Roberto Formigoni
Articolo tratto dal numero di settembre 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.
Metà luglio. Le agenzie di stampa e i siti internet riportano la notizia che il tribunale di Cremona ha giudicato non colpevoli, «perché il fatto non sussiste», l’ex governatore della Lombardia Roberto Formigoni, l’ex direttore generale dell’Azienda ospedaliera di Cremona Simona Mariani e l’ex direttore generale dell’assessorato regionale alla Sanità Carlo Lucchina. I giudici ci hanno messo pochissimo a confermare quel che la procura, tramite il pm Francesco Messina, aveva già rilevato: i tre non hanno commesso alcun reato. Nello specifico, Formigoni, Lucchina e Mariani erano stati accusati a vario titolo di aver favorito nel 2011 un’azienda nelle gare per la fornitura di un apparecchio diagnostico. In particolare, Formigoni era stato accusato di aver ricevuto utilità e una cospicua somma in contanti tramite l’ex consigliere lombardo di Forza Italia, Massimo Guarischi che, nel frattempo, era stato condannato in via definitiva a 5 anni per corruzione.
Sanità, utilità, corruzione, un faccendiere intermediario: ricorda qualcosa? Il giorno dopo sui giornali la notizia è stata sì riportata in qualche trafiletto, ma solo Vittorio Feltri sulla prima pagina di Libero e, si parva licet, Tempi, hanno unito i puntini degli elementi di cronaca per formulare il seguente quesito: come è possibile che due processi sostanzialmente simili, quello di Milano sulla Maugeri e quello di Cremona, per ambito (sanità), per modalità (un favore a un amico, qui Guarischi là Daccò), per tipo di corruzione (utilità), portino a due esiti opposti? Perché nel primo caso Formigoni è stato condannato a 5 anni e 10 mesi per corruzione (5 mesi trascorsi nel carcere di Bollate, ora ai domiciliari) mentre nel secondo è stato assolto? Era sbagliata la prima sentenza o la seconda?
Formigoni, cosa è successo?
È successo che un pm coscienzioso ha seguito il processo, ha guardato le carte, ha proposto l’assoluzione. E un tribunale che non si è fatto spaventare dal can can mediatico che dava per scontata una mia seconda condanna, ha dato retta a quel pm, confermando la sua decisione.
D’accordo, ma lei è più arrabbiato o più contento per questa sua assoluzione?
Sono sentimenti che provo in ugual misura. Sono contento che sia arrivata per me l’ennesima assoluzione, ma sono sbalordito che, a parte qualche osservatore che ha avuto il coraggio di scriverlo, nessuno abbia osato, almeno, porre qualche domanda. Perché due processi quasi identici per accusa, condizioni ambientali, presunto reato, con Daccò di là e Guarischi di qua, hanno portato a verdetti opposti? Pongo una domanda.
E ora?
E ora ho saputo che i legali di Guarischi, che per questa storia è stato anche in carcere, hanno preannunciato ricorso. D’altronde, se Formigoni non è stato corrotto, come può Guarischi essere un corruttore? Insomma, la vicenda non è ancora finita.
Però è finita l’altra vicenda, quella della Maugeri per la quale lei è stato condannato in via definitiva.
Io ho sempre proclamato la mia innocenza, ma mi sono conformato alla sentenza perché sono cristiano e perché sono un uomo delle istituzioni, sebbene continui a pensare, come ha detto il mio avvocato, Franco Coppi, il più grande penalista italiano, che sono stato «condannato senza colpa e senza prove».
Eppure i suoi avversari non sembrano riconoscerle nemmeno questo.
Io ho accettato tutto. Ho accettato di andare in carcere in base a una legge, voluta da M5s e Lega, applicata in maniera retroattiva (un fatto che la Consulta ha giudicato incostituzionale), e che è stata votata poco prima della mia condanna. E ho accettato di finire in prigione nonostante avessi più di settant’anni.
Come ha affrontato i cinque mesi dietro le sbarre?
Con animo sereno, rinsaldando vecchie amicizie e facendone di nuove.
Si dice che lei abbia ricevuto migliaia di lettere.
All’inizio arrivavano a un ritmo impressionante, 80-100 al giorno. Alla fine ne ho contate più di tremila: lettere vere, affettuose, un’esplosione di amicizia che mi ha commosso. C’era la mia buona coscienza, ma il sostegno di chi si è dimostrato vicino mi ha aiutato ad affrontare i mesi di detenzione.
