
Procuratori de La Repubblica
Egregio direttore, vorrei raccontarle un fatterello d’ordinaria giustizia, non tanto perché rivesta chissà quale importanza dal punto di vista della prassi giudiziaria e del costume politico, ma perché, nel suo piccolo, dice bene di quell’atmosfera strana e di quelle nebbie che – ci mancherebbe, Milano ne è la capitale-portano a confondere e a scambiare le aule giudiziarie con le aule dei Consigli comunali così che, secondo la ben nota proprietà transitiva, i processi si svolgono nelle sedi dei parlamentini democratici e le pratiche di governo municipale nei palazzi di giustizia.
Il circuito giudiziario-mediatico
Come qualcuno avrà letto, al sottoscritto, e ad altri compagni d’avventura, è capitato di vedersi recapitare un avviso di garanzia per un piano di recupero di un immobile degradato da destinarsi, tra l’altro, a strutture di recupero per disabili psichici. A parte piccole disavventure degli inquirenti che davano per approvati piani di recupero solo adottati, o che volevano imputare al sottoscritto di essere nel consiglio d’amministrazione della scuola libera iscritta alla Compagnia delle Opere in cui va mio figlio, immaginando chissà quali trame e reti occulte di interessi; tanta parte dell’accusa si reggeva sul fatto che io avrei tentato una sorta di raggiro nei confronti del Consiglio comunale portandolo ad approvare una delibera con allegato piano di recupero di cui il Consiglio non avrebbe avuto minimamente conoscenza. Anzi, di più: io avrei deliberatamente nascosto i contenuti di quella delibera e li avrei falsamente esposti per far approvare quello che alla luce del sole sarebbe stato altrimenti inconfessabile: il favoritismo nei confronti della Compagnia delle Opere. Senonché ci sono gli atti, sia delle cronache giudiziarie, sia del Consiglio comunale. Come si suole dire, carta canta. E canta così bene che tutte le altre sonatine sono apparse stonate e fuori del pentagramma, (o fuori del vaso, ma in questo caso non abbiamo a che fare con note musicali).
L’onestà di un consigliere di Rifondazione Comunista
Appena ho avuto modo di leggere gli atti, ho avuto modo di apprendere che l’ex consigliere di Rifondazione comunista Enrico Fedrighini, l’antagonista al sistema, il moralizzatore, colui da cui nasce tutta l’inchiesta e che ha fatto scattare l’esposto contro di noi, a precise domande si era premurato di rispondere che: 1) lui non aveva mai avuto conoscenza degli atti su cui il Consiglio era stato chiamato a deliberare; 2) come lui l’intero Consiglio comunale non aveva potuto far altro che rimanere all’oscuro; 3) analoga triste condizione era toccata allo stesso presidente del Consiglio comunale. Si poteva dunque immaginare un’azione di intelligence, disinformatjia e depistaggio meglio condotta e più sistematica? Peccato che, come è documentabile presso la segreteria generale per chiunque lo voglia, allo stesso ex consigliere Fedrighini, a tutti i consiglieri comunali e al Presidente del consiglio, la delibera in questione, come da prassi, fosse stata recapitata a domicilio una decina di giorni prima del Consiglio. E peccato che il 14 settembre 2000, ben 11 giorni prima del presunto consiglio del black out, il signor Fedrighini avesse apposto la sua firma per ricevuta proprio sotto quella delibera. Vede signor direttore, appena ho avuto la prova di questa evidente contraddizione, sono corso subito in Procura per una deposizione spontanea, ben lieto di poter contribuire a dissipare un equivoco e fornire elementi al lavoro degli inquirenti per il raggiungimento della verità giudiziaria. È andato tutto bene, e di tutte le mie dichiarazioni è stata presa debita nota e debita considerazione solo che, andandomene, ho avuto come l’impressione che i sostituti procuratori non fossero particolarmente felici di questo mio contributo. Ma certamente si è trattato di un’impressione erronea, né vedo per quale ragione dovrebbe essere altrimenti. Mi dicono anche che le ultime elezioni hanno certo contribuito a dissipare le nebbie, se non su Milano almeno nella testa dell’ex consigliere Fedrighini, spiegandogli che la politica si fa con la politica, in altre parole con la ricerca del consenso popolare e non con la ricerca delle aule giudiziarie. La sua qualifica di ex la deve al fatto di essere stato trombato.
0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!