«Rivedere la spesa pubblica è un processo lento e dettagliato. Una cosa che, dagli anni Novanta in poi, non hanno fatto né il centrodestra né il centrosinistra». E «la crescita non si ottiene né con la spesa pubblica né, tantomeno, con i debiti; per ottenerla servono le riforme strutturali di cui il paese ha più che mai bisogno». A parlare è Nicola Rossi, senatore della Repubblica iscritto al gruppo misto nonché esponente di Italia Futura, che per tempi.it ha commentato i punti contenuti nell’Agenda Monti, il programma elettorale con cui il premier uscente ha lanciato la sua “salita” in politica.
Rossi, nell’Agenda Monti si dice di voler attuare in modo rigoroso il pareggio di bilancio strutturale a partire dal 2013. Come?
Le decisioni che porteranno al pareggio di bilancio strutturale nel 2013, ossia al netto degli effetti del ciclo economico sul bilancio stesso, sono state già prese nel 2012; basta, pertanto, consultare, in termini preventivi, quanto scritto nel documento di finanza pubblica. A marzo di quest’anno, invece, potremo consultare i dati sull’anno appena trascorso.
E la riduzione, a partire dal 2015, dello stock di debito pubblico, per un importo pari a un ventesimo ogni anno, fino al raggiungimento dell’obiettivo del 60 per cento del prodotto interno lordo, invece, come si ottiene?
Non necessariamente serviranno manovre; basta che cresca il pil nominale. L’obiettivo, infatti, è quello di ridurre di un ventesimo all’anno la quota eccedente il 60 per cento del rapporto debito/pil, ossia il 66 per cento, essendo che il rapporto debito/pil ora è pari al 126 per cento. Questo significa un’esigenza di ridurre il rapporto debito/pil del 3 per cento all’anno e per ottenerlo basta che i prezzi crescano del 3 per cento all’anno come normalmente avviene. Il problema, piuttosto, è che in Italia non cresce da tempo il pil reale.
Se sarete al governo, cosa farete per sostenere la crescita?
La crescita non si ottiene né con la spesa pubblica né, tantomeno, con i debiti; per ottenerla servono le riforme strutturali di cui il paese ha più che mai bisogno: privatizzazioni, liberalizzazioni, riforma della pubblica amministrazione e finanze pubbliche sane.
Quali liberalizzazioni e quali privatizzazioni avete in mente?
A dovere essere liberalizzati sono i servizi come i trasporti, l’elettricità, il gas e le poste; privatizzati, invece, settori come le ferrovie e la Cassa depositi e prestiti.
E per la pubblica amministrazione?
Ci sono margini per ridurre la spesa. Sicuramente recupereremo il programma di riduzione del numero delle province che i partiti oggi in parlamento, quelli che hanno finora appoggiato Bersani e Berlusconi, hanno affossato.
Nell’agenda si parla anche di vendere immobili e asset di patrimonio pubblici. Quali e per quale importo?
Prima di parlare di quali immobili e per quale importo, occorre che il 50 per cento dei comuni, che ancora non hanno comunicato all’amministrazione centrale quali sono questi immobili e asset a disposizione, lo facciano presto. Se non lo fanno, con loro occorre durezza, la stessa durezza che è impiegata con gli evasori fiscali. Perché impedire una corretta valorizzazione degli immobili è grave quanto non pagare le tasse.
Per quanto riguarda la revisione della spesa pubblica, invece, da dove pensate di partire?
Rivedere la spesa pubblica è un processo che deve essere lento e molto dettagliato. Una cosa che, dagli anni Novanta in poi, non hanno fatto né il centrodestra né il centrosinistra.
Si è parlato della necessità di ridurre le tasse che gravano su famiglie e ceto medio. Voi cosa farete?
Già la legge di stabilità, nella sua versione originaria, prevedeva la riduzione delle imposte dirette. L’impressione resta quella che si debba allestire un piano pluriennale di riduzione dell’imposizione fiscale contestualmente alla riduzione della spesa pubblica.
Per le imprese, invece? Ridurrete il costo del lavoro?
Abbiamo in mente di applicare integralmente e completare il “piano Giavazzi”, ossia l’azzeramento degli incentivi alle imprese per destinare le risorse così liberate allo sgravio fiscale. L’attuale sistema di incentivi alle imprese, infatti, così com’è, non garantisce crescita e sviluppo.
L’Imu per il non profit e le scuole paritarie è stata una mazzata. Cosa farete per sostenere queste realtà? L’agenda non dice nulla in proposito.
Quello che si può dire è che molto del modello di welfare prossimo venturo dovrà inevitabilmente poggiare sul privato non a fini di lucro. Molti dei servizi oggi offerti dal pubblico, infatti, dovranno comunque essere offerti e il privato dovrà essere più robusto.
Per quanto riguarda l’istruzione, invece?
Il sistema di istruzione obbligatoria e superiore è la base della crescita. L’esigenza prima non è tanto quella quantitativa legata alle assunzioni, quanto piuttosto, la necessità di qualificare le assunzioni. Alcune università dovranno godere di autonomia e specializzazione sufficienti per garantire questa qualità. Non tutte, però, perché non è detto che ogni territorio debba avere la sua università.