Articolo tratto dall’Osservatore Romano – È stato il post di una blogger giapponese che non riusciva a ottenere un posto per suo figlio in un asilo nido a scatenare una protesta che ha indotto il governo giapponese a elaborare misure di emergenza per risolvere il problema delle lunghe liste d’attesa in moltissimi asili nido di tutto il Giappone.
In un post dal titolo “Non ho potuto ottenere asilo nido – muori Giappone!!!” una donna ha scritto che si stava preparando a lasciare il lavoro perché non aveva un posto dove poter lasciare il suo bambino. «Cosa dovrei fare adesso?» ha scritto la mamma nel post, usando un linguaggio insolitamente diretto per i giapponesi, che è stato condiviso decine di migliaia di volte sui social media. Il primo ministro ha immediatamente promesso rimedi per ridurre le liste d’attesa, il partito al governo ha istituito una task force per proporre soluzioni, e la sua coalizione ha suggerito di utilizzare fondi extra bilancio per finanziare l’operazione.
Le lunghe liste d’attesa costringono spesso molte madri giapponesi a scegliere tra casa e lavoro, o anche a rifiutare il passaggio a un nuovo posto di lavoro, in un’altra località, per non perdere la priorità nella lista d’attesa. In Giappone i baby-sitter non sono molto diffusi e quei pochi sono molto costosi.
Alle prese con l’invecchiamento della popolazione molti in Giappone ritengono che il basso numero di posti in asilo sia una delle cause del crescente numero di giovani che ritardano il matrimonio o che scelgono di non avere un figlio. Ma si può davvero pensare di risolvere la bassa natalità attraverso i soli incentivi economici o aumentando il numero dei posti disponibili negli asili? Come ha ricordato un commentatore politico, ci sono sempre i nonni che possono prendersi cura dei nipoti se le persone sono in difficoltà. E i nonni giapponesi sono tra i più longevi al mondo.
In un sondaggio è stato dimostrato come i giapponesi, soprattutto maschi, non abbiano la minima intenzione di sposarsi prima dei trent’anni. Eppure in età universitaria la maggior parte degli studenti confessa esattamente di desiderare il contrario. A cosa si deve dunque questo mutamento nei giovani, nell’arco di pochi anni, delle prospettive sul loro futuro?
Le prospettive cambiano nel momento in cui i giapponesi entrano, giovanissimi bisogna dirlo, nel mondo del lavoro. In Giappone infatti i ragazzi già un anno prima della laurea iniziano a partecipare a dei colloqui di lavoro chiamati shukatsu. Lo shukatsu comporta intensi colloqui con decine di aziende. È un lavoro vero e proprio che comporta stress fortissimi, affermano gli studenti giapponesi.
«Potrei anche fare meno colloqui, in effetti», dice una ragazza appena laureata e già in recruit suit (uniforme nera standard che si indossa durante il job hunting), «ma è più grande la paura di fallire che non quella dello stress, e partecipare a un maggior numero di colloqui mi dà maggiori possibilità di trovare un impiego».
«La prego mi bocci!», si è sentito perfino dire un’insegnante di una nota università di Tokyo. La ragione di questa bizzarra richiesta è che la studentessa non si era ancora assicurata un’offerta di lavoro e voleva a tutti i costi ripetere l’anno; in questo modo sarebbe stata in grado di partecipare ai colloqui con le aziende in veste di neo-laureata (shinsotsu). Le aziende giapponesi tendono infatti a privilegiare nelle assunzioni coloro che sono iscritti all’ultimo anno di università – al di là di quanti anni abbiano speso per laurearsi – per cui chi dopo la laurea decidesse di aprire un’attività in proprio o di viaggiare per un intero anno nel momento in cui deciderà di rimettersi in gioco nel mercato del lavoro sa bene che le aziende guarderanno al suo curriculum dando un giudizio estremamente negativo di questo lasso di tempo speso in attività extra-universitarie.
In poche parole il tempo speso per arricchirsi culturalmente in modi difformi da quelli indicati dal percorso accademico standard è considerato tempo perso a tutti gli effetti. Non ci si meravigli dunque se la prima ragione che i maschi giapponesi danno della posticipazione del matrimonio sia sostanzialmente una: il lavoro. E non per la mancanza di lavoro, come si sente invece spesso ripetere a latitudini a noi più vicine, ma perché il lavoro arriva ad assorbire tutto il proprio tempo.
Un neolaureato in special modo viene infatti letteralmente spremuto negli orari di lavoro del suo primo impiego. In Giappone ci sono molte aziende che possiedono dei dormitori collocati vicino o dentro l’azienda stessa, perché soprattutto i primi anni dopo l’assunzione lavorare molte ore di straordinario è assolutamente nell’ordinario.
Una neolaureata ventiduenne intervistata dalla tv locale ha così commentato il suo primo contratto di lavoro: «Sono stata contenta di alloggiare nel dormitorio fornito dall’azienda, perché il dormitorio ha un coprifuoco che scatta alle dieci di sera», al che la giornalista ha giustamente replicato che ciò significa però non potersi permettere di uscire la sera con gli amici o per altri svaghi notturni, «certo», ha replicato con insolita allegria la neo-assunta, «ma significa anche avere la certezza che oltre le dieci di sera non mi faranno lavorare».
Per questi ragazzi che già giovanissimi sono sottoposti dalla società, dalla famiglia, dai coetanei a una pressione tale per cui non firmare un contratto di lavoro immediatamente dopo la laurea equivale a un fallimento esistenziale – come ha recentemente ribadito un professore della Tokyo University – come può l’idea di famiglia, che comporta ulteriori responsabilità, impegni, ma soprattutto tempo che non si ha, costituire una prospettiva di qualche attrattiva?
Solo dopo i trent’anni le cose cominciano a cambiare e non perché ormai si è ottenuta una qualifica stabile e si possono gestire meglio i propri orari d’ufficio, affatto. Quello che cambia è che semplicemente «si comincia a sentire il peso degli anni»: è stata questa di gran lunga la risposta fornita più di frequente dal campione intervistato. Dunque non l’amore, non il desiderio di avere un figlio, ma la necessità di conformarsi alle attese delle persone a loro più vicine (famiglia, amici, e così via) è la ragione per cui molti giapponesi giunti alla soglia dei trent’anni decidono d’un tratto di trovare un partner con cui legarsi a vita.
E se a questi si domanda, dopo avere rimandato a lungo il matrimonio, se temano di restare single a vita rispondono con convinzione di no, perché esistono i konkatsu: ovvero incontri di single davvero popolari, dove scapoli e signorine – solitamente trentenni e quarantenni – vanno per incontrarsi e conoscersi con l’obiettivo dichiarato di sposarsi il prima possibile. Se poco dopo, però, statistiche alla mano, più di un terzo di queste coppie così speditamente accoppiate divorziano o non fanno figli, si può in tutta onestà dare la colpa alla scarsità degli asili nido?
Foto Giappone da Shutterstock