Carissimo direttore, dopo quattro anni di “trincea” a Palazzo Isimbardi sento il desiderio di inviarti qualche breve riflessione attendendomi una tua autorevole opinione. Fin dall’inizio del mandato nel maggio 1995 tirava una brutta aria per la democrazia; infatti l’accordo sottobanco (cioè senza apparentamento) con Lega e Rifondazione Comunista – ricompensati rispettivamente con la Presidenza del Consiglio e con due assessorati – avevano portato alla vittoria Tamberi. La Giunta di sinistra-centro uscente si è contraddistinta per una conflittualità permanente nei confronti di Regione Lombardia e Comune di Milano.
In sostanza si aizzavano i comuni dell’hinterland contro la Regione Lombardia per avere più deleghe in nome del federalismo per poi gestirle in modo centralista. Cioè la filosofia delle varie “Bassanini”, lo statalismo trasferito dal Governo centrale agli enti locali. In pratica il centralismo si abbassava di un solo livello alla faccia della tanto conclamata sussidiarietà intesa come sussidiarietà verticale e non orizzontale. I Centri Lavoro, sparsi sul nostro territorio, sono un esempio eclatante. Si è quasi riusciti ad annullare tutte le realtà del privato sociale e del non profit che assemblano le domande-offerte di lavoro “senza oneri per lo stato”. Insieme ai dipendenti ci siamo trovati di fronte una sorta di dittatura – non del proletariato – ma della nomenclatura. La classe dirigente della Amministrazione Provinciale è stata mortificata ed umiliata chiamando alla corte di Palazzo Isimbardi dai comuni limitrofi dame o cavalieri serventi della nomenclatura e di stretta osservanza di “sinistra” o affidandosi a yes-man e yes-woman; la professionalità era diventata “una variabile indipendente”. All’improvviso trovandosi le sinistre al potere per i dipendenti di ogni ordine e grado si è passati dalla stagione dei “soli diritti” alla stagione dei “soli doveri”. L’apice del Presidente popolare Tamberi è stato toccato in un paio di occasioni. La prima quando unico amministratore è andato ad omaggiare Bertinotti in piazza Duomo per difendere le 35 ore. La seconda è ancora più toccante. Sotto la spinta di rifondatori e Verdi ha ricevuto a Palazzo Isimbardi i rappresentanti di un sedicente “Esercito Zapatista di Liberazione” che essendo ricercati da varie polizie si sono presentati all’appuntamento coperti dai passamontagna. Il nostro prode presidente “pro tempore” ha voluto omaggiare ognuno di loro con un distintivo d’argento che raffigura Sant’Ambrogio, con la motivazione che anche quest’ultimo era “al servizio del popolo”. Ma tutto ciò non è servito e come direbbero gli “883” per la “dura legge del gol” Tamberi ha perso. Giorgio Gaber – mi sembra giusto un doveroso omaggio al consorte della “Signora Provincia”- parecchi anni fa in una sua canzone diceva “Libertà è partecipazione”. Bene, le forze del Polo che hanno vinto in Provincia devono far ritrovare alla gente comune la voglia ed il gusto di partecipare a costruire centri lavoro, scuole libere, nuove imprese, centri culturali, società sportive; insomma le persone devono sentirsi di nuovo protagoniste della crescita economica, sociale e democratica della nostra società; con un ente locale che promuove, affianca ed aiuta l’intrapresa e che non abbia la pretesa di gestire le nostre vite “dalla culla alla tomba”. Un doveroso omaggio anche allo sconfitto Tamberi che come il sottoscritto proviene da una storia democristiana e popolare. Nel 1952 Don Sturzo ammoniva: “Lo statalismo non risolve mai i problemi economici e per di più impoverisce le risorse nazionali, complica le attività individuali, non solo nella vita materiale e negli affari, ma anche nella vita dello spirito”. L’esperienza dell’esilio inglese e americano, probabilmente, gli facevano apprezzare i vantaggi di una concezione aperta e pluralistica, in antitesi al centralismo europeo ed italiano. Mi sembra la fotografia di questo fine millennio in Italia ed in Europa.
Cordialmente e mi raccomando……. resistete! Cosma Gravina, Consigliere provinciale Forza Italia Caro Gravina, la passione politica non è acqua. E lei ce ne offre una robusta testimonianza. È vero che il potere logora chi non ce l’ha, ma se chi non ce l’ha si prepara a prenderlo creando scuole, imprese, centri culturali e, perdoni l’interesse d’ufficio, giornali, è sicuro che non si logorerà in una opposizione logorroica. Il passato della giunta Tamberi va ricordato non per “non dimenticare”, ma per giudicare. Quindi lo dica anche all’Ombretta: alla fine gli elettori giudicheranno anche voi. Buon lavoro.
