
Articolo tratto dal numero di Tempi di settembre
Nel momento in cui scrivo, 28 agosto, piove, il clima è afoso e le trattative del governo tra M5s e Pd sono ancora in corso. Le ultime notizie dicono che questa sera dovrebbe uscire il nome di Conte come presidente del Consiglio. L’ostacolo più grande all’intesa sembra essere la pretesa di Luigi Di Maio, che vorrebbe un ministero di peso e la qualifica di vice-premier, fortemente osteggiata dal Pd. Matteo Salvini, secondo le immagini dei licenziati offerte dal cinema americano, sta facendo gli scatoloni, è in declino di popolarità nei sondaggi e dice poco; dice fondamentalmente che è stato tradito. Questo numero di Tempi uscirà quando gli eventi della politica potranno essere in continuità o decisamente diversi da quel che si vede oggi. Saranno scorsi fiumi di commenti a riguardo dell’anomala alleanza tra partiti che si sono fortemente osteggiati, dell’attaccamento alle poltrone dei parlamentari che pur di non andare a casa sono disposti a qualsiasi trasformismo; delle trame che minano la durata del governo. Comunque vadano le cose, secondo me, il problema italiano, civile oltre che politico, rimarrà ancora irrisolto e certo per non breve tempo; di questo mi permetto scrivere scusandomi se ripeto considerazioni già esposte su questo giornale. Spero di non essere noioso contando sul fatto che repetita iuvant.
Siamo un paese in decadenza, che sta scivolando all’indietro verso toni sudamericani, se posso dire senza voler insultare nessuno. L’America del Sud è una delle più ricche aree del mondo, in cui fasi di crescita si alternano a regressioni, che la fanno apparire cronicamente in via di sviluppo, incostantemente vicina al raggiungimento dell’obiettivo. Regimi di destra si alternano a quelli di sinistra, con varie dosi di estremismo, personalismo e demagogia, dove vale tutto e il contrario di tutto. Il popolo non è meglio della sua espressione politica e ondeggia da una parte e dall’altra in rivoluzionarismi che non cambiano nulla.
Noi siamo un Paese sviluppato, in una perdurante crisi economica e soprattutto culturale, che sta erodendo la nostra sensibilità e il nostro progresso civile. Abbiamo avuto un lungo ’68, che ha indotto una trasformazione socialista dello Stato, seppure in un’economia di mercato. È quindi seguita una tangentopoli infinita, in cui l’ideologia giudiziaria ha preso il posto di quella rivoluzionaria e la politica ha ceduto il passo alla magistratura in una guerra comunque inefficiente alla corruzione. Fortunatamente queste tensioni sociali, con i relativi disordini, non sono mai sfociate in regime. Hanno tuttavia fortemente influenzato la mentalità comune che ha prodotto maggioranze di destra e sinistra, con rilevanti componenti di faziosità, che, per quanto verbale, invece di stemperarsi, si acuisce. Negli ultimi anni si sono aggiunte approssimazione e incompetenza nel ceto politico, acriticità e grossolanità nei mass media, che appaiono sostanzialmente uguali nell’ossequio a parole d’ordine quali onestà e giustizia, tanto invocate quanto disattese e svuotate di significato operativo. L’attuale crisi di governo è l’apice previsto del malessere grave che ha invaso tutta la società.
La stagione ruiniana
M5s e Lega, cui spettano la principale responsabilità dei cattivi risultati del Governo e quindi del suo fallimento, hanno una maggioranza ottenuta non dalla violenza, ma dal consenso popolare, anche se concesso da poco più della metà degli elettori, essendosi astenuta dal voto una percentuale consistente. Anche questo è significativo; anzi è probabilmente il fatto più significativo del crescente disinteresse alla cosa pubblica, per la confusione nel giudizio e la mancanza di alternative reali nelle possibilità di voto. Agli astenuti appare evidentemente tutto uguale e non modificabile.
Da cattolici dobbiamo riconoscere che, per quanto la politica sia proclamata come suprema forma di carità, non riusciamo a produrre una proposta intelligente e un’azione unitaria capace di incidere concretamente sulle sorti del Paese. Molti sono nostalgici della cosiddetta “stagione ruiniana”, in cui il cardinale Camillo Ruini, sotto il pontificato di Giovanni Paolo II e poi di Benedetto XVI, quale Presidente della Cei, dal 1991 al 2007, riuscì a promuovere e coordinare una presenza politica dei cattolici ricca di contenuti e mobilitazioni efficaci. Ora gli stessi vertici ecclesiastici si limitano a richiamare, come principi guida dell’impegno, il dialogo e l’accoglienza, non meglio specificati nei loro presupposti e nelle loro conseguenze, culturali e sociali. Nulla di paragonabile alla chiarezza di indicazioni sulla difesa popolare e parlamentare dei principi non negoziabili, dal diritto alla vita – legge 40 che regolamentava la fecondazione assistita – all’educazione e la famiglia – primo Family day, opposizione a Pacs e Dico per il riconoscimento delle coppie omosessuali e di fatto. Sembra preistoria!
