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Quell’iceberg in riviera

Il Meeting ha festeggiato la sua ventesima edizione con una straordinaria affluenza di personalità, pubblico e presenza sui massmedia. Ecco, nel diario di uno dei promotori e protagonisti dell’evento riminese, un panorama sintetico di un fatto che genera apertura, amicizia, pace. Nel popolo, e tra i popoli

Giorgio Vittadini
08/09/1999 - 0:00
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Il Meeting presenta sempre due filoni di tematiche: uno di interesse più generale, con la presenza di illustri personalità del mondo culturale, politico ed economico internazionale di cui parlano tutti i giornali; l’altro, più legato al tema della manifestazione e del quale i giornali di solito tacciono o segnalano con molta discrezione. Quest’anno però, a differenza di altre edizioni, anche le cronache giornalistiche hanno dovuto registrare l’evidente contiguità dei due filoni. E così, come si è scritto, “il Meeting è esploso”. Non soltanto come affluenza di personalità di spicco e visitatori (+30% rispetto al precedente), ma anche come “notizia” sui massmedia.

Conoscenza è stupore Il tema profondo del Meeting è stato segnato innanzitutto dall’incontro e dal dialogo con lo scrittore ebreo americano Chaim Potok, la cui narrativa si spinge sempre oltre il confine del mondo ebraico. In continuità con il dialogo tra Potok e monsignor Albacete, l’incontro sul tema della Croce nella sua evoluzione dalla cultura greco-orientale alla cultura occidentale. Il mistero della croce rinvia anche al tema dello stupore come bellezza, un esempio tra tanti, la grandiosa mostra sui mosaici dall’epoca romana ad oggi. Nello stesso solco gli appuntamenti che hanno visto un’eccezionale affluenza di pubblico: quello col teologo spagnolo Javier Prades sul titolo del Meeting (“L’ignoto genera paura. Il Mistero genera stupore”), con l’astrofisico Marco Bersanelli sulle origini dell’universo, con i ragazzi del ’99, l’apertura pubblica al significato del Giubileo suggellata dalla presenza di monsignor Crescenzio Sepe e l’incontro finale, in assoluto il più partecipato dai visitatori del Meeting, sul testo di don Giussani “L’attrattiva a Gesù”. Si è trattato di una serie di meeting dentro il Meeting, che non solo hanno descritto, ma hanno fatto realmente vivere l’avvenimento dello stupore come posizione di apertura verso tutta la realtà e tutti i popoli, atteggiamento che fa percepire l’ecumenismo come la prima, non intellettuale e non specialistica delle questioni. Un tema che trattiamo da vent’anni: ecumenismo, cioè amicizia tra i popoli, sorta di sussidiarietà mondiale.

Amor mundi (dall’Algeria agli Usa) Trattando di politica internazionale, quest’anno ci siamo concentrati sul Mediterraneo, tema che ci è caro perché invita a rappresentarci un’idea di Europa non schiacciata sul mondo anglosassone, concepita come ponte tra mondi diversi, tra Nord e Sud, Est e Ovest. Un’Europa che, se vive la vicinanza con il mondo americano e sente la presenza del mondo ebraico come parte fondamentale della propria identità (compreso la realtà dello stato di Israele), dialoga anche col mondo arabo, favorendone una crescita non fondamentalista, e si apre a Est come a un mondo che le appartiene. Sotto questo profilo di particolare rilevanza è stato l’intervento del presidente dell’Algeria Abdelaziz Bouteflika che in un discorso pronunciato sia all’Al-geria – la cui tv era collegata via satellite con Rimini – sia al mondo Occidentale, ha scelto il Meeting come ambito per lanciare il suo ardito piano di pacificazione nazionale. Un progetto certo molto più coraggioso di quanto si sia ragionato e immaginato fino ad oggi in Italia per trovare una soluzione politica all’epoca di Tangentopoli. Nel tentativo di ricostruire un paese devastato da un terrorismo fratricida, il presidente algerino ha infatti offerto un “perdono nazionale” per tutti coloro che non si sono resi responsabili di fatti di sangue, sottolineando al tempo stesso il valore positivo della presenza della Chiesa cristiana in terra araba e musulmana, bollando tra l’altro la presunta opera di mediazione compiuta da Sant’Egidio come un caso di interferenza che non ha fatto altro che complicare il problema algerino. Altro appuntamento significativo è stato l’incontro sul Kosovo, dove abbiamo visto sedere insieme il serbo moderato Milan Komlenic, vicepresidente del partito del rinnovamento serbo di Vuk Draskovic, e il leader kosovaro Ibrahim Rugova, che per la prima volta dopo la guerra, sebbene su posizioni politiche differenti, hanno parlato di convivenza nei Balcani. Di non minore rilievo è stato l’intervento del vice primo ministro iracheno Tarek Aziz, che ha annunciato la visita del Papa e denunciato l’embargo come distruzione della vita di un popolo.

