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Più Semprini e meno Berdini

Che vasta e incivile categoria di impostori è quella dei martiri. Come quel signor arch. delat. che i grillozi avevano chiamato come urbanista cocco della gauche colta a copertura della povera Raggi

Giuliano Ferrara
27/02/2017 - 1:00
Società
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Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Gianluca Semprini, uno preso da Sky, dalla fine del mondo, come il Papa, e trasferito di brutto a Rai Tre per sostituire un martire della libertà di parola, il caro Massimo Giannini, se ne è andato senza batter ciglio dal tronetto di Politics, al massimo con qualche amarezza per il profluvio di insulti ricevuti, ed è entrato nel normale cono d’ombra che segue alle esposizioni mediatiche controverse e malriuscite. Avrà maledetto in cuor suo quella testata che come tutte le testate in inglese sul mercato italiano porta male (vedi Reporter o Liberal, unica eccezione Vanity Fair ma perché è un franchising, un brand già affermato altrove). Avrà dubitato della sua personale abilità di direttore d’orchestra di chiacchiere, si sarà dato l’attenuante giusta, cioè che gli orchestrali del momento sono eccellenze mediocri della politica, e annoiano invariabilmente (Floris de La7 per batterlo è dovuto ricorrere a una specie di televendita ben fatta di prodotti extraparlamentari). Si sarà detto che su Rai Tre uno che non fa politique politicienne e ideologia e lagna sociale non funziona. Chissà. Ma non ha fatto il martire della libertà di parola, e per questo bisognerebbe fargli un monumento.

Che vasta e incivile categoria di impostori è quella dei martiri. Di Giannini ho già detto. Non è affatto un cattivo ragazzo, ma ha subito lasciato quel che sapeva fare, l’economia analizzata con la lente del potere politico, per salire la scala che porta al principio di Peter, l’assunzione di quel ruolo apicale per il quale si è incompetenti. Giannini non è un anchor, è brodoso e convenzionale, è lento, non è rock, ma avrebbe fatto meglio, visto che non è stupido, a evitare il piagnisteo martirologico contro il cattivone di Palazzo Chigi che gli preferiva Rambo e non accettava i suoi inviti, e a tornare a fare il meglio che sa fare. Invece si è allineato, senza averne la stoffa, si vedeva lontano un miglio che non ci credeva nemmeno lui nella sveltina di quello che schiaffeggia i leoni e viene rinchiuso in gabbia o espulso dallo zoo.

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(Francesco Merlo non si è allineato, noblesse oblige, ma ci è andato pericolosamente vicino con un paio di articoli di troppo, secondo me che gli sono amico e lo stimo. Domanda. Ma uno non può dire semplicemente che ha accettato un incarico professionale dall’amministratore delegato Campo Dall’Orto, si è associato a un collega che stima come Carlo Verdelli, ci ha provato a istruire alla Rai un processo di normalizzazione giornalistica colta e non chiacchierona, e non ce l’ha fatta perché la Rai è un mammasantissima al quale nessuno può fare offerte che non si possono rifiutare, sono le strutture intermedie cosiddette e i sindacati che decidono in proprio da tempo immemorabile? Che poi questo Merlo e Verdelli hanno alla fine detto, ma con quel sovraccarico di amarezza politica e una punta di petulanza che non risulta un’impostura, questo no, ma un’inclinazione un po’ fictional.)

Gli impostori veri del martirologio si comportano altrimenti. Come quel magistrato di Napoli che si è incapricciato del famoso scandalo Consip, le solite storie di appalti imputati a un’azienda che di appalti vive, quella di Alfredo Romeo, e che di appalti illegali è stata nel recente passato assolta dopo opportuna persecuzione in giudizio e gogna, con contorno di amici del parentame dell’uomo politico da abbattere. E questa che nel panorama del trionfo italiano dei giustizieri è, detto con realismo, una caccola, dice il magistrato, doveva garantirgli un emendamento, che la cattiva maggioranza di ladri non ha voluto, per proroga e pensione, un vitalizio ad categoriam (latinorum) con prebende e anche mantenimento di un certo grado di potere. Un altro martire.

L’ineffabilità del martirologio se la aggiudica però il signor arch. delat. Berdini. I grillozzi lo chiamano come urbanista cocco della gauche colta a copertura della povera Raggi, che fa del suo meglio per metterlo a suo agio, poi la Raggi va in disgrazia plumbea, l’idillio finisce, Berdini parla con un giornalista e gli dice di riferire che la sindaca è circondata da una banda, da una corte dei miracoli e che lei e un suo funzionario benefattore e beneficato sono amanti, ma non dire che te l’ho detto io, aggiunge il prof. delat. con eleganza. Una volta sputtanato dalla pubblicazione delle sue losche delazioni, l’urbanista invece di dimettersi all’istante e chiedere scusa incassa appelli di altissime autorità morali in suo favore e quando se ne va, ciliegina sul dolce stercorario, se ne va, indovinate?, perché quelli fanno lo stadio della Roma, la famosa colata di cemento (e come si fa uno stadio senza cemento, con la panna montata?). Un altro martire ancora in un paese di senza pudore.

@ferrarailgrasso

Tags: alfredo romeoCampo Dall’Ortofrancesco merloraiVirginia Raggi
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