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Caro direttore, non so quanto caro, perché diverse volte non c’ha risposto, le scrivo per invitarla al Cocomero Meeting di Carate Brianza (Mi). Il Cocomero è una festa che nasce dal desiderio di alcuni amici che, d’estate, quando tutti se ne vanno al mare, – contenti per loro, noi purtroppo desiderando la Polinesia, siamo costretti a restare a Carate – , sentono il bisogno di stare insieme divertendosi. Sentono il bisogno di rendere visibile, in questa società, l’esistenza di un popolo che, se pur piccolo, ama la vita, la propria vita, con il desiderio di essere, di creare luoghi di incontro per sé e per gli altri: e non c’è modo migliore di stare insieme ascoltando e ballando della buona musica, mangiando ottime salamelle, giocando a calcetto e pallavolo, e dando vita ad incontri con gente che nella loro persona, in un modo o nell’altro, hanno fatto qualcosa per loro e, grazie a Dio, per noi. Ringraziamo gli avi e, in particolare, i nostri genitori per aver vissuto questo e per avercelo trasmesso.
Grazie a tutti, gli amici del Cocomero “Quello che vi ho detto nel segreto predicatelo sui tetti”. Che la festa continui, nel mondo. E rispettiamo almeno i nostri avi, tiriamo sù i nostri bambini.
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Egregio Direttore, a quanto dice Berlinguer, cui fa eco l’informazione di regime, i nuovi esami di stato sarebbero ciò che di migliore è impossibile che ci sia nel campo della valutazione di un iter educativo. Il ministro per dimostrare ciò usa perfino statistiche di non si sa quale agenzia e nel farlo appare sorridente come un medico che ha tra le mani la pillola della buona morte. Che questi siano gli esami più-più è l’ultima delle favole. La realtà dice tutt’altro… Oggi non c’è più il tema ma un testo già pieno e lo studente che deve fare? Nient’altro che tagliare e incollare. Le tracce che una commissione ministeriale ha dato per la prova scritta di italiano sono l’esempio di come si dovrà procedere a scuola da oggi in avanti: non più domande, non più problemi, ma opinioni da ripetere. Chissà cosa si vedrà agli orali. Da questo si capisce che l’obiettivo della nuova scuola non è quello di far crescere persone che affrontino criticamente la realtà, ma tanti bei soldatini che eseguono senza fiatare gli ordini…
Gianni Mereghetti, Abbiategrasso (Mi) Ci sanguina il cuore per averla dovuta tagliuzzare, ma… facesse la scuola almeno tanti bei soldatini! No, la scuola fa molto male molto meno, e forse aveva davvero ragione Pasolini, nelle sue iperboliche “due modeste proposte per ridurre la criminalità in Italia”, sul Corriere della Sera (a proposito: è un vero peccato che il Corrierone non abbia più un editorialista che agiti un po’ le acque, non solo gallidellaloggiamente parlando), quasi trent’anni fa: “abolire – altro che prolungare, ndr – la scuola dell’obbligo, abolire – altro che digitalizzare, ndr – la Tv”. Giusto. Ma ascolti questa storiella. La scorsa settimana, qui, nel cuore della Milano bene dove ha sede la nostra redazione, il nostro giovane Samuele ha dovuto prendere a calci un gruppetto di adolescenti: stavano su un portone attiguo, all’aria aperta, ridevano, probabilmente erano inquilini, due di loro stavano in fellatio.Per carità, sono cose che sono sempre successe. Ma un tempo esisteva ancora un senso di realtà, le porcellerie si facevano di nascosto e, eventualmente, si presentavano davanti al prete, in confessionale. Soprattutto esisteva un mondo comune, per esempio quello della scuola e delle compagnie, che avrebbero ancora potuto trarre lezione da un prete che fosse passato davanti alle loro pubbliche effusioni e con simpatia, senza rimprovero, si fosse rivolto loro dicendo:“scusate ragazzi, ma cosa c’entra tutto questo con le stelle?”. Quindi non un rimbrotto, ma un invito a corrispondere in tutto alla statura umana, che è relazione con l’infinito, nelle piazze, come nell’intimità. Oggi fa pena che un ragazzetto debba essere preso a calci, come un cane, perché qui tocchi il fondo di un’epoca in cui il ragazzetto (o il ventenne) che cane non è, non lo sa. E nessuno, a scuola, a casa, in compagnia, crede sia giusto dirglielo. Perché? Perché oggi il mondo sembra coscientemente organizzato per la morte di noi tutti, inspecie dei suoi ragazzi, nel brago. Perciò: alé con il porno, alé con le droghe, alé con la techno. Così il mondo incassa la lira e il consenso, i ragazzi ci perdono il cervello e il cuore. E non c’è nessuno, porco mondo, tra politici, preti, educatori, adulti d’assalto, che diano la vita per opporsi a questo massacro. Perché? Perché non abbiamo un perché. Perché noi adulti, come tutti i buoni animali di questa terra, mangiamo, beviamo, dormiamo, godiamo, soffriamo e crepiamo senza un perché. Perciò, che Dio voglia che almeno i cristiani facciano il cristianesimo.