
Reinventare il Mes

«David Sassoli ha ragione: il Mes così come è strutturato oggi non va bene». Così titolava domenica 15 novembre La Repubblica sul suo sito web e proseguiva: «Il presidente dell’Europarlamento propone di riscrivere le norme e trasferire la gestione dei 400 miliardi del fondo dai governi alla Commissione europea». «Noi – commentava all’unisono Enrico Letta – abbiamo fatto una proposta, con l’istituto Jacques Delors: si prenda atto che è assurdo che ci siano 400 miliardi bloccati e si faccia una scelta: si trasformi il Mes e lo si porti dentro la Commissione Ue …». È sembrato nei giorni scorsi, quando i quotidiano hanno ripreso quelle affermazioni, che fossero Sassoli e Letta a dettare la linea politica in una narrazione che raccoglieva il consenso anche a destra (Salvini) e a sinistra (Fassina).
Il report di Saxo Bank
Già da qualche giorno la posizione dei sostenitori a oltranza del Mes si era fatta insostenibile in Italia (che è l’unico paese in Europa dove si continua a ipotizzare l’adesione al Mes): il 15 novembre è stato pubblicato un Report di Saxo Bank (una Società di Intermediazione Mobiliare, che svolge il ruolo di agente in Borsa Italiana per conto degli investitori). Non era sfuggita la conclusione del suo report: non ha senso accedere al Mes quando un paese può finanziarsi sul mercato dei capitali. Non sono passati inosservati anche le note di Althea Spinozzi su Startmag.it, dove si riportava: «I fondi del Mes somigliano molto alla mela di Biancaneve: dalla forma e dal colore perfetto ma avvelenata». Anche Valeria Panigada su Finanza.com citava la conclusione: «il Mes … uno strumento obsoleto creato per le nazioni in difficoltà finanziaria durante la crisi bancaria del 2012». Anche la posizione del ministro dell’Economia Roberto Gualtieri e del suo vice Antonio Misiani era sembrata ultimamente più sfumata, come ha fatto notare Tino Oldani su Italiaoggi.
Berlino ha parlato, la questione è risolta
A dettare la linea, in realtà, è stato uno studio pubblicato il 12 novembre scorso a Berlino, firmato da Lucas Guttemberg, Deputy Director della Hertie School – Jacques Delors Center insieme con il centro studi Bertelsmann Stiftung.
Guttemberg è partito ricordando che all’inizio del 2020 una riforma del trattato istitutivo del Mes era quasi fatta e immediatamente è stata ricoperta dalla polvere. Essa avrebbe trasformato il Mes in una rete di sicurezza per le banche europee (e in particolar modo, aggiungo, per quelle tedesche che versano nelle peggiori condizioni). Ma i tempi sono cambiati. La storia degli ultimi otto mesi di crisi pandemica hanno mostrato che «the ESM as it exists today has become politically unviable» (il Mes, come è oggi, è diventato politicamente impercorribile). Pensato come lo strumento principale di gestione delle crisi in Europa, non ha svolto alcun ruolo nella lotta contro l’epidemia; nessuno stato ha effettuato il tiraggio della linea di credito predisposta ad hoc. I prestiti erogabili sono visti come potenzialmente tossici e la loro dimensione è piccola rispetto alle necessità. L’Unione Europea ha tentato (effettivamente sta ancora tentando) di sviluppare qualcosa di nuovo e di innovativo: il Recovery Fund. Questo dimostrerebbe, secondo Guttemberg, che dove c’è la volontà politica molto di più di quanto originariamente pensato può essere fatto, pur rimanendo dentro il quadro legale della Ue. La lezione da trarre è dunque quella di tornare a pensare in grande, poiché «ESM should not be reformed, but should be reinvented inside the EU legal framework» (il Mes non dovrebbe essere riformato, bensì reinventato entro il quadro legale della Ue).
Già dopo poche settimane dall’inizio della crisi nel marzo scorso si è aperta una nuova strada: la Banca Centrale Europea ha tagliato i legami fra le sue politiche e il Mes. In particolare nel suo PEPP (Pandemic Emergency Purchase Programme), la Bce ha deciso di poter acquistare fino a 750 miliardi di euro titoli sul mercato, andando oltre le regole seguite fino ad allora: proporzionalità degli acquisti rispetto alle quote di partecipazione dei singoli paesi al capitale della banca; obbligo di acquistare solo titoli in possesso di rating adeguato (investment grade); acquisti di titoli di società private.
Con l’approfondirsi della crisi è stato concesso alla Commissione di indebitare direttamente la Ue sui mercati, emettendo propri titoli coi quali finanziare i programmi Sure e Recovery Fund. L’ipotesi sottostante era quella di dare fiducia agli stati membri, invece di partire da una assunzione di sfiducia e susseguente arcigno controllo. L’adesione ai programmi della Ue non comporta nessuno stigma.
Le tre proposte
Guttemberg fa quindi tre proposte:
- Inserire lo strumento Mes all’interno del quadro legale della Unione Europea sotto un nuovo nome;
- Trasferire il capitale del Mes (pagato da ciascuno stato membro) alla Unione Europea come garanzia per i programmi di supporto finanziario;
- L’organizzazione del Mes (circa 170 persone in gran parte tedeschi) dovrebbe essere trasferita alla Ue, per diventarne la strutture di gestione del debito.
L’ambizione del Mes di diventare il “Tesoro” della Eurozona non è mai apparsa realistica. La sua reinvenzione secondo le linee guida sopra ricordate avrebbe come effetto quello di rafforzare le istituzioni della Unione Europea: il Consiglio, la Commissione e il Parlamento.
Ma tutto questo può avvenire solo nel clima di fiducia che Guttemberg indica: gli stati membri non dissiperanno le risorse addizionali di bilancio così fornite.
Questa atmosfera ideale è purtroppo già messa in dubbio dalla volontà di certi paesi del Nord. Essi vogliono adottare, per l’erogazione di fondi da parte della Ue, condizionalità ancor più strette. Così le “Raccomandazioni” inviate ogni anno dalla Commissione ai paesi membri diventerebbero obbligatorie; i vincoli di bilancio oggi sospesi ritornerebbero in vigore tal quali furono concepiti in quella che appare un’altra epoca; l’adozione del principio del rispetto del cosiddetto Stato di diritto (Rule of Law) potrebbe essere trasformato in una camicia di forza con cui imporre qualsiasi cosa (dalla politica dell’immigrazione alla scelte etiche come l’adozione obbligatoria dell’agenda Lgbt). In questi giorni Ungheria, Polonia e Slovenia hanno posto il veto all’approvazione del Bilancio Ue, bloccando così anche l’approvazione del Next Generation Ee. Lo scontro si è fatto rovente.
Articolo aggiornato alle 12.30 del 22/11/20 – Foto Ansa
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