Vangelo e dottrina nella riforma della Curia voluta dal Papa

Di Luca Del Pozzo
26 Marzo 2022
La nuova Costituzione apostolica promulgata da Francesco fa già discutere. Ma molte delle obiezioni mosse dai critici lasciano il tempo che trovano. Breve rassegna
Papa Francesco

Papa Francesco

Com’era prevedibile la nuova Costituzione apostolica sulla Curia romana e il suo servizio alla Chiesa e al mondo Praedicate evangelium, varata sabato scorso (ma con effetto a partire dal 5 giugno prossimo) sta già facendo discutere. E se la critica, peraltro scontatissima, che nove anni di tempo per una riorganizzazione che, di fatto, cambia poco, forse sono troppi (ma, anche qui, troppo spesso si dimentica che per Francesco quel che davvero conta è avviare processi, tanto più che nella fattispecie – e giustamente – il Papa non ha mai dato l’impressione di riporre chissà quale valore salvifico nelle riforme per così dire istituzionali), è quando si passa al piano sostanziale che alcuni dei rilievi mossi lasciano il tempo che trovano.

Il rapporto tra vangelo e dottrina

Sorvolando sul fatto che anche in questa occasione, soprattutto da parte di quei settori che hanno sentenziato da tempo che questo pontificato non va bene è scattato implacabile il meccanismo per cui ormai qualsiasi cosa Francesco faccia o dica la bocciatura parte in automatico, così a prescindere, per dirla con Totò (solo che c’è poco da ridere, tanto più quando pur di tenere il punto tocca assistere a stravaganti esercizi di contorsionismo teologico che anche basta), tra le varie critiche sollevate ce n’è una in particolare su cui conviene soffermarsi.

Anche se apparentemente sembra una questione di lana caprina, essa tocca in realtà un tema esiziale in rapporto al quale occorre fare chiarezza. Il tema è quello del rapporto tra vangelo e dottrina. Prevengo l’obiezione: e quale sarebbe il problema? Non sono la stessa cosa vangelo e dottrina? Dov’è la differenza? In effetti, in un mondo normale anzi in una Chiesa normale la questione neanche si porrebbe.

Siccome però a noi uomini le cose semplici non piacciono, ecco che quei settori ecclesiali ossessionati dalla difesa del primato della dottrina e dimentichi del fatto che la verità predicata dal cristianesimo è primariamente una persona e non un concetto (la persona in questione incidentalmente essendo Gesù di Nazareth), hanno prontamente alzato la manina. E di fronte – questo il punto – al fatto che nel nuovo organigramma curiale il neonato Dicastero per l’Evangelizzazione (che accorpa due organismi precedenti) precede quello della Dottrina della Fede, hanno inteso vedere un potenziale vulnus, appunto, nei confronti della dottrina. Come se il maggior rilievo organizzativo dato all’annuncio del vangelo corrispondesse a una qualche volontà di voler affermare il primato del primo sulla seconda.

La missione della Chiesa e la visione dell’uomo

Ripeto: sembra una questione di lana caprina (e per certi aspetti lo è, ma sotto certe condizioni), in realtà dietro tale critica si stagliano due questioncine, per così dire, strettamente correlate l’una all’altra che riguardano, l’una, la missione della Chiesa, e l’altra, l’antropologia, ossia la visione dell’uomo. Ma andiamo con ordine.

Punto primo: anche ammesso che il dicastero della Dottrina della Fede sia stato declassato rispetto a prima, questo non solo non rappresenta un problema (non più di quanto lo rappresentasse, a parti rovesciate, il fatto che nel vecchio schema la Dottrina della fede precedesse sia la congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, ex Propaganga Fide, sia il pontificio consiglio per la nuova evangelizzazione) ma è anzi da salutare con favore. Per un motivo tanto semplice quanto sovente trascurato: il fatto che, banalmente, non ci può essere alcuna dottrina senza il vangelo, essendo la prima null’altro che lo sviluppo e la definizione della seconda.

Punto secondo: il vangelo, per sua natura, è un annuncio di salvezza che riguarda la vita delle persone, la vita nella sua totalità. E la vita di noi uomini e donne è un qualcosa che va oltre, e parecchio anche, la mera attività intellettiva/conoscitiva. E dove le dinamiche storico-esistenziali sono importanti tanto quanto quelle intellettive/intellettuali, formando con esse e tra di esse tutto ciò che, appunto, chiamiamo vita (tra l’altro, la miglior prova che la dottrina da sola serve a poco l’ha data un tale san Paolo in Rm 7). Non solo: a furia di voler enfatizzare la dimensione dottrinale si corre il rischio di fare del cristianesimo una gnosi, con tutto ciò che ne consegue in termini di “tenuta” quanto all’ortodossia (ovviamente il discorso vale anche a rovescio: tutte le volte che si enfatizza eccessivamente una pastorale sganciata dalla dottrina si rischia di avallare, se non teoricamente di fatto, una posizione relativista in nome dell’attenzione alle situazioni concrete).

