
Ritorno ai campi
Latinisti di tutto il mondo unitevi nel titire tu patulé recubans sub tegmine fagi, perché l’Italia è un paese profondamente bucolico, e i campanacci bovini, campanelli ovini e campanili parrocchiali de “La Corrida” lo dimostrano egregiamente! Trattasi, “La Corrida” appunto, di pura antropologia, ove una moltitudine di dilettanti esporta da un palco colognese la realtà dell’Italia più autentica: via le facce globalizzate, largo ai paesini da 40 anime che vedono il macellaio improvvisarsi funambolo e la figlia della prestinaia scoprirsi libellula del can can. Rendono omaggio ai “dilettanti allo sbaraglio” plotoni di pensionati, studenti, avvocati, casalinghe e consorti che giudicano il vero stivale con i mezzi propri della vera agrestitudine, i sopracitati campanacci. Ed è tutto un reportage dalle comunità locali: c’è l’inquilino delle pendici della Sila che tutto emozionato canta una ninna nanna; c’è la nonnina milanese che fa un’ode al risotto; c’è il gruppo delle panchine di Trezzano sul Naviglio che balla sulla testa. Un po’ come alle cene natalo-pasquali, che ti tocca sorbire il parente fissato con le barzellette o il gioco di prestigio, solo che qui ogni esibizione è sapientemente arginata dal trio Scotti-Triani-Pregadio, tre generazioni diverse e relative dentature sempre in mostra, perché è impossibile non sorridere innanzi a tanta familiare umanità. E soprattutto innanzi alla morte dei classici ingredienti per il successo: sfigolandia, superospite, maxipremi, e tanta informazione intelligente (tipo un bel Bilancia che allieti il pomeriggio di Rai Uno raccontando i pensierini di un pluriomicida) cedono il passo al più sano esibizionismo del concorrente-controcorrente.
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