Renzo Arbore Settant’anni di alto gradimento

Di Nouri Michelle
19 Luglio 2007
Il ritorno in tv? Nel 2008, «ma solo se la Rai mi corteggia come si deve». Lo showman racconta l'amore per la radio, l'America, i rimpianti. E ci scappa pure un indietro tutta per Prodi

I suoi settant’anni di alto gradimento Renzo Arbore si prepara a festeggiarli lontano dalla televisione e vicino, molto vicino, alla gente che riempie le platee dei suoi concerti.
Come trova la televisione oggi?
Malata di auditel. E nel suo nome si commettono molti misfatti. Non voglio dire che non si facciano programmi buoni, anche autentici, però in generale quel che passa il convento non è granché. E non è una buona cosa che si guardino programmi solo per qualche prurito o scandaletto montato ad arte. Con l’introduzione del qualitel, le cose potrebbero cambiare.
Qual è il suo tg preferito lei che viene, come noto, sempre “dopo il tg”?
C’è stato un tempo che avevo una simpatia per il Tg2 di Andrea Barbato, bello e rivoluzionario, condotto da Piero Angela. Si è trattato quasi di un esperimento. Dopo vi sono stati altri tentativi, qualche formula vispa, ma insomma. Adesso vedo quello istituzionale, ufficiale, potente come ascolto, il Tg1. Più per abitudine. Certo che con l’arrivo del mio amico Clemente Mimun al Tg5 getterò più di un’occhiata sulla concorrenza.
Dica la verità: Berlusconi l’ha mai corteggiata per portarla a Mediaset?
Sì. Lo ha fatto molti anni fa usando tutte le sue lusinghe. La Rai, ahimè, non mi è stata molto grata per aver resistito alle sue avances. E diciamo che anche in questo periodo la corte dell’azienda è assai blanda. Però sono io la Rai! Perché so di essere più importante di quelli che oggi la dirigono. Sono cosciente di aver fatto programmi importanti. E molto orgoglioso. Quindi non vedo perché dovrei andare via da un’azienda che ho contribuito a creare con la mia opera. Rinnovando prima la radio con Alto Gradimento e poi la televisione con prototipi di programmi rimasti unici. Dopo non si è inventato più nulla. Lo dico con grande presunzione. I fatti parlano chiaro. Stanno uscendo venti dvd con la mia opera e mettendo mano a questa iniziativa mi accorgo sempre di più di aver svolto un ruolo fondamentale nell’invenzione e nell’ammodernamento di radio e tv.
Cosa non va nella proposta della Rai oggi?
Si passa sopra al fatto che la televisione, poco o tanto, è un prodotto artistico, che richiede talento. Se invece rimane solo un prodotto commerciale, allora preferisco fare altre cose, che mi piacciono moltissimo. E in tutta franchezza: occorre specializzazione e aver dato qualcosa nel mondo dello spettacolo per dirigere una rete televisiva.
Si può fare una buona televisione commerciale?
Ci sono delle buone trasmissioni commerciali che sanno unire quantità a qualità. Purtroppo sono rare. Cito solo il caso di Fiorello. Mi piace. Mio erede? Siamo diversi. Io ho fatto anche cinema e molta musica. Ci accomuna il gusto per l’entertainment. Nelle poche occasioni che abbiamo lavorato insieme ci si è capiti al volo, guardandoci negli occhi.
A quale della sue trasmissioni si sente più affezionato?
Quella che ho realizzato per i sessant’anni della radio. Si chiamava Cari amici vicini e lontani. Cinque puntate in prima serata: un exploit pazzesco perché visto da 14 milioni di persone. Lo facevo col cuore trepidante perché si trattava del primo programma “nostalgia” della televisione italiana in un momento dove la rivisitazione del passato non era contemplata dalla tv. Mi ha permesso di presentare e di parlare con gli idoli della mia adolescenza. Perché festeggiando la radio io festeggiavo Walter Chiari, Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, Silvio Gigli. E i vecchi presentatori come Corrado. E poi Monica Vitti, Alberto Sordi. Quando lo rivedo in cassetta mi emoziono come allora. Il programma più innovativo? Senza dubbio Indietro tutta, il primo programma totalmente improvvisato nella storia della tv.
Lei non ha mai nascosto la passione per la cultura americana, musica, cinema, costume. Cosa pensa dell’antiamericanismo che circola in Europa e soprattutto in Italia?
Mi dà molto fastidio. E nel 90 per cento dei casi è un sentimento meschino, figlio di invidia e ignoranza. Ma c’è di più: l’antiamericanismo suggerito e cavalcato da personaggi mediocri che sanno quanto paga tra il proprio elettorato. Sfruttando anche l’ingenuità di una buona fetta di giovani. Poi c’è una percentuale del dieci per cento che non condivide la politica estera degli americani o la pena di morte. Quelli sono in buona fede e li rispetto. Ma i più sono in malafede. Non li sopporto proprio.
Perché non fa notizia la repressione quotidiana dei cristiani nel mondo?
Credo sia un difetto della comunicazione. C’è una repressione incontestabile dei cristiani nel mondo. Il pericolo lo aveva avvertito anche Oriana Fallaci. Ma noi italiani siamo strani. Siamo aperti alle altre culture e religioni però non mostriamo particolare attenzione che lo stesso avvenga ad esempio nei paesi islamici. Non difendiamo questo sacrosanto diritto.
Soddisfatto o deluso dopo un anno di Prodi?
La verità è che sono un po’ deluso. Il governo Prodi prometteva una vita piu semplice, invece. È una macchina che procede con difficoltà: una volta si rompe il carburatore, una volta si sfasciano le marce. Comunque se Atene piange, Sparta non ride.
Arbore senza famiglia: una scelta o non c’è mai stata l’occasione vera?
No, c’è stata qualche occasione, ma l’ho perduta. Probabilmente, però, se non ho messo su famiglia significa che stava scritto così. Forse il mio essere artista, il mio viaggiare per curiosità e per lavoro, la mia irrequietezza sentimentale, le mie passioni ondivaghe hanno contribuito a questa mancanza. Perché mi manca la famiglia, mi manca il non essere diventato papà.
E i suoi “figli” artistici sono rimasti tutti fedeli oppure c’è qualcuno che l’ha delusa?

