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Pio XI e la Cristiada. Fede, guerra e diplomazia in Messico

Come si comportò il Vaticano durante la rivolta dei cristiani contro il governo Calles? Intervista con il giovane storico milanese Paolo Valvo.

Rodolfo Casadei
16/10/2016 - 2:00
Cultura
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cristeros

Sul numero 40 di Tempi è apparso l’articolo José Sanchez Del Rio e i martiri guerrieri che prende spunto dai contenuti di un libro recentemente pubblicato: Pio XI e la Cristiada – Fede, guerra e diplomazia in Messico (1926-1929). Abbiamo intervistato l’autore, il giovane storico milanese Paolo Valvo.

Paolo Valvo, il suo libro Pio XI e la Cristiada è apparso nell’anno che segna il 90° anniversario dell’evento e la canonizzazione di José Sanchez Del Rio. Al suo interno si fa ampio riferimento alle fonti archivistiche della Santa Sede: che cosa apportano di nuovo alla storiografia su questo tema?
Le carte sul pontificato di Pio XI conservate presso gli archivi di Oltretevere ci permettono oggi di avere una visione piuttosto ampia e approfondita dell’atteggiamento che la Santa Sede assunse di fronte al conflitto “cristero”. Ne emerge a mio avviso una ricostruzione piuttosto distante da molti dei luoghi comuni che ancora oggi rischiano di condizionare la lettura di questa tragica pagina di storia del Novecento.

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Conosciamo le dichiarazioni ufficiali di Papa Pio XI sulla Cristiada, molto equilibrate. Ma dentro di sé, era favorevole o contrario alla lotta armata dei cristeros?
Occorre tenere conto che la Chiesa messicana era assai divisa al suo interno quanto all’atteggiamento da tenere nei confronti delle autorità civili. La scelta di prendere le armi non era la sola possibile e non fu condivisa da diversi cattolici, così come dalla stragrande maggioranza dei vescovi. Di tutto questo Pio XI doveva tenere conto nell’elaborare il proprio giudizio. In ogni caso si può affermare che la sua posizione contemplasse da una parte la legittimità della ribellione sul piano dottrinale, dall’altra parte l’impossibilità per la Chiesa come tale (dal pontefice stesso fino all’ultimo sacerdote messicano) di compromettersi sul piano politico incoraggiando il movimento armato. Pio XI peraltro non dimenticò mai il principio prudenziale secondo il quale una rivolta anche “teoricamente lecita” poteva risultare “praticamente illecita” qualora priva di ragionevoli speranze di successo.

Negli anni è stato ripetuto e scritto che il Vaticano ha tradito i cristeros, spingendoli a deporre le armi quando avrebbero potuto vincere la loro guerra, e non riuscendo poi ad evitare che molti di loro fossero passati per le armi. Sono accuse giustificate?
Per tradire qualcuno occorre avere prima condiviso attivamente la sua causa per un certo tempo, cosa che in questo caso non si può dire sia avvenuta. La rivolta dei cristeros è scoppiata del tutto indipendentemente dalla Santa Sede, che anche in seguito non ha mai pensato di utilizzare la ribellione come un’arma di ricatto nei confronti del governo anticlericale. Va anzi sottolineato che Pio XI si mostrò molto duro verso quanti cercavano surrettiziamente di “mettergli in bocca” parole di approvazione per la rivolta armata. Il mito del tradimento dei cristeros non tiene conto di come la preoccupazione fondamentale del Papa – dopo tre anni di guerra ai quali si sovrapponeva la sospensione forzata del culto in tutto il Messico – fosse quella di preservare la fede del popolo messicano, soprattutto in quelle zone del Paese dove era più difficile ricorrere all’assistenza di un sacerdote. Anche l’idea che i cristeros fossero sul punto di vincere la guerra è un mito. È vero che le milizie cristere avevano ottenuto importanti risultati sul campo grazie a un impiego sapiente delle tecniche di guerriglia, ma è altrettanto vero che di fronte a un governo sostenuto politicamente, finanziariamente e militarmente dagli Stati Uniti d’America non sarebbe stato possibile alla distanza ottenere la vittoria. Di questo, in Vaticano, si era ben coscienti.

Perché la forma di protesta che la Chiesa messicana decise nel 1926 fu la sospensione dei servizi religiosi in tutto il paese? Che senso aveva?
Il senso di questa scelta era duplice: da una parte si voleva far vedere all’opinione pubblica e al mondo che le autorità civili non concedevano alla Chiesa la libertà necessaria per esercitare il proprio ministero spirituale, dall’altra parte si intendeva suscitare la mobilitazione dei cattolici, che con la loro azione avrebbero forse potuto ridurre a più miti consigli i loro governanti. Nel luglio del 1926, tuttavia, quando l’episcopato decide una sospensione generale del culto in tutto il Messico per protestare contro l’enforcement delle leggi anticlericali, succede qualcosa di imprevisto: a distanza di pochi giorni dalla chiusura delle chiese prendono piede i primi focolai spontanei di rivolta. La sospensione del culto rappresenta dunque la “miccia” per l’esplosione del conflitto.

