrattiva in virtù delle ampie agevolazioni fiscali che tali zone garantiscono.
A supporto delle iniziative degli investitori sono attive in Russia due agenzie governative: il Russian Export Center e l’Agenzia per lo sviluppo tecnologico. I primi risultati sono già visibili: nei primi mesi dell’anno in corso gli investimenti italiani in Russia sono addirittura triplicati. Il tema, però, è comprendere quanto la volontà di Mosca di attrarre capitali, concentrandosi meno sugli aspetti commerciali delle nostre relazioni bilaterali, sia funzionale agli interessi dell’Italia come sistema-paese.
Foto Ansa
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