No. più o meno. I miei figli “artistici”, casomai, hanno avuto qualche momento di sbandamento, come i cavalli. Tuttavia non possono dire che io sia stato un gestore antipatico, uno sfruttatore cattivo. Infatti sono rimasti tutti molto legati e non mi hanno deluso. Qualcuno è andato molto avanti, qualcuno è rimasto indietro, come Maurizio Ferrini, ragazzo molto intelligente che per seguire le sue passioni ha perso alcuni appuntamenti lavorativi.
Lei è partito con la radio. Qual è il suo fascino particolare?

Innanzitutto la confidenza che si crea con gli ascoltatori. Secondo, la radio è uno strumento antico ma anche modernissimo perché l’agilità rappresenta la sua grande forza. Rimane più agile di internet. Ed è uno strumento attualissimo. Cioè le scelte che farà la tv la radio le ha già messe in atto da tempo. Arriva sempre per prima.
Oggi si fa tv senza la classica gavetta. Cosa pensa di queste “selezioni” facili?

Di questo andazzo francamente penso male. In ogni caso chi arriva da queste selezioni un po’ così ha vita breve in tv. Invece chi dura ha alle spalle anni di gavetta. Una per tutte: Milly Carlucci. Ma potrei dire lo stesso per Pippo Baudo. Le fondamenta per fare un grattacielo le devi avere. Belle e solide. Tutto il resto è effimero e disarmante

Una curiosità. Boncompagni è così cinico come appare sulla lettera quotidiana che scrive per Il Foglio?

Certamente lui ha un umorismo toscano che lo rende disincantato. Però sotto sotto anche Gianni ha delle grosse tenerezze. Basta vedere il rapporto con suo nipote e capisci che il suo cinismo è un cinismo di cultura, di tradizione.
Perché non la vediamo così spesso in tv?
Io faccio l’artista e da grande voglio continuare a farlo. Lo faccio con la mia orchestra in giro per il mondo. E lo faccio dirigendo Umbria Jazz che mi permette, da innamorato perso di questa musica, di vivere la meraviglia dell’incontro con i più celebri musicisti italiani e internazionali. E infine perché sono perseguitato da altre passioni, una delle quali è la collezione dei miei oggetti di plastica e l’altra i viaggi. In sintesi: primum vivere deinde televisionari, cioè prima vivere e poi fare la televisione.
È imminente il suo ritorno?

Non lo escludo, ma nel 2008. Se la Rai mi corteggia come si deve e in tutti i sensi. Altrimenti continuo con la mia musica che mi permette straordinari incontri umani con il mio pubblico. Con i miei connazionali. No, proprio non ho alcuna necessità di tornare in tv per routine. Mi piacerebbe per confermare a tutti quelli che mi vogliono bene che non sono rimbambito, che continuo la mia attività perfettamente lucido e in linea con ciò che ho fatto nel passato. Uno dei vantaggi di fare l’artista è che può anche non invecchiare.
ò anche non invecchiare.
Con l’Orchestra italiana lei ha rilanciato la grande tradizione della canzone popolare italiana, in barba agli intellettuali con la puzza sotto il naso. Perché spesso ci si dimentica del popolo e della tradizione?

Fino a pochissimi anni fa si etichettava la musica popolare come fenomeno di moda. Che, una volta superato, scompariva. Al contrario dei francesi che il loro tesoro se lo tengono ben stretto. Per anni abbiamo pagato questo malcostume espressione di una diffusa mentalità alquanto spocchiosetta. La musica popolare è invece un patrimonio prezioso. Un segnale di vita e vitalità. Genuino. Autentico. In fondo immortale. Lo vediamo con Lucio Battisti, più attuale che mai. Anche tra i giovani. Che vivono la stessa emozione che provavo io quando ascoltavo Domenico Modugno cantare Vecchio Frak o Volare e cioè che quelle canzoni non tramontavano, non finivano con la moda o con giudizi superficiali, ma dovevano vivere per sempre. E per tutti.

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