Non capita tutti i giorni che la direttrice di un centro abortivo, invece di cacciarli via, chieda di pregare a una schiera di pro life, radunati a dire il rosario all’esterno di una clinica della Planned Parenthood. È quello che è accaduto nell’aprile del 2011 a Sherman, in Texas. La vicenda è raccontata nel libro di recente pubblicazione Redeemed by Grace, scritto dalla protagonista della vicenda, Ramona Trevino.
LA RADIO. La donna, da anni impiegata nella clinica abortiva texana, è stato promossa a direttrice nel 2011. Appena assunto il nuovo incarico, però, cominciò a provare una tristezza profonda: «Cosa c’è che non va, Mona?», si chiese sul tragitto di casa dopo il primo giorno di lavoro come direttrice. In auto, al posto della musica, aveva cominciato ad ascoltare un’emittente cattolica «scoperta solo quattro mesi prima», perché «i programmi mi sfidavano e attraevano nello stesso tempo». Un giorno alla radio sentì queste parole: «La contraccezione è la strada all’aborto, (…) saremo tutti davanti a Dio e penso che ci chiederà: cosa hai fatto?». In quel momento, scrive la donna, «mi feci piccola, era come se Dio stesse parlando a me».
«NON È TARDI!». Tornata a casa scoppiò in lacrime confessando al marito di temere «per la mia anima», perché «è come se mi cadessero delle squame dagli occhi (…) e vedo che tutto quello che ho fatto finora è sbagliato». A Trevino tornarono alla mente le «centinaia di donne» che «cercavano risposte e venivano per trovare qualcuno che desse loro un po’ di speranza». Invece «io gli davo depliant sul sesso sicuro e scatole di pillole».
Anziché aiutarle, «avevo solo peggiorato le cose per ognuna di quelle giovani preziose donne». Disperata, mentre il marito la tranquillizzava offrendole il suo sostegno per cambiare vita, cominciò a sentire dentro di sé una voce che la confortava: «Non è troppo tardi! (…). E provai la pace di stare con Dio».
CATTOLICA ADULTA. Eppure, a differenza di Bernard Nathanson, il primo “convertito” alla causa pro life che svelò le strategie con cui «in soli 5 anni riuscimmo a costringere la Corte Suprema degli Stati Uniti ad emettere la decisione che nel 1973 legalizzò l’aborto», il background di Trevino non è assolutamente quello di un’anticlericale. Anzi, a 12 anni capì che voleva farsi suora come la piccola Bernadette di Lourdes, ma come scrive «un seme piantato nella terra senza il giusto nutrimento non può dare frutto». A 16 anni poi rimase incinta. Non pensò mai all’aborto, ma crebbe come una cattolica convinta che «ognuno ha la sua opinione» e che «se fossi stata pro life allora avrei giudicato qualcuno». Perciò, di fronte al fatto che la Planned Parenthood offriva uno stipendio alto per lavorare solo tre giorni alla settimana, Trevino decise di accettare.
I COLLOQUI. «Mi dicevo che in fondo non contribuivo direttamente all’aborto», dato che la sua funzione era solo quella di fare colloqui. Sebbene «dopo la mia prima consulenza andai nel mio ufficio e piansi. Fu molto difficile, molto, molto dura. Mi sentii davvero in colpa». Ma poi «la mia vita era comoda» ed «è così che il maligno ci inganna, cerca di dipingere un bel quadro di, “beh, questo è un bene per te, questa è una bella immagine, è tutto perfetto in questo momento”. Perché rovinare una cosa buona?».
«NON GLI IMPORTA DELLE DONNE». Trevino andò avanti, finché la Planned Parenthood non le chiese di incrementare il budget facendo più consulenze: «Fu una delle cose che mi permisero di cominciare a vedere che delle donne non gliene importava nulla e che erano interessati solo ai soldi». A influire sul suo cambiamento sono stati anche i video nascosti pubblicati dall’associazione pro life Live Action, che mostrano come alcune dipendenti delle cliniche della Planned Parethood non si facciano problemi a spingere delle minorenni, nel caso di un famoso video attrici presunte schiave della prostituzione, ad abortire per coprire i colpevoli. Di fronte allo scandalo, i responsabili delle cliniche del Texas furono radunati. Trevino si aspettava un incontro per individuare i responsabili, invece furono date istruzioni su come proteggersi da ulteriori tranelli della Live Action. «A quel punto tornai e andai dalla mia collega dicendole: “Basta. Questo è tutto. Devo trovare un altro lavoro”».
LA LETTERA DI DIMISSIONI. Così si arriva a quel giorno del 2011, quando Trevino chiese ai pro life di pregare per lei. Lo fece perché aveva ascoltato alla radio la storia simile di Abby Johnson, l’ex abortista salvata dalle suppliche dei pro life. «Ricominciai a pregare anche io. Dopo tre giorni, fui guarita dalla cecità». Una settimana dopo Pasqua, il primo maggio, Trevino trovò il coraggio di licenziarsi: «Il 6 maggio lasciai la mia lettera di dimissioni sulla loro scrivania e mi assicurai che tutto fosse in ordine. Misi le mie chiavi sul tavolo. E questo era tutto. Non mi sono mai più voltata indietro».