Pd e M5s sono uguali
A questo punto mi viene da citare il recentissimo in intervento del Papa emerito sui commenti al suo precedente e non lontano intervento sulle cause della diffusione di abusi sessuali nel clero. Qui diceva che ciò era dovuto a un indebolimento della fede, per cui alcune trasgressioni e disimpegni morali indicavano indifferenza e lontananza verso Dio. Benedetto XVI, ora, rispondendo su un periodico tedesco al contributo della storica Birgit Aschmann dice: «Come risposta alla mia pubblicazione (tale contributo, ndr) è insufficiente e tipico della ricezione generale del mio testo. Mi sembra che nelle quattro pagine dell’articolo non appaia la parola Dio, che ho posto al centro della questione. La società occidentale è una società in cui Dio è assente dal pubblico e non ha altro da dire. Ed è per questo che è una società in cui la misura dell’umanità si perde sempre di più». Tale affermazione completa drammaticamente le considerazioni sopra riportate sulle ragioni della crisi culturale e sociale del nostro Paese, in questo caso più simile a quella dell’Occidente sviluppato che all’America Latina: la convivenza civile, avendo perso Dio, perde anche in umanità. In effetti le tensioni che viviamo da noi agitano, sebbene in modo apparentemente meno grave, la politica europea, in particolare quella dei paesi latini di più forte tradizione cattolica, inopinatamente emarginata.
Se volessimo fare previsioni ottimistiche sul prossimo governo italiano, nella sua conformazione giallorossa, potremmo pensare che il M5s, educato dalla precedente esperienza, perderà i suoi accenti più estremisti, riassunti nel concetto di “decrescita felice” con l’opposizione allo sviluppo tecnologico, all’impresa, al lavoro e l’inevitabile diffusione dell’assistenzialismo; il Pd, per parte sua, data la più lunga conoscenza e pratica di governo, potrebbe promuovere e sostenere un’adesione più realistica alle regole dell’economia internazionale, in particolare europea. Le cose potrebbero quindi andare meglio, come da spread, che rimane ostinatamente basso, nonostante la crisi di governo. Tuttavia dal punto di vista antropologico le due realtà, per quanto militate anche da cattolici, sono esattamente uguali, ovvero nella sostanza indifferenti al riconoscimento della presenza di Dio nella vita sociale; più indifferenti della Lega, i cui rappresentanti oltre a esibire Madonne e Rosari, hanno partecipato a convegni e messo a punto leggi, per quanto mai attuate, a sostegno della famiglia e della vita. «Dio se c’è non c’entra», diceva già anni fa Cornelio Fabro (1911-1995), prete e filosofo: questo mainstream continuerà più prepotentemente con l’attuale Governo, avviando l’Italia verso l’agnosticismo che caratterizza i paesi più avanzati della Ue. Con perdita dell’umano, come dice Benedetto XVI.
Fare meglio l’Europa
Per quanto detto sopra, l’Europa, oggi, non è certamente per la realizzazione di un ideale politico umanamente confacente alle nostre attese, ma è un fattore di stabilità e di mantenimento di uno sviluppo umano e sociale faticosamente raggiunto, seppure più come eredità che come presente. Per questo non dobbiamo abbandonarla, ma farla e farla meglio, per ricostituirla nella sua originaria identità positiva perché cristiana, attraverso il contributo delle forze, che nelle nazioni che la compongono sentono con intensità questo compito. Per l’Italia, in grave crisi, ciò significa sostenere e ricostituire uno schieramento di centrodestra, o simile, a trazione popolare; depurato dei suoi eccessi demagogici e personalistici; realisticamente fondato su una concezione di più società e meno Stato; con un programma rivolto, oltre che al presente, alla necessità di dare speranza a tutti e soprattutto ai giovani; sia che non si torni al voto, come pare adesso, o che ci si vada in tempi più o meno brevi. Non è un’idea originale e nemmeno un’impresa facile da realizzare, date le contrapposizioni e le debolezze culturali, inclusa la mancanza di programmi, all’interno dello schieramento prospettato. Non è facile nemmeno il momento presente e proprio per sue difficoltà è necessaria una visione larga, che porti un contributo concreto di giudizio e azione, individuando e mettendo insieme persone, programmi e, perché no, partiti, correnti, pensatoi, giornali, mass media e quant’altro. Per un voto comune. Il resto è poesia.
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