
Piano regolatore
Un giorno glielo chiederà, statene certi. In fondo Walter Veltroni e Francesco De Gregori si conoscono da una vita. Sono così amici che il cantautore romano è stato testimone di nozze del sindaco. Un giorno, statene certi, Walter chiederà a Francesco di scrivere una canzone per lui. Magari la canteranno insieme. Il titolo c’è già: via del Corso. Sarà come Via del Campo per Fabrizio De André, Abbey Road per i Beatles, Highway 61 Revisited per Bob Dylan e chi più ne ha più ne metta. Sarà la storia di un uomo che, percorrendo quella strada, ha costruito buona parte della sua fortuna. Sarà la storia di Walter Veltroni.
Dopotutto anche la recente crisi di governo si è giocata tutta lungo via del Corso. O meglio, si è giocata su quel chilometro scarso che congiunge piazza Colonna con piazza Venezia, Palazzo Chigi (sede della presidenza del Consiglio) con il Campidoglio (residenza del sindaco della capitale). Tempi, modi, decisioni, tutto è stato condizionato da quel chilometro scarso. Insomma, per capire che cosa è successo e cosa succederà in Italia bisogna partire da Roma.
Il punto è che Veltroni ci ha sempre pensato. Quei due anni a Palazzo Chigi (dal 1996 al 1998) nelle vesti, strette, di vicepremier, gli avevano lasciato un sentimento di inesorabile incompiutezza. Così, quando nel 2001, dopo il purgatorio della segreteria Ds, gli si sono spalancate le porte del Campidoglio, ha subito pensato che l’ora della riscossa fosse arrivata. Anche perché Walter arrivava sulla poltrona di sindaco lasciata libera da Francesco Rutelli, dimessosi a metà del suo secondo mandato per cercare un’impossibile vittoria contro Silvio Berlusconi. Un precedente da non sottovalutare. Così come non era da sottovalutare la sconfitta subìta dal suo predecessore. Quasi una spinta a fare di più e meglio.
Così, senza mai perdere d’occhio cosa succedeva qualche metro più in basso (del resto il Campidoglio è uno dei sette colli della Capitale), Veltroni ha cominciato a costruire il “modello Roma”: una fitta rete di rapporti con cui il sindaco controlla ogni centimetro quadro della città. Niente politica organizzata, per carità. Walter non ama le segreterie, i congressi, le tessere. Per lui una serata all’Auditorium progettato da Renzo Piano vale più di mille riunioni di partito, una cena al Circolo Canottieri Aniene (di cui il sindaco è socio onorario) più di un’estenuante trattativa per stilare lo statuto del Pd. Il segreto di Veltroni è tutto qui, nel saper trasformare in consenso politico ciò che, almeno nella forma, politico non è.
Un esempio su tutti: il consiglio di amministrazione della Fondazione che gestisce l’Auditorium. Dove, tra i nomi dei 12 consiglieri, spiccano quelli di Luigi Abete (presidente della Banca Nazionale del Lavoro e dell’Unione industriali di Roma), di Gianni Letta e di Francesco Gaetano Caltagirone. Abbastanza per capire che non si tratta di un circolo per amanti della musica. Ma il “modello Roma” annovera tra le sue fila molti altri nomi illustri: il presidente della Camera di Commercio Andrea Mondello, quello del Circolo Canottieri Aniene Giovanni Malagò, l’ex ad di Capitalia e giovane “promessa” della finanza italiana Matteo Arpe, Fabiano Fabiani che si divide tra la poltrona di presidente dell’ex municipalizzata Acea e quella di consigliere di amministrazione Rai. Il tutto senza dimenticare la tessera numero uno del Pd: quella di Carlo De Benedetti (editore di Repubblica). Un capitolo a parte lo meritano i cosiddetti “palazzinari”. Veltroni è il loro idolo. I fratelli Toti, Francesco Gaetano Caltagirone (editore del Messaggero), Domenico Bonifaci (editore del Tempo), Parnasi, Santarelli-Bonifati, Pirelli Re di Marco Tronchetti Provera. Per loro Roma è diventata vera e propria terra di conquista. Tutti, in un modo o nell’altro, devono parte delle loro fortune alla disponibilità del sindaco che, comunque, lascia la regia di questa immensa trama di rapporti al suo braccio destro Goffredo Bettini.
