Pol Pot boia? Invenzione della Cia

Di Rodolfo Casadei
08 Aprile 2004
Padre Gheddo, trent’anni fa tu sei stato fra i primi a dare notizia del genocidio che i khmer rossi compivano in Cambogia

Padre Gheddo, trent’anni fa tu sei stato fra i primi a dare notizia del genocidio che i khmer rossi compivano in Cambogia, e fosti accusato di essere al servizio della Cia. Perché tanti qua da noi non volevano credere a quello che tu e altri raccontavate?

Perché erano dominati da una visione ideologica della realtà ed erano riusciti ad imporla nei media e nell’opinione pubblica. Con molta abilità il Pci aveva saputo imporre il suo modo di leggere i problemi internazionali extraeuropei. In Europa tutti vedevano che dietro la Cortina di Ferro si stava peggio, ma quando si trattava di paesi molto lontani come la Cambogia e il Vietnam o il Mozambico, allora il discorso ideologico funzionava, perché i comunisti erano riusciti a trasfonderlo nelle masse attraverso le loro organizzazioni. Erano dominati dal pregiudizio ideologico secondo cui il socialismo è sempre meglio del capitalismo; quindi non deve meravigliare il fatto che dopo aver esaltato per parecchi anni la guerra di liberazione del Vietnam e della Cambogia, quando i comunisti cambogiani e vietnamiti sono saliti al potere si siano trovati spiazzati: le notizie che arrivavano contraddicevano le certezze dell’ideologia. E non solo nel caso della Cambogia: in Vietnam dopo la “liberazione” sono fuggite via mare rischiando la vita fra 1,5 e 2 milioni di persone; nel 1954-56 dal nord divenuto comunista erano fuggiti 600-700mila. Ma in Italia molti non ci credevano, oppure dicevano che si trattava di capitalisti e di collaborazionisti degli americani.

Venendo ai giorni nostri, secondo te c’è ancora una visione ideologica dominante a proposito dei conflitti nel Terzo mondo?
Bisogna distinguere. Allora la sinistra di opposizione era tutta dominata da questa ideologia, oggi grazie a Dio no. Abbiamo una sinistra che è giunta ad una visione più realistica della realtà internazionale, che si oppone al governo Berlusconi sulla questione dell’Irak, ma che tuttavia ha una posizione ben diversa da quella degli estremisti di sinistra, cioè gli intellettuali dei Girotondi come Vattimo e Flores d’Arcais e i partiti alla sinistra dei Ds. Quest’ultima è una sinistra ancora ideologica sotto molti aspetti, compreso quello dell’idealizzazione dell’Onu.
In una recente intervista radiofonica hai sottolineato il ruolo di pacificazione che i cristiani svolgono in certe realtà di conflitto nel Terzo mondo.
Ho ricordato una cosa detta dal ministro degli Interni indonesiano, che è un musulmano. Lui diceva: «Quando formiamo dei comitati di riconciliazione dopo conflitti etnici fra popolazioni islamiche, mettiamo sempre un paio di cristiani che talvolta finiscono per presiedere il comitato. Perché voi cristiani avete il senso del perdono, dell’universalità, della gratuità, valori decisivi in queste circostanze». Nei paesi asiatici a maggioranza musulmana le comunità cristiane sono molto vive, evangelizzano le minoranze non islamiche e costruiscono un rapporto armonioso con la maggioranza musulmana. Perché capiscono che è il modo migliore per favorire quell’evoluzione dall’interno dell’islam nel senso dell’apertura e della modernizzazione, che si comincia a scorgere in alcuni paesi.

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