Quel Sud tradizionale che resiste ai panini ciuf ciuf

Di Massobrio Paolo
22 Settembre 1999
Il bicchiere. Enogastronomia politica

Anni fa, l’umorista Bruno Gambarotta, condusse un’inchiesta per la sede Rai di Torino per verificare quali erano i principali fattori di adattamento delle famiglie meridionali emigrate al Nord. Dei tre indicatori presi in esame: abbigliamento, arredamento e alimentazione, il più restio ai cambiamenti fu proprio l’alimentazione. Solo chi è nato giù, del resto, può capire il valore affettivo di quelle bottiglie d’olio saporose o delle taniche di rosso di Manduria che viaggiano sui treni fino alle città del Nord.

Raffaele e Angela sono stati fortunati, si uniranno in matrimonio il 2 ottobre, ma Gianni e Marina dovranno attendere fino al 19 agosto del 2000. Prima di allora nessun ristorante era libero per ospitare il loro pranzo nuziale. “Ma fai un catering” direte voi. A quel punto il volto dell’amico si tingerà di scuro, quasi aveste emesse una bestemmia o, per educazione, una semplice scemenza. A me fa tenerezza questo attaccamento alle tradizione, alle origini: lo reputo una delle cose più serie ed educative nella vita di una persona, al di là degli esempi citati . Dicono di un punto fermo, di una radice, di un’attaccamento e anche di un’appartenenza. E poi di un’etica del rispetto e dell’accoglienza.

Per questo credo che il Sud sarà una grande resistenza all’omologazione ed ai panini ciuf ciuf. Ma gastronomia è davvero così importante? Guardiamo due fatti. In Francia Mc Donald’s ha dovuto mettere il paté nei suoi Big Mac ed il Roquefort nei Cheeseburgher, altrimenti i contadini, che un’identità ce l’hanno, versavano letame davanti ai loro negozi colorati. E se in Lombardia l’anti Formigoni sarà il tristanzuolo Martinazzoli, in Piemonte hanno pensato a Carlin Petrini, fondatore di Arcigola Slow Food, per contrastare Enzo Ghigo.

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