In uno scenario di questo tipo è chiaro che la crisi di governo si è inserita in maniera dirompente. In larga parte inaspettata, ha costretto Veltroni a correre ai ripari. Il sindaco ha cercato in tutti i modi di dilatare i tempi per evitare di lasciare il Campidoglio troppo presto. Altro che paura del voto, prima di iniziare la campagna elettorale il segretario del Partito democratico ha voluto mettere ogni tassello al suo posto.
Il miracolo di Giuliano Amato
Primo obiettivo: riuscire ad approvare il nuovo Piano regolatore della capitale. L’ultimo risale al 1962. Il nuovo Prg vincola a verde due terzi del territorio e sposta il cemento in aree più periferiche (ricompensando però i costruttori con metri cubi aggiuntivi). Inoltre impone che non si possa costruire a più di un chilometro da una stazione della metropolitana, potenziando contestualmente la rete di trasporto su ferro. Non è stato facile portare a termine il lavoro, e solo grazie alla mediazione di Veltroni, alla fine, tutte le parti in causa hanno trovato l’accordo. Ebbene, il Prg arriverà in Consiglio comunale, per l’approvazione definitiva, tra qualche giorno. Per questo il sindaco ha fatto di tutto per evitare di doversi dimettere prima della scadenza. Un po’ perché è lui il garante, un po’ perché la cosa potrebbe comunque tornargli utile in campagna elettorale. Una mano nel realizzare il suo obiettivo gliel’ha data il ministro dell’Interno Giuliano Amato, che, in maniera molto scaltra, ha cambiato la norma che regola le dimissioni dei sindaci per candidarsi alle politiche (da oggi potranno farlo entro sette giorni dallo scioglimento delle Camere). Grazie a questa “legge ad personam”, Veltroni riuscirà ad approvare il Prg e, soprattutto, eviterà il commissariamento del Comune. E anche in questo frangente, casualmente, il dilatarsi della crisi ha dato una mano a Walter.
Tutto per salvare il “modello Roma”
Fino a qualche settimana fa, infatti, si pensava già al nome di un possibile commissario che potesse guidare il Campidoglio fino alle elezioni del 2009. Oggi lo scenario è improvvisamente cambiato. L’uomo che raccoglierà lo scettro di Veltroni, con tutta probabilità, sarà Francesco Rutelli. Una sorta di riedizione della staffetta del 2001. In questo modo il centrosinistra spera di non perdere la capitale. Il “modello Roma” potrà continuare a crescere. Il ministro dei Beni culturali, infatti, potrebbe aggiungere al quadro due tasselli mancanti: un miglior rapporto con Caltagirone (che ha qualche problema con Walter perché troppo legato ai fratelli Toti, suoi concorrenti) e, soprattutto, il placet delle gerarchie ecclesiali. Insomma, sarà un caso, ma la decisione del capo dello Stato di affidare un incarico esplorativo a Franco Marini ha permesso a Veltroni di avere il tempo necessario per risolvere tutti i suoi problemi. Negli ultimi giorni, poi, i suoi attacchi nei confronti del centrodestra si sono fatti più veementi: il segretario del Pd, sgombro da ogni pensiero, ha finalmente iniziato la campagna elettorale.
«Il centrodestra è il vecchio», ha detto recentemente. «La vera novità siamo noi». In realtà l’impressione è che la novità di Veltroni sia tutta racchiusa nella vecchia teoria gramsciana della capacità di coltivare il consenso dei governati. Teoria che faceva dell’aspetto culturale (quello in cui il sindaco è più forte) il suo perno. Non stupisce, perciò, che all’ombra del cupolone, si faccia avanti anche un ex Dc come Mario Baccini. Il senatore, fuoriuscito dall’Udc di Casini, ha tutta l’intenzione di giocarsi le sue carte con la nuova formazione della Rosa Bianca. Il suo punto di forza è la capitale, dove provò a candidarsi a sindaco già nel 2006. Così, dietro la bandiera del nuovo che avanza, ecco la solita battaglia tra ex democristiani ed ex comunisti alla conquista del “modello Roma”.
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