Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Una polemica estiva ha costretto l’opinione pubblica tedesca ad affrontare il tema delle relazioni con la Russia. Motivo del clamore, la candidatura di Gerhard Schröder a consigliere d’amministrazione di Rosneft, compagnia petrolifera parastatale e braccio operativo della politica energetica di Putin. La presenza dell’ex cancelliere socialdemocratico tra i nomi proposti dal primo ministro Medvedev ha destato non poco imbarazzo nel suo partito, già fiaccato da una campagna elettorale in salita. La nomina è puramente formale e Schröder sarà eletto il 29 settembre dall’assemblea dei soci come membro indipendente del board senza ruoli esecutivi.
Rosneft è un’azienda poco privata e molto pubblica, legata a doppio filo con il Cremlino che ne detiene una quota di maggioranza. Nata nel 1995 ereditando quei pochi asset petroliferi sovietici non depredati dagli oligarchi, si è poi trasformata in colosso energetico per espropriazione, vale a dire sulla rovina più o meno indotta di altre compagnie russe come Yukos e Tnk. È soprattutto con Putin al potere che è cresciuta, passando da una quota di mercato in Russia del 4 per cento a inizio anni duemila, sino all’attuale 40 per cento. Caratteristica di Rosneft è sapersi sporcare le mani operando in scenari ad alto rischio. Di recente attivi in Venezuela, mantengono buone relazioni con il regime di Al Sisi in Egitto, sono interlocutori della Noc libica e sostengono i curdi nel nord dell’Iraq. In sostanza, il business di Rosneft va a braccetto con la politica estera del Cremlino e non è nemmeno un caso che il motto aziendale reciti «per il bene della Russia».
Da un lato la compagnia petrolifera è sotto sanzioni occidentali, che ne limitano l’accesso a capitali e tecnologia stranieri. Dall’altro Rosneft ha interessi notevoli in Germania, avendo previsto investimenti per 600 milioni di euro nei prossimi cinque anni, soprattutto per la modernizzazione delle raffinerie del nord-est. Ed è puntando su questi interventi che Schröder ha difeso la propria posizione, accusando i media di voler alimentare un clima da guerra fredda. La relazione speciale di Schröder con il mondo russo aveva già destato critiche in passato. Negli ultimi giorni del suo mandato aveva firmato l’accordo sul gasdotto Nord Stream, per poi assumere dopo tre mesi il ruolo di presidente del consorzio che si sarebbe occupato della costruzione del corridoio baltico. In piena crisi ucraina, aveva festeggiato invece i suoi 70 anni a San Pietroburgo, invitando (e abbracciando) l’amico Putin. Questa volta, per il partito, l’ex cancelliere ha superato il limite.
L’inedita apertura dei liberali
Eppure, nonostante la frustrazione mostrata, l’Spd resta un partito legato a Mosca. L’inizio di questa relazione privilegiata risale a quella Ostpolitik inaugurata da Willy Brandt, che gli valse la copertina del Time come uomo dell’anno nel 1970 e il Nobel per la pace nel 1971. La normalizzazione dei rapporti con la Ddr passò da un riavvicinamento con l’Unione Sovietica, instaurando un canale preferenziale che è sopravvissuto al crollo del Muro. Ancora oggi esponenti di spicco dell’Spd come Matthias Platzeck o Rolf Mützenich sono favorevoli al dialogo con la Russia. Si è iniziato a parlare di raddoppio del Nord Stream con Sigmar Gabriel al ministero dell’Economia, mentre Frank-Walter Steinmeier, oggi presidente federale, si era espresso pubblicamente contro le sanzioni nel maggio 2016 da ministro degli Esteri. L’occupazione della Crimea ha portato l’Spd a una posizione più dura, ma lievemente mitigata: sostegno alle sanzioni, lasciando la porta aperta alle trattative.
L’impatto della polemica sulla contesa elettorale non è stato dirompente. Anche nel loro confronto televisivo, Schulz e Merkel si sono limitati a definire schlecht, sbagliata, la scelta dell’ex cancelliere. Vertici dell’Spd come il segretario generale Hiel e il tesoriere Nietan hanno preso le distanze liquidandola come scelta personale, mentre la Cdu non ha gettato troppa benzina sul fuoco.
Con il centrosinistra impossibilitato a esporsi per via dell’affaire Schröder-Rosneft, le istanze politiche per il riavvicinamento con Mosca sono arrivate da chi non ti aspetti. A metà agosto Christian Lindner, vero artefice dell’exploit dei liberali dell’Fdp, ha proposto di affrontare separatamente la questione della Crimea dai discorsi sulle future relazioni con la Russia, per evitare uno stallo insuperabile. Quarta forza politica del paese, l’Fdp è assieme ai Verdi il principale candidato a stampella della Cdu nella coalizione di governo. Dovrà dunque tenerne conto Merkel nei negoziati, che dovrebbero andare per le lunghe.
Anche il leader del braccio bavarese dei cristiano-democratici, Horst Seehofer, aveva chiesto a gennaio la fine delle sanzioni e il reinsediamento della Russia nel G8. Il capo della destra euroscettica dell’AfD, Frauke Petry, è volata spesso a Mosca, alimentando timori di un’influenza del Cremlino sulle elezioni.
Sensibili anche i Verdi
Il riavvicinamento alla Russia è sempre più una politica mainstream in Germania. In un sondaggio del Pew Research Center pubblicato ad agosto, un quarto di tedeschi ha riferito di avere fiducia in Putin, mentre solo l’11 per cento in Trump. Si tratta del differenziale di apprezzamento più alto nell’Unione Europa a favore di Putin, dopo la Grecia. C’è da capire se la questione dell’appeasement diventerà un cavallo di battaglia dell’opposizione o addirittura del governo, ammantato da una necessità strategica e, in un certo senso, ecologica. Perché al momento Mosca è il miglior alleato per ridurre il peso del carbone nel mix energetico tedesco, oggi intorno al 40 per cento. Con l’uscita dal nucleare già decisa, la transizione energetica della prima economia europea ruota tutta attorno al gas. La sostituzione del carbone con il gas è appena iniziata in Germania, anche grazie ai nuovi impianti di cogenerazione ad alta efficienza (Chp): un’analisi della Confindustria tedesca (Bdew) riporta l’aumento della domanda di metano nel 2016 di 16,5 TWh, che va a rimpiazzare la diminuzione di 12,2 TWh della generazione da carbone e lignite. Un tema a cui restano sensibili i Verdi, altra formazione politica fondamentale per formare il quarto governo Merkel.
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