Perché il Papa la approvò?
A questo proposito le carte vaticane rivelano un particolare di non poco conto: ciò che spinge Pio XI ad approvare la decisione dei vescovi è il fatto che essa gli viene presentata come condivisa da un’ampia maggioranza dell’episcopato. La preoccupazione del Papa per l’unità dei cattolici è in questo frangente l’elemento determinante. Le informazioni giunte a Roma al riguardo, tuttavia, non sono veritiere: lungi dall’essere una misura realmente condivisa dalla più gran parte dei vescovi, la sospensione del culto viene infatti sostanzialmente imposta a tutto l’episcopato (con una singolare operazione di manipolazione del consenso) da una minoranza particolarmente agguerrita e desiderosa di andare allo scontro con il governo, con il fondamentale appoggio dei gesuiti. Di questo clamoroso retroscena tuttavia il Vaticano si renderà conto solo anni dopo.

Nel 1937, quando alcuni discutono la possibilità di una ripresa della lotta armata, Pio XI pubblica la Firmissimam constantiam, che ribadisce la legittimità di principio della difesa violenta quando vengono attaccate certe libertà, come la libertà religiosa, ma la condiziona pragmaticamente alle circostanze, e lascia capire che il momento non è opportuno per una ripresa delle armi in Messico. Ma c’è un altro aspetto interessante: quando scrive che «la Chiesa, essendo una società di uomini, richiede, rispetto alla naturale esigenza della vita e del suo necessario incremento, una legittima libertà d’azione, e i suoi fedeli hanno diritto di trovare nella società civile possibilità di vivere in conformità ai dettami della loro coscienza». Si può dire che così Pio XI istituisce il diritto all’obiezione di coscienza?
Più che di pragmatismo (termine che può avere in sé anche una valenza di calcolo politico) credo si debba parlare di realismo: Pio XI, del tutto in linea con la dottrina tradizionale sulla guerra giusta e sulla ribellione contra tyrannum, afferma che la “difesa violenta” non deve causare mali maggiori di quelli che intende combattere, e deve inoltre avere una ragionevole probabilità di successo. Da questo punto di vista l’enciclica sembra guardare molto più alla Spagna della guerra civile che al Messico, che nel 1937 è un Paese sulla via della pacificazione religiosa de facto. Anche sui temi della libertas Ecclesiae e dell’obiezione di coscienza Pio XI si pone in continuità con il magistero precedente. La chiarezza del giudizio del Papa rende d’altra parte queste sue parole un punto di riferimento significativo per una riflessione sulla presenza dei cristiani nella società. Non è un caso che proprio questo passaggio della Firmissimam constantiam sia stato in seguito ripreso dalla dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa Dignitatis humanae, il che fa del magistero “messicano” di Papa Ratti una tappa decisiva nel complesso percorso verso la piena affermazione del diritto alla libertà religiosa da parte della Chiesa cattolica.

Alle classiche domande se la Santa Sede abbia seguito una linea coerente durante il conflitto, e se questa sia stata intransigente o conciliante; e se abbia avuto un ruolo passivo o decisivo nella conclusione del conflitto, cosa risponde il libro?
La linea seguita da Pio XI all’indomani della sospensione del culto pubblico e fino alla conclusione della Cristiada si può riassumere sinteticamente nel perseguimento della pacificazione del Paese sulla base di una riforma delle norme anticlericali della costituzione (che tuttavia avverrà solo nel 1992 sotto la presidenza di Carlos Salinas de Gortari). Solo a queste condizioni il Papa si mostra disposto a trattare con gli emissari governativi, che a più riprese sottopongono ai vescovi messicani proposte di accordo. Quindi il ruolo della Santa Sede nel promuovere il processo di pace che porta il 21 giugno 1929 alla conclusione dell’accordo tra l’episcopato e il governo è assolutamente centrale. Ciò detto, tenendo conto delle condizioni nelle quali l’accordo viene negoziato e infine concluso (con il contributo determinante della diplomazia statunitense), è lecito avanzare qualche riserva sulla sua effettiva rispondenza ai desiderata di Pio XI. Non si può d’altra parte trascurare il fatto che, a distanza di qualche anno dalla conclusione della Cristiada, lo stesso Pio XI si dirà convinto della necessità storica dell’accordo in questione.

Tags: Chiesacristiadamessicopio xi
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