
Rossi (Cern): «Ecco i nuovi risultati sulla particella di Dio»
Il Cern di Ginevra (Organizzazione europea per la ricerca nucleare) ha rivelato gli ultimi dati sulle analisi del “bosone di Higgs” (o “bosone di x”), l’unica particella ancora sconosciuta all’interno del modello standard, che indaga le strutture degli elettroni, dei protoni e dei neutroni. Secondo gli scienziati, l’esistenza del bosone, ipotizzato dal fisico britannico Peter Higgs oltre 40 anni fa, rende possibile la massa. I nuovi dati restringono il campo e ogni dubbio dovrebbe essere fugato entro il 2012.
A un seminario gremito, organizzato oggi a Ginevra dal Cern, sono stati presentati i primi dati. Secondo Fabiola Gianotti, coordinatrice dell’esperimento Atlas, l’intervallo in cui con maggiori probabilità si potrebbe rinvenire il bosone di Higgs, si trova ai livelli di energia più bassi: tra 124 e 126 miliardi di elettronvolt (Gev), ciascuno con uno scarto compreso fra 2,5 e 3 deviazioni standard. Vale a dire che c’è ancora un margine di errore, anche se molto ridotto. Anche se si è molto vicini alla scoperta, questo termine non è mai stato usato al seminario perché gli scienziati non hanno ancora la certezza di avere trovato il famoso bosone. Lucio Rossi, direttore del Gruppo Magneti e Superconduttori per il Progetto Lhs, spiega a Tempi.it le implicazioni di questa ricerca.
Innanzitutto, cos’è il “bosone di Higgs”? Perché è chiamato “particella di Dio”?
«Il “bosone di x” assegna la massa a tutte le altre particelle, un atto che solo Dio potrebbe fare. È chiaro: la particella non è Dio! L’epiteto si origina da un titolo fortunato del libro di Leon Lederman, “La particella di Dio”. Per quanto mi riguarda, però, la scoperta definitiva del “bosone di Higgs” confermerebbe la complessità del reale e renderebbe difficile affermare che tutto sia nato dal caso. Nel seminario a cui hanno partecipato le due collaborazioni principali del Cern, Atlas e Cms, sono stati rivelati alcuni risultati promettenti. Tuttavia, non hanno annunciato la conferma definitiva della scoperta. Ci vogliono nuovi esperimenti per trasformare gli indizi ottenuti finora in certezza».
Ha avuto modo di lavorare direttamente a questo progetto?
«Sì, come responsabile del Large Hadron Collider, ma già all’università degli Studi di Milano ho lavorato con Atlas per il suo sviluppo teorico. Alla ricerca lavorano più di 2000 persone».
Qual è l’importanza della localizzazione del “bosone di Higgs“?
«È un grosso successo del modello standard. Significa che la nostra teoria funziona. Ma non sappiamo se troveremo tutte le proprietà della particella che ci aspettavamo. Abbiamo una fondata certezza della sua esistenza ma non ancora delle sue caratteristiche. Questo aprirà a nuove ricerche, perché la domanda dell’uomo è inesauribile. E il nostro lavoro è interrogare la realtà».
Che conseguenze avrà questa scoperta?
«Non avrà una ricaduta immediata. Non sappiamo dove possono arrivare le applicazioni tecniche di una novità scientifica. Quando hanno scoperto gli elettroni, ci trovavamo alla fine dell’Ottocento, e per l’elettronica abbiamo aspettato altri cinquant’anni».
La scoperta del “bosone di Higgs” confuta la teoria della relatività, come sostengono molti scienziati?
«No, non mette in scacco Einstein. La sua teoria spiega tantissimi fenomeni che, per esempio, la fisica di Newton affrontava in modo inadeguato. Così, le nuove scoperte non invalidano quelle precedenti ma le integrano. Perché nella scienza non ci si ferma mai: c’è sempre qualcosa ancora da scoprire».
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