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Si è cioè aperto un dialogo con chi invoca un’Europa non subordinata agli Stati Uniti: come hanno ribadito anche protagonisti italiani di dibattiti internazionali, il ministro Dini e l’applauditissimo Andreotti, il quale alla pax americana ha contrapposto l’idea di pax cum america , convivenza e fedeltà all’America, ma con la coscienza della propria indipendenza e della propria identità. Così che, pur riconoscendo il ruolo che spetta alla nazione che moralmente si sente interprete dei destini del mondo, si è ricordato la necessità di non risolvere i conflitti con la politica delle cannoniere, che tra l‘altro favoriscono i fondamentalismi.

Più Europa, più lavoro Sulla stessa linea sono stati gli interventi di Romano Prodi (che ha sottolineato come l’Europa ha fatto meno di quanto potrebbe e dovrebbe fare), quello del rappresentante papale monsignor Martin (che ha illustrato la politica vaticana proprio in coincidenza col monito rivolto dagli Stati Uniti al Papa, sconsigliandolo di dar seguito alla sua annunciata visita a Bagdad) e quelli di monsignor Martinelli e monsignor Twal, rispettivamente vescovi di Tripoli e di Tunisi, che hanno ribadito la necessità di un dialogo tra mondo musulmano e cristiano. Lo stesso slogan ricordato da Dini e ripreso da Paolo VI, “Il vero nome della pace è lo sviluppo”, delinea lo spirito dell’azione svolta dal Meeting, che nasce da una concezione ecumenica intesa come confronto tra identità, non come appiattimento e omologazione. Ricordo anche l’incontro sull’immigrazione con il ministro Livia Turco e Marcello Pacini della Fondazione Agnelli, la relazione di Tommaso Padoa Schioppa e, in particolare, l’intervento molto discusso di Cesare Romiti, il quale ha illustrato in tutta franchezza il pesante gap in cui versa la politica sull’occupazione, problema numero uno in Italia e in Europa. E dal lavoro discende tutto il tema della sussidiarietà affrontato al Meeting: il soviet sanitario perseguito dalla signorina Rosy Bindi, l’incontro con Dario Antiseri e l’eurodeputato Mario Mauro che ha rilanciato la battaglia sulla parità scolastica, il dibattito con i professori Francesco Gentile e Dario Velo, il tema del no profit, che abbiamo affrontato con la relazione del più grande esperto mondiale del settore, Helmut Anheier….

Nel segno del carisma In definitiva, questo Meeting segna l’idea di un carisma che abbraccia e si afferma in tutto il mondo e di cui l’espressione più evidente riportata sui giornali è solo la punta di un iceberg, la punta di una stessa cultura che unisce tutti questi interessi e che è stata percepita anche da molti giornalisti perché loro stessi partecipi di un avvenimento. Per questo la gente viene a Rimini e vuole tornarci. Per questo è vinta la battaglia con chi, qualche anno fa, diceva: “se non invitate i segretari dei partiti e non discutete della politica partitica, dei centri che si aggregano e si disgregano, non sarete una notizia”. Noi parliamo anche di politica – pensiamo all’incontro Guazzaloca-Formigoni – ma come risposta ai bisogni delle persone e partendo dai problemi reali del popolo.

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