Pur di accaparrarsi materie prime l’Ue rinnega l’ambientalismo
La transizione verso nuove forme di energia e di mobilità, in particolare il passaggio dal motore termico a quello elettrico per i veicoli, sta spingendo la Commissione europea ad accelerare la normativa volta a sviluppare il settore minerario per produrre almeno il 10 per cento delle materie prime critiche, in particolare terre rare, elaborando in territorio europeo almeno il 40 per cento di quelle impiegate, riducendo così la dipendenza da paesi extra Ue, in particolare dalla Cina.
L’Ue rinnega l’ambientalismo
La presentazione della bozza della legge sulle materie prime strategiche sarà presentata il prossimo 14 marzo dalla Commissione europea, ma alcune indiscrezioni stanno già circolando sui media, tra cui il Financial Times. In base alle indiscrezioni, la Commissione prevede che i progetti siano considerati di interesse pubblico e quindi vi potrebbero essere deroghe alle leggi ambientali: permessi in non più di 24 mesi per progetti minerari, con un termine di 12 mesi per quelli che prevedono solo il trattamento e il riciclaggio; possibili investimenti pubblici.
Le maglie larghe della legge rischiano di favorire la contaminazione di vaste aree per consentire l’estrazione fortemente impattante per l’ambiente come le terre rare, andando paradossalmente contro i valori ecologici del Green New Deal europeo.
Il via libera allo sfruttamento del territorio europeo per cercare materie prime rischia inoltre di essere costoso oltre che dannoso per l’ambiente. Intervistato dal Financial Times, Evangelos Mytilineos, presidente dell’ente per il commercio dei metalli dell’Ue Eurometaux, ha affermato che al momento il problema più grande per l’industria europea è rappresentato dai costi dell’energia. «A meno che non agiscano (sull’energia), allora non c’è motivo di introdurre il Critical Raw Materials Act perché non ci sarà nessuno che andrà in giro a produrre comunque materie prime critiche», ha dichiarato Mytilineos.
L’Europa dipende dalla Cina
Al momento l’Ue è fortemente dipendente dall’importazione di materie prime critiche. Secondo uno studio dell’Istituto tedesco per la ricerca economica (Diw), l’Unione europea è completamente dipendente da fornitori stranieri per 14 materie prime su un totale di 30 considerate critiche. Dalle restanti dipende comunque per il 95 per cento. L’elenco aggiornato al 2022 delle materie prime critiche contiene: antimonio, barite, berillio, bismuto, borato, cobalto, carbone da coke, spatofluorurato, gallio, germanio, afnio, terre rare pesanti, terre rare leggere, indio, magnesio, grafite naturale, gomma naturale, niobio, metalli del gruppo del platino, roccia fosfatica, fosforo, scandio, silicio metallico, tantalio, tungsteno, vanadio, bauxite, litio, titanio, stronzio.
L’Ue è di fatto totalmente legata alla Cina, che detiene il monopolio su molte di queste materie prime critiche, in particolare terre rare, sia leggere che pesanti, di cui controlla il 63 per cento dell’estrazione nel mondo, in particolare nei paesi africani, l’85 per cento della lavorazione e il 92 per cento di magneti delle terre rare. L’Ue attualmente importa inoltre il 93 per cento del suo magnesio e l’86 per cento dei suoi metalli delle terre rare dalla Cina.
I costi dell’energia sono troppo alti
Per prevenire potenziali carenze di approvvigionamento e rafforzare la resilienza, la nuova legge che verrà presentata il 14 marzo mira a «stabilire un parametro di riferimento per non dipendere da un singolo paese terzo per oltre il 70 per cento delle importazioni di qualsiasi materia prima strategica entro il 2030». Infatti, la carenza di forniture dalla Cina ha già portato a interruzioni nell’industria europea nel 2021, quando Pechino ha ridotto la sua produzione del materiale essenziale per l’industria dell’alluminio.
A fronte di questa forte dipendenza dall’estero, l’eventuale e futura estrazione di materie prime critiche sul suolo europeo dovrà fare i conti con gli alti costi che dovranno sostenere le aziende, oltre alle varie regolamentazioni statali sulle concessioni estrattive. Il settore estrattivo minerario al pari di quello chimico, altamente energivoro, è stato particolarmente colpito dai rialzi del prezzo del gas provocato dalla guerra in Ucraina, ma anche dal complesso sistema di scambio di quote di emissione di CO2, il cosiddetto Ets, schema legislativo mediante il quale l’Ue limita le emissioni di gas a effetto serra di determinate industrie richiedendo agli emettitori di restituire le quote di emissione per compensare i gas che emettono.
Non sarà la Svezia a salvare l’Ue
Sebbene i prezzi del gas naturale siano drasticamente scesi rispetto ai 350 euro per megawattora di agosto 2022, aggirandosi ora tra i 50 e i 40 euro per megawattora, sono ancora nettamente superiori rispetto al 2019-2020 quando avevano raggiungo anche minimi di 5 euro per megawattora. L’industria estrattiva e di rielaborazione di materie prime richiede grandi quantità di energia e molte aziende stanno chiudendo i battenti oppure riducendo drasticamente le loro attività, come il colosso chimico tedesco Basf, che a fine febbraio ha annunciato il taglio di 2.600 posti di lavoro.
Di recente l’annuncio della società mineraria svedese Lkab, riguardante la scoperta del più grande deposito di terre rare d’Europa, a Per Geijer a Kiruna, nella Lapponia svedese, ha rilanciato le speranze europee. Il sito ha il potenziale per coprire circa il 30 per cento del fabbisogno futuro dell’Europa, ma come affermato dal vicepresidente di Lkab, Pierre Heeroma, al sito specializzato Argus «la strada da percorrere è lunga e complessa» e con l’attuale regolamentazione ci potrebbero volere almeno dieci anni.
Foto Ansa
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