«Il vero pericolo, secondo me, non è che gli innamorati si adorino a vicenda, ma che essi facciano dell’eros un idolo»: così nota giustamente Clive Staples Lewis nelle sue osservazioni sull’amore.
Si può parafrasare la riflessione di Lewis ritenendo che, oggi, dell’amore si è fatto un idolo come comprova la pretesa che sia giuridicamente riconosciuto il rapporto di chiunque fondi il proprio legame su questo sentimento, disconoscendo, all’un tempo, tutte le difficoltà che da una simile legalizzazione troverebbero scaturigine.
L’assunto, paradossalmente adottato anche da una parte dei giuristi che proprio per i loro studi dovrebbero essere refrattari a simili logiche, è che l’amore costituisce la base dell’esistenza.
In un periodo storico in cui l’umanità è disgregata e disgregante, in cui aumentano il cinismo, la lontananza politica e relazionale, in cui si affastellano i rapporti intersoggettivi soltanto sulla base dell’interesse economico o di potere concretamente esercitabile, in cui la violenza genera diffidenza e la diffidenza altra violenza, sembra che soltanto l’amore sia rimasto in piedi come unico pilastro a tenere insieme l’edificio pericolante della società.
L’amore sembra essere rimasto l’unico collante tra gli esseri umani, l’unico appiglio comune tra enti destinati ad essere sostanzialmente soli, l’unico bagliore di speranza dietro le righe oscure della realtà.
L’amore rappresenta per l’umanità contemporanea l’unica dimensione autentica della realtà, l’unica prospettiva di senso della vita: sembra ci si debba rassegnare tutti all’amore che sfidando tutto e tutti trionfalmente è destinato a vincere ogni cosa.
Ma è proprio così? E di quale amore si parla? E quali conseguenze discendono da una simile visione?
Non è proprio così, poiché, occorre riconoscerlo in prima battuta, vi sono diverse manifestazioni dell’amore che ne declinano le diverse entità e dignità: l’amore per un amico, infatti, non è l’amore per il marito, quello per un figlio non è quello per un cane, quello per motivi solidaristici non è quello erotico e così via.
Ciò premesso, occorre precisare altresì che l’amore è senza dubbio un elemento portante della relazionalità umana, ma non solo non è l’unico, non può nemmeno essere schiacciato sotto la visione ideologica che oggi lo dipinge sostanzialmente come un sentimentalismo universalistico indifferenziato ed indifferenziabile.
L’amore, se davvero tale, come la giustizia, necessita delle differenze e delle distinzioni, poiché se così non fosse non si potrebbe amare al massimo grado, cioè nonostante i difetti altrui, ma si cercherebbe soltanto di plasmare e modellare l’altro a propria immagine e somiglianza.
L’amore nasce nella e sulla differenza: ecco cosa insegna, alla luce della ragione e prescindendo dalla fede di appartenenza, il racconto biblico della creazione di maschio e femmina così creati da Dio.
L’amore non significa né soggiogare l’altro alla propria volontà, né omologarsi all’altro, ma convivere nella complementarietà della differenza. Ecco perché la vita, piaccia o meno, può nascere, biologicamente ed esistenzialmente, soltanto se si incontrano i diversi per definizione, cioè il maschio e la femmina.
Come precisa sant’Agostino, infatti, «Dio non produsse ciascuno dei due separatamente, congiungendoli poi come stranieri, ma creò l’una dall’altro, e il fianco dell’uomo, da cui la donna fu estratta e formata, sta ad indicare la forza della loro congiunzione».
L’amore, inoltre, non può contrastare la ragione che della realtà umana è l’altro imprescindibile elemento costitutivo. Ecco perché amare gli animali più degli esseri umani è sbagliato, ingiusto ed irragionevole, cioè in definitiva non umano, come ricorda proprio papa Francesco nella sua enciclica “ambientalista”: «È evidente l’incoerenza di chi lotta contro il traffico di animali a rischio di estinzione, ma rimane del tutto indifferente davanti alla tratta di persone, si disinteressa dei poveri, o è determinato a distruggere un altro essere umano che non è gradito » (Laudato si’, n. 91).
Proprio la natura relazionale dell’essere umano si fonda sulla sua natura razionale, per cui non può l’amore essere in contrasto né con la relazionalità umana, come si evince per esempio dal mito di Narciso che innamorato di se stesso si privò della possibilità di amare qualcun’altro, né con la razionalità umana, come si evince per esempio dal mito di Edipo che amò, sposandola perfino, la madre Giocasta trovandosi in contrasto sia con la natura della ragione, sia con la razionalità della natura, venendo inevitabilmente “condannato”, come ricorda lo stesso coro sofocleo: «Il tempo condanna le nozze assurde» (vv. 1213-1215).
Ecco, dunque, perché l’amore non può diventare un idolo, cioè, letteralmente, la falsa immagine di sé, accettando tutto ciò che amore autentico non è.
Ecco, dunque, perché l’amore ancestrale alla base del legame tra uomo e donna costituisce l’unica forma di autentico amore, poiché esalta la differenza conservando la relazionalità, come ricorda il filosofo ebreo Levinas: «Il sesso non è una differenza specifica qualunque […]. La relazione non neutralizza ipso facto l’alterità, ma la conserva».
Ecco, dunque, perché l’amore tra uomo e donna diviene il riferimento costante, il metro di paragone per valutare ogni altro tipo di amore che su questo si vuole modellare e ricalcare; proprio questa pretesa, tuttavia, cioè l’idea di convalidare forme di unioni diverse da quella tra uomo e donna pur rifacendosi a quest’ultima, tradisce all’un tempo l’effimera volatilità di una simile opzione e la solida autenticità dell’unione tra uomo e donna.
L’amore, quindi, per non diventare un idolo, deve essere riconosciuto per ciò che davvero è, nella sua dimensione originaria e non diversamente replicabile, poiché l’amore umano, l’amore che edifica la vita, cioè l’amore tra uomo e donna, non è né bruta istintualità, come negli animali, né mero sentimentalismo, né puro calcolo meccanicistico, in quanto l’essere umano è ben più di un animale, non è semplice emozionalità e nemmeno una sofisticata macchina.
Come puntualizza Soren Kierkegaard, infatti, «l’amore è questione di coscienza, dunque non questione di istinto e di inclinazione; e nemmeno di sentimento o di calcolo razionale».
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