Psicoanalista freudiano spiega la linea del Partito (gay)

Di Contri B. Giacomo
28 Ottobre 2004
“Gay” significa un Partito, mascherato da più vago “Movimento”.

“Gay” significa un Partito, mascherato da più vago “Movimento”. Oggi la parola “Movimento” va forte. E non è neppure certo ormai che il Movimento-Partito sia ancora da chiamare “gay” (il tempo passa anche per il dubbiamente gaio gay-ismo).
è un Partito mondiale e trasversale, con dirigenti, militanti, un’organizzazione, un’influenza potente, una Teoria estesa e un programma estendentesi. L’ano è solo una leva, neppure l’unica. Un mezzo, non un fine.
Nei pubblici dibattiti continuiamo a caderci tutti, ossia nell’idea che staremmo parlando di omosessualità. Questa è solo un passaggio, nonché terreno di reclutamento, fin che dura.
Fin che dura, per esempio l’argomento ideologico-politico della discriminazione verso gli omosessuali. Che è solo un argomento a chi grida più forte e per primo, trattandosi di un Partito che ha l’auto-discriminazione volontaria tra sessi come programma: il reciproco apartheid dei sessi, la discriminazione del mondo secondo due o più varianti sessuali (gender), a partire dalla discriminazione reciproca e consensuale delle due “metà del cielo”. “Odiamoci democraticamente!”
La trasversalità raccoglie i suoi frutti in secolari incertezze quanto ai sessi, tanto negli individui quanto in Dottrine morali ritenute al di sopra di ogni sospetto. Inoltre, il Nazismo quanto a omosessualità “latente” non era secondo a nessuno in tutto il suo “maschilismo”. E quanto ci vorrà ancora per accorgersi che tutto il lessico ingiurioso verso l’omosessualità (c..o, cu..one, fr..io, ch..ca eccetera) è omofilo, e le è omologo? Il gay pride è una captatio benevolentiae della malevolenza apparente nei riguardi dell’omosessualità: «Chi è senza peccato scagli la prima pietra» è diventato slogan gay. Il Partito è militante fino a missionario: converte a sé anime già disposte benché ancora maldisposte.
La disposizione principale, benché nella provvisoria maldisposizione, è potente perché è una Teoria: la secolare Teoria dell’esistenza di “istinti” sessuali in natura, e dei sessi come istanza naturale “bassa” rispetto a un’istanza culturale più “alta”. Presto o tardi questa Teoria doveva sfociare logicamente nel gay-pensiero. Come pure: questo pensiero era già implicito nella distinzione protocristiana tra eros e agàpe. E l’“amore cortese” era logicamente addirittura oltre l’omosessuale, più radicalmente feticista ossia perverso. Poi la Logica si è fatta Storia.
C’è l’omosessualità del persecutore dell’omosessualità, così come c’è l’eresia del persecutore dell’eresia.
Di questo Partito, l’ano è ancora per oggi la piazza di un reclutamento militante, in analogia alla piazza della classe operaia da parte del reclutamento comunista del passato. “Omosessuali di tutto il mondo unitevi!”
E il gay pride è un atto violento, un’imposizione mediatica da Ku Klux Klan nudo, non una manifestazione pacifica.
Non sto facendo il polemista apologeta di un punto di vista già costituito e noto, anzi sono in minuscola minoranza (come ogni freudiano). Sto solo considerando che l’ano è stato irreggimentato in un Partito, ed è ormai sconfitto come la timida sede di menus plaisirs differenziali. Un Michel Foucault, Dirigente del Partito, lo sapeva già. Un ano tutto Cultura sopra la Natura. Dante ha scelto bene Brunetto Latini, colto e c…
Non abbiamo ancora misurato l’estensione del programma di questo Partito. Benché per oggi sia un programma già esteso: il matrimonio gay, ovvio annullamento della storica istituzione coniugale, ha una portata enorme, nonché giuridicamente difforme dalla paralogistica pretesa di estensione dell’esistente diritto matrimoniale ai nuovi ceti sessuali emergenti. Ma quel programma supera di molto i limiti del diritto matrimoniale.
Ma su un punto la Teoria gay ha ragione. Questa risiede in un’inferenza: se i sessi sono istinti, allora etero- e omo-sessualità sono pari. Esse sono solo varianti dell’Uno della “sessualità”. Uno-Ano: gioco di parole facile ma non banale. Sul piano logico della premessa (“istinti”) la Teoria gay ha tratto una conseguenza corretta dalla premessa scorretta delle morali più sacre e paludate.
Esiste un pensiero diverso? Io dico di sì, e non faccio altro che costruirlo e insegnarlo (a partire dall’asserto che non esistono “istinti” sessuali – né altri – se non nel delirio).
Questo delirio ha potuto venire sistematizzato nelle morali ufficiali di ogni tempo. Bisogna anche riconoscere che nessuno oggi sa proporre il matrimonio nella luce dell’appetibilità. Il Partito “gay” trae tutta la sua forza da una tradizione morale equivoca, pre-disposta anche quando prepotente e avversa. Già l’Inquisitore era un pre-iscritto al Partito. Noi psicoanalisti chiamiamo ciò “formazione reattiva”.
L’omosex nei nostri anni è solo un passepartout. Ma ha ancora un difetto: benché omo è ancora sex. Ha ancora un “vizietto”. Infatti c’è ancora penetrazione, ossia un’allusione alla differenza dei sessi: che l’omosessualità non riesce a nascondere, derivando esso come “risulta” del rifiuto di quella. Non è autonoma dalla differenza sessuale.
è proprio con la penetrazione che nella prospettiva post-omosessuale del Partito bisogna farla finita. Ora – ecco tutto – la penetrazione non è anzitutto quella genitale: la prima è intellettuale, da lingua a orecchio, si chiama intendere. L’obiezione di fondo è questa: tutto ma non intendere, ascoltare, ossia la penetrazione del pensiero.
La meta finale del Partito è un mondo in cui nessuno ascolta nessuno. Cioè l’intolleranza fatta principio.
Ma pur sempre, un Partito con il suo programma ha titolo alla cittadinanza. Lo si esamini come tale: ma chi chiama le cose con il loro nome?

*Medico, psicanalista, opera a Milano e presiede lo Studium Cartello, di cui fanno parte gli Studia “Il lavoro Psicoanalitico”, “Scuola pratica di Psicologia e Psicopatologia” e “Il Lavoro Enciclopedico”. Tra le sue opere Lexicon psicoanalitico e Enciclopedia (1987), Leggi (1989), Sanvoltaire (1993), Il pensiero di natura (1994). Ha inoltre pubblicato, con altri, La questione laica (1991) e La città dei malati (1993).

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