Serve il realismo cristiano per non distruggere l’ordine internazionale

Di Federico Reho
01 Luglio 2022
Tra il nichilismo guerriero dei nazionalisti e il manicheismo benpensante progressista bisogna recuperare una posizione alternativa e non distruttiva. Appunti per chi vuole dirsi conservatore
Biden Putin

Biden Putin

Viviamo un’ora grave per i destini del mondo: gli inizi di una nuova guerra fredda, in cui le speranze a lungo nutrite per un’umanità finalmente pacificata sembrano dissolversi come neve al sole e lo spettro di un’incandescente guerra nucleare tra grandi potenze torna ad agitare le coscienze come mai da più d’una generazione.

Le due visioni estreme che si scontrano in Ucraina

L’un contro l’altra armate, in Ucraina rischiano di scontrarsi per procura due visioni estreme, opposte ed egualmente fuorvianti della natura umana e quindi delle relazioni internazionali. Da un lato, il nichilismo guerriero dei nazionalisti autoritari à la Putin, che vaga sulla scena della storia come un lupo bavoso in cerca di prede nella foresta, sprezzante della dignità e della vita umana. Per esso, il mondo è peggio di un’arena gladiatoria, retto da una lotta anarchica per la sopravvivenza e la potenza tra comunità politiche autolegittimantisi.

Dall’altro, il manicheismo arrogante dei benpensanti occidentali à la Fukuyama, che identificano la democrazia liberale e i suoi valori non con un regime sorto in circostanze storico-politiche precise e difficilmente riproducibili, ma con il culmine dello sviluppo umano e il regno della luce in lotta contro le tenebre, che promette tolleranza universale e pace perpetua a tutte le genti che vi si convertiranno. Il mondo appare loro come teatro di una crociata permanente, seppur non sempre apertamente guerreggiata, per propagare i Lumi e far arretrare la barbarie.

L’alternativa del realismo cristiano

Come approccio alternativo a entrambe queste visioni deformate e deformanti, che alimentano conflitti permanenti fino a distruggere l’ordine internazionale, la tradizione occidentale ha partorito il realismo cristiano. Esso contempla l’essere umano nella sua nudità impastata di contraddizioni, nobile principe creato a immagine di Dio, ma anche “massa dannata” segnata dalla caduta del peccato originale, secondo la celebre espressione agostiniana. Per il realista cristiano, che ha quasi sempre una vocazione conservatrice, non esistono ordini politici perfetti, e i meno peggio si distinguono più per la loro capacità di arginare il male che per quella di perseguire il bene.

Il realista cristiano è perciò immune dall’idealismo utopico di stampo wilsoniano, che s’illude di poter subordinare stabilmente gli stati a una legge superiore di giustizia e di pace e persegue spesso, nell’urgenza di “rendere il mondo sicuro per la democrazia”, cambi di regime rivoluzionari sfocianti quasi sempre nel disordine (Afghanistan, Iraq e Libia docent, per citare solo qualche caso recente). L’accettazione dell’inestirpabile molteplicità delle forme culturali, religiose e politiche adottate dalle diverse comunità umane e la ricerca di uno stabile equilibrio tra potenze sono parte integrante del suo approccio al problema dell’ordine internazionale.

L’impegno per un ordine internazionale più giusto

Al tempo stesso, però, egli non può accettare come valido il totale divorzio della morale dalla politica, anche internazionale, propugnato dal realismo machiavellico e hobbesiano, né disconoscere la fondamentale unità che deriva al genere umano dall’esperienza della trascendenza costitutiva di tutti i suoi membri, e che il grande filosofo tedesco-americano Eric Voegelin memorabilmente definì come “l’umanità universale al cospetto di Dio” (universal mankind under God).

Risalendo dal profondo del suo essere, tale consapevolezza ingiunge al realista cristiano di adoperarsi, pur nei limiti fissati dalle circostanze esistenti, per un ordine internazionale più giusto e integrato, di rifiutare la cruda violenza offensiva quando miri solo a soddisfare una vana volontà di potenza, e di resistere con risolutezza ai tribalismi nazionalistici e alle altre torsioni identitarie che continuamente rischiano di estraniarci da porzioni importanti dell’umanità nostra e altrui.

Dai padri fondatori degli Stati Uniti a Giulio Andreotti

Il meglio della tradizione politica europea e occidentale anche moderna si è ispirato in modi più o meno espliciti a questo approccio, pur tra molti errori e mille contraddizioni. Vi s’ispirarono i padri fondatori degli Stati Uniti d’America, uno dei quali spiegò che “siamo amici della libertà ovunque nel mondo, ma non andiamo all’estero in cerca di mostri da distruggere”. Vi s’ispirarono i padri democristiani dell’unità europea Adenauer, De Gasperi e Schuman, patrioti antinazionalisti portatori di un realismo aperto all’eterno, e quindi sensibile all’insopprimibile impulso sovranazionale dell’ordine politico europeo.

Vi s’ispirarono tanto il cattolico conservatore Charles de Gaulle, salvatore e poi timoniere della Francia per oltre dieci anni, quanto l’eterno statista della nostra destra democristiana Giulio Andreotti, grande architetto della politica estera della Prima repubblica che più realista non si poteva. E vi s’ispirarono i fondatori stessi del conservatorismo contemporaneo: l’irlandese Edmund Burke, immortale fustigatore della Rivoluzione francese ma anche patrocinante del “commonwealth d’Europa”; e l’aristocratico illuminista e cosmopolita principe di Metternich che, scaltro maestro delle più sottili manovre, dichiarò di aver eretto l’Europa a sua patria e scelse di operare sulla base del principio che “la forza risiede nel diritto” (Kraft im Recht).

L’errore che fanno alcuni conservatori

Negli ultimi decenni, troppi cosiddetti conservatori hanno abbandonato il realismo cristiano a vantaggio ora di un idealismo guerreggiante di ascendenza wilsoniana ora di un brutale realismo machiavellico e nazionalista. Trai primi vanno citati a giusto titolo i cosiddetti neoconservatori americani e i loro emuli nostrani, che tanto danno hanno recato all’America e all’Occidente con le loro supponenti fantasie. Trai secondi senza dubbio i nazional conservatori di stampo trumpiano, che ne hanno recato altrettanto col loro cinismo corrosivo di ogni alleanza e di qualsiasi solidarietà internazionale. Tutti costoro portano almeno parte della responsabilità per la crisi in cui siamo ora piombati.

Dai demoni degli uni e degli altri dovranno liberarsi al più presto quanti oggi vogliono ancora dirsi conservatori, popolari e liberali moderati. Solo così essi potranno dedicarsi con qualche speranza di successo al compito gravosissimo di erigere un ordine internazionale che, pur corrispondendo alla nuova realtà dei mutati rapporti di forza e dando adeguato peso agli interessi, alle aspirazioni e persino alle paure delle grandi potenze, non sacrifichi però quelli altrettanto legittimi dei popoli e dei paesi minori e non interrompa del tutto il cammino, per tanti aspetti unitario, intrapreso dal genere umano nell’ultimo trentennio.

Federico Ottavio Reho è coordinatore della ricerca del Wilfried Martens Centre for European Studies di Bruxelles e membro del St. Anthony’s College dell’Università di Oxford 

Foto Ansa

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