Contenuto riservato agli abbonati
Aveva 14 anni quando arrivò la chiamata di suo fratello più grande dall’Iran. Poche parole: «È morto nostro padre». Non pianse, il ragazzino: Ramin Bahrami sedette al pianoforte e disperatamente iniziò a suonare, lasciando sgorgare come lacrime le note lugubri e tristi di un Improvviso di Schubert per tutta la casa milanese. Non vedeva il padre Parviz Bahrami, ingegnere e musicista, da quando questi, sette anni prima, era stato arrestato per tradimento e cospirazione a Teheran: nel 1983 era stato inghiottito dalle galere rivoluzionarie e da lì non sarebbe più uscito vivo. «Ancora oggi non sappiamo come è morto, né dove si trovano i suoi resti. Voleva una scuola moderna, era stato accusato di essere un oppositore della Repubblica islamica e di aver collaborato alle riforme culturali dello scià Reza Pahlavi in quel porto di civiltà, cultura e splendore indoeuropeo che era la Persia millenaria della mia infanzia», racconta a Tempi l’immenso pia...
Contenuto a pagamento
Per continuare a leggere accedi o abbonati
Abbonamento full
€60 / anno
oppure
Abbonamento digitale
€40 / anno