«Ragazzi, ve lo spiego io come si trova un lavoro. Anche nella crisi peggiore degli ultimi ottant’anni»
In Italia le occasioni per lavorare non mancano, nemmeno nell’«anno peggiore della crisi peggiore degli ultimi ottant’anni». Quello che manca, invece, sono «servizi di orientamento scolastico e professionale che funzionino». Così il giuslavorista Pietro Ichino, senatore di Lista Civica, commenta lo stato in cui versa il mercato del lavoro italiano, dove resta grave lo scollamento tra il percorso scolastico e formativo intrapreso dai più giovani e l’effettiva domanda di impieghi e professioni. Ichino, per questo motivo, per aiutare gli studenti a orientarsi in vista della ricerca del lavoro, ha scritto un libro che si intitola Il lavoro spiegato ai ragazzi. E anche ad alcuni adulti, edito da Mondadori. Una dispensa di utili consigli da mettere a frutto, nell’attesa che sia la politica a intervenire per riformare un mercato del lavoro sempre più ingessato, adeguandolo agli standard minimi dei paesi europei più avanzati. Come l’Inghilterra e i paesi del Nord Europa, che si ispirano alla “flexsecurity” e dove è possibile fare carriera perché «il merito viene valorizzato».
Professor Ichino, il mercato del lavoro in Italia è davvero troppo complesso perché un giovane possa affrontarlo da solo senza che gli venga spiegato da qualcuno?
Non è che da noi il mercato del lavoro sia più complesso rispetto agli altri paesi evoluti. È che in tutti i paesi evoluti i giovani hanno maggiori difficoltà di ingresso rispetto alle persone mature, ma negli altri paesi ci sono servizi di orientamento scolastico e professionale che funzionano molto meglio che da noi.
Cos’è che rende più complesso l’ingresso per i giovani?
Innanzitutto i giovani che escono da un ciclo scolastico non hanno una storia professionale da cui si possano trarre informazioni sulle loro attitudini e caratteristiche: il che costituisce per loro un handicap rispetto a chi ha qualche esperienza di lavoro alle spalle. Inoltre i giovani, rispetto alle persone mature, dispongono molto meno delle reti professionali e di altro genere, necessarie per avere le informazioni sulle occasioni di lavoro esistenti e le “presentazioni” eventualmente necessarie.
I più giovani hanno ancora qualche possibilità di trovare un lavoro in Italia?
Guardi, nel corso del 2012 – probabilmente l’anno peggiore della crisi peggiore degli ultimi ottant’anni – in Italia sono stati stipulati dieci milioni di contratti di lavoro, di cui un 1,7 milioni a tempo indeterminato. E ancora più sorprendente è che questi contratti erano abbastanza ben distribuiti fra nord, centro e sud del paese: in Sicilia nello stesso 2012 un milione e mezzo di contratti, di cui 189 mila a tempo indeterminato. Non sono, ovviamente, nuovi posti: nello stesso anno, infatti, le cessazioni hanno superato le assunzioni; ma sono occasioni di lavoro che si sono aperte, alle quali sarebbe stato possibile concorrere. Dunque, anche nel momento più nero della crisi non è vero che sia assolutamente impossibile trovare un lavoro. Né per chi ha meno di trent’anni, né per chi ne ha più di cinquanta: uno su sei dei nuovi contratti è stato stipulato con ultra-cinquantenni. Certo, le persone professionalmente più deboli hanno bisogno di un aiuto, che oggi in Italia viene dato loro troppo poco.
Un giovane per trovare lavoro deve accettare qualsiasi tipo di contratto gli venga offerto?
Un buon servizio di orientamento serve anche per avere maggiore possibilità di scelta e per avere un consiglio da persone competenti su che cosa è bene accettare e che cosa si può rifiutare.
In linea generale, è meglio cercare il lavoro della vita o accettare qualsiasi cosa rinunciando ai propri sogni?
Cercare il lavoro che meglio corrisponde alle proprie aspirazioni, se sono aspirazioni realistiche, ragionevoli, è quello che tutti i giovani devono fare. Ma essi non devono commettere l’errore di restare disoccupati in attesa di trovarlo, quel lavoro ideale. Ai miei laureati che venivano a dirmi che non trovavano subito un lavoro corrispondente a quello che avevano studiato suggerivo di andare per tre mesi a Londra, farsi assumere, per qualsiasi lavoro, da un’agenzia di lavoro temporaneo: receptionist, commesso di negozio, magazziniere, merchandiser, o qualsiasi altro mestiere. Nel peggiore dei casi, tornavano in Italia avendo perfezionato il loro inglese e avendo un primo “mattoncino” nel loro curriculum, molto significativo perché mostrava la loro intraprendenza, curiosità, mobilità, adattabilità.