Cos’altro l’ha aiutata?
Non scadrò nella falsa retorica di chi dice che “dentro” esiste un mondo migliore di quello che c’è “fuori”, ma non posso negare di essere stato trattato bene sia dal personale del carcere di Bollate sia dagli altri detenuti i quali, per una strana forma di deferenza, mi chiamavano “presidente”. Non posso dimenticare i miei compagni di cella, due condannati per omicidio e uno per bancarotta, che hanno avuto nei miei confronti attenzioni inaspettate e non richieste. Ho avuto la conferma di una grande verità cui sono stato educato: anche uomini che hanno commesso il male, da questo male non sono definiti totalmente.
Della situazione delle carceri, oggi, non parla più nessuno.
È vero ed è un segno di grande barbarie. Oggi predomina la logica dello “sbattere dentro e buttare la chiave”, una mentalità che ferisce il dettato costituzionale e rinnega i princìpi di Beccaria. Un uomo può commettere delitti orrendi, ma una società matura non può non tentare di rieducarlo. Oggi al mondo carcerario è chiesto questo compito difficile, reso ancor più arduo da una politica che ha smesso di interrogarsi sul valore rieducativo della pena. Tanto che l’ex magistrato Gherardo Colombo è arrivato persino a dire che oggi il carcere è «inutile».
Parliamo di Regione Lombardia. Sono mesi che è sotto attacco. C’è chi ha chiesto di commissariarla, chi ha chiesto le dimissioni del presidente Attilio Fontana, chi dell’assessore Giulio Gallera. Non solo: in molti hanno detto e scritto che il problema del malfunzionamento della Regione era dovuto al “modello formigoniano” che ha “svenduto” la sanità ai privati.
La Lombardia è stata colpita da una sciagura enorme, il numero delle vittime è alto, immagini come quelle dei camion di Bergamo rimarranno a lungo nella nostra memoria. È più che comprensibile che i familiari delle vittime, che nemmeno hanno potute dare loro l’estremo saluto, si rivolgano alle istituzioni e chiedano delle risposte, anche avanzando degli esposti in procura. Quel che però è inaccettabile è che questo dolore sia strumentalizzato per fare speculazione politica cercando un colpevole dentro la Regione Lombardia. Questo è il solito sciacallaggio di quegli ambienti, politici e giornalistici, che vogliono dare la spallata all’amministrazione di centrodestra.
Errori, però, ce ne sono stati.
Sì, sono stati fatti ed è giusto che sia la magistratura sia la stessa Regione appurino le responsabilità, però…
Però…
Tuttavia non si può non vedere come questa “caccia al colpevole” abbia intenti molto meno limpidi di quelli che dà a intendere. E poi, tra l’altro, finora è stato dimostrato l’opposto. La commissione d’inchiesta sul Pio Albergo Trivulzio guidata da Gherardo Colombo su cui, per settimane, i giornali hanno costruito la retorica del ritorno di Mani Pulite, ha rivelato che il problema era l’assenteismo del personale. E si è scoperto che ad Alzano e Nembro la zona rossa doveva farla il governo, non la Regione.
Per quel che riguarda lei, l’accusa era di aver costruito un modello sanitario “ospedalocentrico”, poco attento alla medicina dei territori. Per quel che finora si è capito della diffusione del virus, avere presidi medici diffusi su tutto il territorio regionale, come in Veneto, e non concentrati solo in grandi ospedali, ha aiutato a contrastare il Covid-19.
La sanità della Regione Lombardia del 2020 non è la sanità del modello formigoniano che iniziò nel 1997. Noi, allora, facemmo una riforma che accreditò alcuni, pochi, ospedali lombardi. Sto parlando dello Ieo del professor Veronesi, del gruppo San Donato, dell’Humanitas, del San Raffaele, della Poliambulanza di Brescia: sto parlando di eccellenze riconosciute. Fino ad allora in Lombardia, e ancora oggi nella maggior parte delle Regioni, con il privato funzionavano le convenzioni. Noi introducemmo l’accreditamento proponendo a questi grandi ospedali di entrare a far parte del sistema pubblico, a patto che accettassero i nostri controlli e il nostro regime di prezzi. E mentre noi come Regione ci facevamo carico di ripianare i debiti degli istituti pubblici, i privati non solo dovevano pensare per loro conto a provvedere a ciò, ma dovevano anche dotarsi di un pronto soccorso, perfettamente funzionante H24 e per 365 giorni l’anno.
