Anni fa, l’umorista Bruno Gambarotta, condusse un’inchiesta per la sede Rai di Torino per verificare quali erano i principali fattori di adattamento delle famiglie meridionali emigrate al Nord. Dei tre indicatori presi in esame: abbigliamento, arredamento e alimentazione, il più restio ai cambiamenti fu proprio l’alimentazione. Solo chi è nato giù, del resto, può capire il valore affettivo di quelle bottiglie d’olio saporose o delle taniche di rosso di Manduria che viaggiano sui treni fino alle città del Nord.
Raffaele e Angela sono stati fortunati, si uniranno in matrimonio il 2 ottobre, ma Gianni e Marina dovranno attendere fino al 19 agosto del 2000. Prima di allora nessun ristorante era libero per ospitare il loro pranzo nuziale. “Ma fai un catering” direte voi. A quel punto il volto dell’amico si tingerà di scuro, quasi aveste emesse una bestemmia o, per educazione, una semplice scemenza. A me fa tenerezza questo attaccamento alle tradizione, alle origini: lo reputo una delle cose più serie ed educative nella vita di una persona, al di là degli esempi citati . Dicono di un punto fermo, di una radice, di un’attaccamento e anche di un’appartenenza. E poi di un’etica del rispetto e dell’accoglienza.
Per questo credo che il Sud sarà una grande resistenza all’omologazione ed ai panini ciuf ciuf. Ma gastronomia è davvero così importante? Guardiamo due fatti. In Francia Mc Donald’s ha dovuto mettere il paté nei suoi Big Mac ed il Roquefort nei Cheeseburgher, altrimenti i contadini, che un’identità ce l’hanno, versavano letame davanti ai loro negozi colorati. E se in Lombardia l’anti Formigoni sarà il tristanzuolo Martinazzoli, in Piemonte hanno pensato a Carlin Petrini, fondatore di Arcigola Slow Food, per contrastare Enzo Ghigo.