E in Inghilterra lo trovavano, il lavoro?
Sì, perché lì il mercato del lavoro è molto più fluido che da noi. E anche solo il fatto di parlare bene l’italiano costituisce una qualifica richiesta in diversi settori. Alcuni miei studenti, poi, già in Inghilterra sono passati dai livelli professionali più bassi a quelli più alti: uno che era partito come receptionist di albergo è diventato il capo del servizio di sicurezza di un altro grande albergo; uno che era partito come commesso di grande magazzino è diventato il numero due del servizio personale.
Sta suggerendo a chi cerca lavoro di lasciare il paese?
Il mio non era un invito a trasferirsi stabilmente all’estero: era solo un incoraggiamento a essere mobili e a non rassegnarsi mai a rimanere con le mani in mano. Era un po’ la concretizzazione di quel che avevo insegnato loro sul piano teorico, per incoraggiarli a ribellarsi al modello tipicamente mediterraneo del ragazzo che resta attaccato alla famiglia fino a trent’anni e oltre: la probabilità di trovare il lavoro che si cerca, infatti, aumenta in ragione del quadrato dell’aumento del raggio della propria disponibilità a muoversi. Detto in termini più semplici: se il raggio di mobilità raddoppia, le occasioni di lavoro si moltiplicano mediamente per quattro; se il raggio si decuplica, le occasioni di lavoro si moltiplicano mediamente per cento. Certo, occorre anche avere buoni servizi di informazione sulle occasioni esistenti; e questi in Inghilterra, come in Olanda e nei paesi scandinavi abbondano più che altrove.
Nel libro lei contrappone il modello “mediterraneo” di mercato del lavoro, più ingessato, a quello nord-europeo della “flexsecurity”. Quanto pesa, sul futuro dell’Italia, il rimanere ancorata al modello “mediterraneo”?
Quello che i sociologi e gli economisti chiamano “mediterraneo” – caratterizzato dalla dipendenza dalla famiglia di giovani e vecchi, dalla maggiore vischiosità del mercato del lavoro, dal basso tasso di occupazione femminile, dall’iscrizione all’università a un passo da casa, dall’età più alta di ingresso dei giovani nel mercato del lavoro – è un modello a lungo andare sempre meno compatibile con la nostra capacità di competere con i nostri maggiori partner europei. Oggi paghiamo il restare attaccati a questo modello con la fuga dei nostri giovani migliori verso paesi che hanno un sistema universitario migliore e un mercato del lavoro più fluido, dove quindi il merito viene valorizzato di più, senza lunghe anticamere e senza che l’appartenenza familiare abbia un peso decisivo. Ma qui ci sarebbe da dire un’altra cosa.
Quale?
Il male non sta nel fatto che molti nostri ragazzi più bravi vadano a studiare o a lavorare all’estero: questo fa parte degli effetti positivi della globalizzazione, che non dovrebbero preoccuparci per nulla. Il male sta nel fatto che non vengano a studiare o a lavorare da noi altrettanti ragazzi bravi stranieri.
Dobbiamo rassegnarci a che la flexsecurity resti solo nel nord-Europa?
No. Cambiare equilibrio è difficile, ma non impossibile. E oggi tutti in Italia si stanno accorgendo che è indispensabile: per quanto difficile, dobbiamo farcela. Anche la vittoria di Matteo Renzi nelle primarie del Pd è il segno che la nostra cultura sta cambiando rapidamente, anche in questo aspetto.
Come si passa dall’equilibrio mediterraneo a quello che lei indica come preferibile?
Spostarsi da un equilibrio a un altro è sempre una cosa molto difficile: per definizione, una situazione di equilibrio è una situazione dalla quale il sistema non esce per il progressivo diffondersi di una iniziativa in questo senso dei singoli. Occorre una scelta politica che coinvolga molti soggetti; ed è una scelta per attuare la quale si deve agire su molte leve: non solo la disciplina del mercato del lavoro, ma anche i servizi che lo innervano, incominciando da quelli di collocamento e di formazione professionale, il sistema scolastico e universitario, e anche la cultura diffusa, che determina i comportamenti delle famiglie.
Prima il mercato del lavoro o prima il sistema dell’istruzione?
Insieme.
Quella del mercato del lavoro, secondo lei, è una delle riforme da mettere nella lista delle riforme costituzionali non più rinviabili?