Punto terzo: la missione della Chiesa, per espressa volontà del suo Fondatore, è di annunciare il vangelo a tutte le genti. E su questo, spiacente, le chiacchiere stanno a zero. Che poi annunciare il vangelo (ed è questo il motivo per cui dicevo prima che è un falso problema il voler dire chi viene prima tra vangelo e dottrina) e più in generale l’essere cattolici significhi anche trasmettere e apprendere dei contenuti di fede, è sicuramente vero e nessuno lo mette in dubbio. Ma resta il fatto che se la fede non è esistenzialmente vissuta; se l’incontro con Cristo non è primariamente un incontro con Qualcuno; se il vangelo non è qualcosa di cui posso fare esperienza nella mia storia personale; se insomma l’annuncio sconvolgente e inaudito che ha letteralmente cambiato il corso della storia – la buona notizia della morte e resurrezione di Gesù Cristo – non è un qualcosa che vale “per me”, per me così come sono fatto in carne e ossa: beh sapete, ve la metto giù piatta a scanso di equivoci: non saprei proprio cosa farmene del cristianesimo.

Il resto è contorno

E ve lo dice uno che non solo non disdegna ma che di dottrina è appassionato come pochi ed è il primo a ribadirne l’importanza. Ma, up to a point, come dicono gli inglesi. Altrimenti la fede si riduce a un bagaglio di conoscenze magnifiche, bellissime, intellettualmente sfidanti e stimolanti, e chi più ne ha più ne metta. Peccato solo che sarebbe aria fritta e non salverebbe nessuno. Dio è amore, dice san Giovanni. L’essere di Dio è l’amore, la caritas. Ora chiunque abbia fatto una benché minima esperienza non solo dell’amore umano che è imperfetto e limitato ma più ancora dell’amore di Dio, sa perfettamente che si tratta di un amore integrale, che cioè abbraccia tutta intera la persona e che, solo, è in grado di convertire il cuore dell’uomo.

E’ questo amore che la Chiesa annuncia da due millenni, ed è questo amore che la Chiesa è chiamata ad annunciare. Il resto è contorno. E non è certo un caso se anche nella storia recente – basta guardare agli ultimi sessant’anni – la Chiesa abbia rimesso al centro l’evangelizzazione: a partire ovviamente dal Concilio Vaticano II, da cui scaturì un rinnovato impulso missionario, per proseguire con l’Evangelii nuntiandi di Paolo VI e la “nuova evangelizzazione” lanciata da Giovanni Paolo II nel 1979, e poi con l’istituzione del Pontificio consiglio per la Nuova Evangelizzazione voluto da Benedetto XVI nel 2010 fino all’Esortazione apostolica “Evangelii gaudium” di papa Francesco del 2013.

Dottrina e vangelo sono inseparabili

Come si vede il fil rouge che unisce e tiene insieme, al di là delle modalità attuative e delle diverse sensibilità degli attori, l’azione principale della Chiesa è sempre lo stessa: evangelizzare (che poi l’esito non sia stato quello sperato è un altro discorso che pure va fatto, ma che in ogni caso non sposta di una virgola la questione; se è vero che la crisi che la Chiesa sta vivendo ormai da decenni ha coinciso con questo enorme sforzo di evangelizzazione, è altrettanto vero che certamente la crisi non è dovuta ad esso). E questo resta prioritario anche oggi.

La scelta, oggi come ieri, non è privilegiare il vangelo piuttosto che la dottrina. La scelta, fedelmente alla legge dell’et-et propria del cattolicesimo, è continuare ad annunciare il vangelo (quello vero, ovviamente, non le caricature che spesso si sentono), consapevoli del fatto che vangelo e dottrina sono inseparabili come due facce di un’unica medaglia. In quale ordine ciò si rifletta in un’organigramma, alla fine conta molto poco.

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1 commento

  1. Domenico Cianferoni

    Grazie , senza annuncio della buona nnotizia il cristianesimo non diviene forse una ideologia come le altre ?

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