Però continuano a scrivere che lei ha svenduto la sanità ai privati…
Sì, questo lo scrivono i giornali, ma la gente non è stupida. Grazie a quella riforma i lombardi hanno potuto farsi curare, gratuitamente, dove meglio credevano. Istituti specializzati e indipendenti hanno certificato, per tutta la durata della mia amministrazione, che la sanità lombarda era la migliore in Italia. E poi, scusi, se ai cittadini non piaceva avrebbero potuto mandarmi a casa con il voto. Non mi pare sia mai successo.
D’accordo, però è un dato di fatto che oggi quel sistema ha mostrato delle pecche.
Sì, ma le ricordo che il mio successore, il leghista Roberto Maroni, all’insegna della “discontinuità”, modificò quel modello proprio sul punto della sanità territoriale. Noi avevamo sempre tenuto in gran conto il dialogo coi medici di base, favorendo il loro aggregarsi in associazioni affinché il controllo sul territorio fosse capillare ed efficace.
E poi?
E poi, con la legge 23 del 2015, l’amministrazione Maroni anziché rafforzare la medicina territoriale l’ha indebolita, con i risultati che abbiamo tutti constatato. Non mi pare un caso che quegli stessi istituti che posizionavano al primo o al secondo posto la sanità lombarda, dopo la riforma Maroni fecero scalare la Regione al settimo posto della graduatoria. Le ricordo, inoltre, che proprio quella riforma provocò la rivolta dei medici di base i quali scrissero una lettera al presidente per lamentarsi. L’adesione al testo di quella missiva fu altissimo: il 77 per cento.
Qualche domanda spot sull’attualità politica. Cosa ne pensa del prolungamento dello stato di emergenza da parte del governo Conte?
È una cosa scandalosa, soprattutto perché non siamo più in emergenza. E se, malauguratamente, dovessimo rientrarci, basterebbero dodici ore per ripristinarlo. L’hanno fatto solo per mantenere il potere. Fosse accaduto con un governo di centrodestra, avrebbero gridato al colpo di Stato.
Dia un voto alla gestione della ripresa da parte del governo.
Sarebbe un voto gravemente insufficiente. Non si può andare avanti a colpi di bonus, alcuni assurdi, e col blocco dei licenziamenti. Il vero problema è creare posti di lavoro, ma nessuno ha un piano. Qui l’unica idea è il reddito di cittadinanza a vita. Ma siamo pazzi? Così si realizza la decrescita infelice.
Gli studenti torneranno a scuola il 14 settembre.
Una cosa gravissima. Questo governo li ha trattati come dei bamboccioni, altrove, all’estero, hanno aperto prima, noi invece li abbiamo costretti a casa.
Però ci saranno i banchi a rotelle.
Cosa vuole che commenti? Fa già ridere, o piangere, così.
A settembre sarà probabilmente approvata la legge sulla omotransfobia.
Con quella legge e con l’intervento del ministro Speranza sulla pillola Ru486 taglia un altro traguardo quella deriva antropologica che sta indebolendo il nostro paese. Quella sull’omofobia è una legge gravemente restrittiva della libertà delle persone, basterà esprimere le proprie legittime opinioni sull’omosessualità o sulla famiglia per pagarne le conseguenze. È una legge liberticida e incostituzionale e io sogno che, quando sarà approvata, gli italiani scendano in piazza per manifestare il loro libero pensiero, al grido di “ora arrestateci tutti”.
Ci sarà il referendum per il taglio dei parlamentari. Cosa voterebbe Formigoni?
Voterò “no”. È l’ultima picconata che si vuole dare al parlamento e alla democrazia rappresentativa. Ci sarebbero interi territori che verrebbero privati di una rappresentanza adeguata e pluralistica. Sarebbe il trionfo della demagogia populista.
Il governo ha mostrato di essere inadeguato, ma l’opposizione, sebbene premiata dai sondaggi, non sembra pronta per guidare il paese.
Questo governo, in qualche maniera, durerà fino al 2023 e il problema è quello che dice lei. All’opposizione devono studiare e compattarsi su alcune semplici proposte. Non capisco, ad esempio, perché Fdi e Lega siano contrari al Mes. Finché il centrodestra non sarà chiaro con gli elettori su quali progetti vuole impegnarsi per il paese, il governo giallorosso andrà avanti.
Foto Ansa
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