Non direi proprio. Questo è un terreno sul quale il legislatore ordinario non dovrebbe subire vincoli nella propria libertà di scelta. E poi, questa non è una riforma che si compia principalmente con interventi legislativi: sono forse ancora più importanti le politiche consistenti nell’acquisizione di un know-how di cui oggi i nostri servizi pubblici al mercato del lavoro mancano quasi totalmente.
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10 commenti
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Sono tutte balle !
Tutti gli italiani criminali -farabutti -lazzaroni-fannulloni-parassiti che vivono sulle spalle del popolo italiano da sempre sparano scemenze simili a queste !
L” Italiano criminale -lazzarone e farabutto più o meno da sempre ripete sempre lo stesso identico ritornello .
Esempi di vecchie balle italiane divulgate da sempre da questi italioti criminali-lazzaroni-parassiti :
1) basta avere voglia di lavorare è in Italia un lavoro lo trovi sempre .
(questa è la classica vecchia menzogna italiana che la sento ripetere dai soliti italiani criminali da ben 46 anni e né ho 50 ).
2) gli immigrati stranieri vengono tutti in Italia perché qui manca la manodopera .
(Questa menzogna la sento dire dai soliti italiani criminali dal lontano 1980 ).
3) gli italiani criminali ripetono da sempre la vecchia menzogna che per trovare un lavoro in Italia non è impossibile e basta darsi da fare ed essere flessibili .
(traduzione : in parole povere se vuoi avere un lavoro in Italia devi accettare di lavorare quasi a gratis e devi accettare di essere trattato peggio di un schiavo negro USA del lontano 1800 )
Disoccupato da 11 mesi. Sono macchinista stampatore/tipografo/carwtapper/serigrafo/ecc. Nel 2009 vengo licenziato dopo 6 anni di lavoro di cui 5 in nero e uno con regolare contratto a tempo”” indeterminato””!!! “”Fortunatamente “”trovo lavoro tramite agenzia interinale presso una grossa editoria ho lavorato tutti i giorni ma sempre con contrattini da manovalanza comune mentre la mia posizione era di macchinista stampatore off-set. Per nn parlare del secondo di macchina alias mio assistente ragazzini buttati alla riscossa senza un minimo di formazione su macchine se pur sicure pericolose!!! la legge dice :che dopo 6 proroghe o dentro o fuori!!ma non è vero! A loro basta semplicemente cambiarti AGENZIA!!! Manpower-Randstad-umana-e così via all’infinito!!! Un bel giorno di circa 11 mesi fa mi girano le cosiddette sia per il collaboratore che ogli settimana era diverso ma anche per la mia posizione, ero arrivato a 2 anni e mezzo con questa storia! Almeno ad avere la categoria che mi spettava per la posizione coperta!!! Niente da fare! A scadenza contratto chiama la cortese impiegata ricordo l’ultima compagnia G group, e mi riferisce il fatto: Sig Domenico purtroppo siamo arrivati all’ultima proroga e il nostro cliente non vi ritiene idoneo per l’assunzione!!! Chiedo scusa per la sintassi ma digito da cellulare. PS: ho 30 anni
Scusatemi, forse sono troppo tragico ma il caro sig Ichino nn ha ancora capito che qui più sei qualificato e meno lavori. Nella mia personale esperienza vi assicuro che neanche a preparare panini al mc un laureato in economia viene preso. Però come ben detto dal proff Ichino mancano i servizi di orientamento, a differenza di paesi del nord Europa che vantano i famosi Job Point che ti danno una mano sostanziosa. Quindi se un italiano, laureato magistrale,che parla due lingue ed è vecchio (29 anni) a chi si rivolge?
Caro proff Ichino dato che si è bravi a fare propaganda gentilmente ci illumini!
Ho 25 anni, una laurea umanistica, al momento non ho ancora trovato lavoro, ho solo due esperienze di tirocinio molto belle e formative.
A 19 anni avevo dei sogni ideali, un progetto diverso. Adesso, sei anni dopo, non dico di non essere riuscita a realizzarli, di essermi rassegnata e aver abbandonato quei progetti e sogni ideali, ma di essere cresciuta e aver capito meglio la realtà. Ci piaccia o no, la realtà è questa e bisogna saper essere capaci di adattarsi. È stata proprio la mancanza di una concreta prospettiva lavorativa per il futuro in questo periodo difficile a far mettere in moto la fantasia e a provare a costruirselo, cambiando i propri progetti e adattandosi alla situazione. Perché adattarsi non vuol dire rassegnarsi e abbandonare i propri progetti iniziali, tutt’altro, significa anzi non cristallizzarsi e saper andare avanti, sapersi reinventare cogliendo le occasioni che si presentano davanti, e, magari, scoprire anche nuove passioni, acquisire nuove competenze, su cui costruire nuovi progetti. Significa proprio non rassegnarsi all’immobilità, non farsi rubare il proprio futuro.
