Terra di nessuno

Prati e Corso, gli dèi del novantesimo minuto

Mario Corso e Pierino Prati

Articolo tratto dal numero di luglio 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.

È morto, a 79 anni, Mario Corso, memorabile centrocampista dell’Inter anni Sessanta. Due giorni dopo se ne è andato Pierino Prati, favoloso goleador del Milan. Erano gli eroi dei miei compagni, alle elementari. Erano le facce sulle figurine Panini sui mazzi gonfi, sempre tenuti in tasca, e appassionatamente sfogliati e scambiati all’uscita da scuola. Ma soprattutto quei nomi erano le note ricorrenti della colonna sonora della domenica pomeriggio. Quando l’Italia unita da Milano a Catania stava incollata alle radio, nei bar, ad ascoltare Tutto il calcio minuto per minuto. Le partite, tranne le sfide internazionali, non si vedevano allora in tv – tranne i gol, che passavano la sera a 90° minuto. E allora le voci concitate dei cronisti dalla radio davano vita a un grande rito collettivo, quasi esclusivamente maschile, che teneva incollati gli avventori ai tavoli dei caffè di periferia, ma riecheggiava anche sulle scale dei palazzi più eleganti, altrimenti silenziosi nel pomeriggio festivo. Tutti, operai del Lingotto e professori universitari, comunisti e fascisti, dodicenni e ottuagenari, per un’ora e mezza erano tenuti insieme dalla raffica di parole concitate di milioni di radioline, a tratti bruscamente interrotte: quando un gol importante veniva segnato, e allora da quel campo di gioco il cronista irrompeva sulla voce dei colleghi, emozionato.

Col passare dei minuti l’aria nei bar di paesi e città si faceva densa di fumo di Nazionali avidamente aspirate, una nebbia azzurrina bruciava gli occhi e colmava i polmoni.

Io, bambina, passavo fuggevolmente da quei bar per mano di mio fratello o di mio padre. Il tempo di un caffè, ma sempre loro due venivano attratti e sedotti dalla nuvola di fumo, dalla scarica quasi elettrica delle parole, dagli improvvisi incontenibili boati di gioia.

Io, femmina, stentavo a capire quella eccitazione, come se gli uomini fossero qualcosa di del tutto diverso da me, e quasi, prima di ogni mestiere o cultura o qualifica, una tribù antica, coesa in una guerra che io non sapevo vedere. Osservavo stupita l’edicolante o il lattaio del quartiere, sempre pacifici, che rossi in volto, i pugni serrati, smadonnavano e invocavano i nomi dei calciatori come condottieri in un’estrema battaglia.

E quei nomi erano Rivera, Schnellinger, e, appunto, Corso, e Prati. Quest’ultimo in particolare veniva supplicato dai milanisti in un crescendo di eccitazione: «Prati! Prati! Prati!!!», e infine uno strozzato «gol!», mentre metà della Lombardia dai bar di ogni più piccolo paese elevava i suoi osanna, e i suoi ringraziamenti al cielo. E io, pur non capendo a quale guerra si fosse stati chiamati, di quella contentezza ero contenta. Un po’, forse, anche del fatto che confusamente mi pareva che, vincitori e vinti, in quella corale battaglia della domenica tutti fossero, benché avversari, legati da una fraterna passione.

Mi sembrava insomma che la litania sovraeccitata della domenica pomeriggio tenesse insieme gli italiani. Nel sentirla mi pareva, infantilmente, di appartenere a questo paese.

Ora so che tutto è cambiato, e non si gioca più solo la domenica, e la gente parte per il weekend, e guarda sugli smartphone, e non sta, credo, al bar in piazza a seguire una partita che non vede. E naturalmente, la nuvola di fumo non c’è più. Ma quando ho visto sui giornali che Mario Corso e Pierino Prati sono morti, quasi insieme, qualcosa mi ha punto il cuore. Ho risentito l’eco di quei nomi urlati col fiato strozzato da padri e figli, padroni e operai, ladri e poliziotti, assieme. Per me, che per statura stavo al di sotto della nube azzurra, il sapore di un’Italia ancora semplice. Unita, più che divisa, dai suoi dèi del novantesimo minuto; come se pur litigando, imprecando e urlandosi addosso si potesse, al fondo, essere amici. «Corso! Prati! Prati!! Prati!!!», quei nomi tanto invocati con forza, oggi insieme chiamati. Ma nessun titolo in prima sui giornali, giacché molti, ormai, di quei due non si ricordano. E ho sentito allora la gran ruota del tempo che gira, poderosa e costante: macina di un mulino che ci frantuma, come grano.

Foto Ansa

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