È così che io e il mio ragazzo, laureati in materie umanistiche, abbiamo deciso di non rassegnarci alla difficoltà di accedere all’insegnamento o alla ricerca, o al lavoro in archivi e biblioteche, ma di sfruttare comunque la nostra formazione culturale, la nostra forma mentis, applicandola anche in altri settori apparentemente distanti.
Ci stiamo provando, qui nella nostra terra,speriamo di riuscirci veramente, siamo solo all’ inizio. No, partire e andare a Londra iniziando facendo i commessi e diventare i capi responsabili delle vendite non è per me un successo, un sapere adattarsi migliorando i propri progetti rendendoli più realistici, questo sì che lo chiamo rassegnarsi. La mia sfida è qui. Partirò nel momento in cui non dovessi proprio riuscire a guadagnarmi nemmeno quanto basta per mangiare, vestirmi e dormire. È qui che vorrei che crescano i miei futuri figli, e non certo perché non riesco a distaccarmi dalla “comodità” della famiglia di origine, se di comodità si può parlare…
“… uno su sei dei nuovi contratti è stato stipulato con ultra-cinquantenni”.
Sì, contratto a progetto o a tempo determinato.
Prof. Ichino, conosco la sua attenzione a questi problemi: mi auguro che, dopo questa battuta che non fa molto ridere noi ultracinquantenni precari, scriva un libro dedicato a noi obsoleti, lontani dalla pensione e fuori dal mercato del lavoro.
(vada a fare una ricerca su Jobpilot, nella voce informatica o Cobol).
Con tutto il rispetto, mi sembra la solita solfa, la solita demagogia, le solite balle perbeniste sulla “flessibilità” e il “darsi da fare subito,accettare qualsiasi cosa”. Niente di nuovo. Ma allora non si parli di aspirazioni, inclinazioni, attitudini, abilità, realizzazione. Cioè un giovane deve vagare come un nomade da azienda ad azienda, magari per molti anni… un anno quì, un anno lì, sei mesi per “fare esperienza” su, altri sei mesi giù. Non dove aspira a vivere, dove il lavoro lo pretende. A me pare una grande sconfitta,altro che modernità e progresso. Senza un posto fisso, una casa, un luogo dove vivere, delle relazioni sociali relativamente stabili, un reddito a tempo indeterminato come si fa a costruirsi una vita e famiglia? Ci si riduce a robot-lavoratori che vengono sbattuti a centinaia/migliaia di km in ogni direzione in base al mero interesse economico/produttivo. Si, sarò all’antica, sarò idealista,ma la penso così.E’una sconfitta il dover adeguare a questi livelli le proprie scelte (dove vivere, lasciare gli affetti, fare ciò che non piace ecc ecc). Che poi si debba fare a volte per forza non ci piove, ma appunto è una costrizione, non c’è da vantarsene, non ci vedo dignità. Mercato fluido all’estero? E’lo schifo che stanno attuando anche quì, ripeto, gente spostata quà e là con contratti brevi, brevissimi…poi via a fare le valigie e partire a 1000km per ripetere la tiritera. E li fanno pure sentire importanti, dinamici, svegli, produttivi! E non si citino i (pochissimi) casi di eccellenze che da commessi diventano responsabili della sicurezza, quelle sono appunto eccezioni.
La vittoria di Matteo Renzi alle primarie è il segno che da noi la cultura sta cambiando……è una battuta simpatica Prof Ichino ?
Sono un ragazzo di 27 sto cercando lavoro ho voglia di lavorare e sono serio e puntuale. Non pretendo tanto l’importante e lavorare x essere in grado di mantenerti. Mi piacerebbe lavorare in un supermercato come magazziniere però non sono nella situazione di dire no. Lsscio contatto se qualcuno serve personale sono disponibile da subito
Sono un ragazzo di 27 sto cercando lavoro ho voglia di lavorare e sono serio e puntuale. Non pretendo tanto l’importante e lavorare x essere in grado di mantenerti. Mi piacerebbe lavorare in un supermercato come magazziniere però non sono nella situazione di dire no. Lsscio contatto se qualcuno serve personale sono disponibile da subito il numero e 3486622752
Dal 2008 che non lavoro invio ogni giorno curriculum olte a non trovare niente hanno tentato di truffarmi facendomi inviare i miei dati e con tanto di contratto ora hanno i dati anche bancari, ho dovuto vendere la casa, e non ho intenzione di andare all estero, cosa mi consiglia.