
Petulanti americanismi di piacioni rimasti a JFK
Siamo un gruppo di insegnanti di Scienze della Scuola Media e vorremmo fare alcune considerazioni in merito al documento conclusivo sui Curriculi di scienze della scuola di base, prodotto dal “Gruppo di lavoro Aggregazione scientifica” e pubblicato a febbraio dal Ministero della Pubblica Istruzione. Gli esperti, i “saggi”, dopo aver constatato il «valore sociale delle scienze» ed averne dichiarato «l’intrusione nella vita di ogni giorno» che richiede sempre più «scelte consapevoli e motivate» propongono agli insegnanti di «passare dalla dimensione informativa (trasmissione di nozioni e conoscenze) a quella formativa e costruttiva». Che cosa questo voglia dire è presto detto: l’unica attività didattica possibile rimane l’esperienza in laboratorio o nell’ambiente, attraverso la quale gli alunni devono apprendere in modo del tutto spontaneo. L’insegnante non può neanche stabilire quali esperimenti effettuare e quindi assume il ruolo di mero mediatore: avrà il compito di liberare il piccolo ricercatore presente nell’alunno, che potrà affermare tutto e il contrario di tutto, rischiando una errata interpretazione dei dati, rendendo assoluto il particolare e vedendo la propria esperienza come l’Esperienza. Riteniamo sicuramente importante «il contatto diretto degli alunni con gli oggetti di osservazione», sia come mezzo per avvicinarli alla realtà ed aiutarli a porsi domande su di essa e sia perché sicuramente stimola la motivazione, in quanto riesce a rinvigorire l’atteggiamento di curiosità e quindi il desiderio di imparare. Il laboratorio, tuttavia, va vissuto come uno strumento per fornire una base di esperienza su cui innestare la teoria e quindi deve essere utilizzato come una lezione guidata della realtà e in questo senso non può prescindere da conoscenze acquisite teoricamente. C’è da aggiungere che non tutti gli argomenti possono essere affrontati con questa modalità, come la teoria atomica, la cellula, la genetica, l’anatomia e la fisiologia del corpo umano… Dalle nostre preoccupazioni sorgono quindi alcune domande: vista l’ovvia semplicità delle esperienze attuabili nella scuola di base (sia per l’età degli alunni, sia per la strumentazione a disposizione, spesso carente) che livello di conoscenze sarà raggiunto? Come si potrà sviluppare lo spirito critico? Quale sarà la sorte del metodo scientifico, che parte comunque dalla conoscenza e dall’accettazione di risultati precedenti, accumulati durante anni di lavoro, sacrificio ed impegno degli scienziati? Che fine farà la figura dell’insegnante in cui noi crediamo, che comunica ad ogni singolo alunno e attraverso questo rapporto lo guida nel suo percorso di apprendimento e di crescita personale? Il confronto è aperto, aspettiamo interlocutori.
Marina Piemonte, Luisa Cheni, Mariarosa Piccini, Mariarosa Tavernaro, Paola Forte, Margherita Tognolo, Maddalena Gozzi, Fausto Liberale, Tiziana Zilli, Filomena Morsa, Paola Sguazzero, Udine
Un delirio nominalista governa le scelte del popolo italiano (tramite i suoi sinistri governanti). Prendete un inceneritore. Uno di quelli che bruciando rifiuti in una zona governata dal centro-destra produce diossina, monossido di carbonio e altre porcherie che appestano l’aria e fanno venire la espolenzite (rara malattia che colpisce di norma gli aderenti a Lega Ambiente e si manifesta con un impulso irrefrenabile ad appendere lenzuola alle finestre). Mettetegli un nome politicamente corretto, che so, “Termovalorizzatore”, e chiamate Bassolino (magari dopo una bella emergenza rifiuti) ad inaugurarne i lavori. Ecco che, come per magia, abbracadabra e simsalabin, l’inceneritore non inquina più! Cari ingegneri che per anni vi siete affaticati inutilmente a realizzare e proporre inceneritori non inquinanti: avete sbagliato tutto. Volete vendere il vostro inceneritore? Licenziate in tronco tutta la vostra divisione marketing e assumete una bella giunta di sinistra. Vi commissioneranno un bel Termovalorizzatore e voi, facendo sparire i rifiuti dalla città, apparirete come gli eroi tecnologici di questa generazione. Mi chiedo: ma se dopodomani a Napoli ci fosse un blackout elettrico che dura una settimana, Bassolino che fa? Mi riabilita le centrali nucleari chiamandole “Ecoproduttori Energetici a Combustione Nulla”? Se ci fosse un campionato del mondo del rigiramento della frittata, certi politici nostrani non li batterebbe nessuno!
R. Paludetto, Napoli
Caro direttore,
ci mancava lo schiamazzo dell’apparato mediatico della sinistra sull’ordalia televisiva che dovrebbero combattere Rutelli e Berlusconi per rendere più allucinante la campagna elettorale. L’aspetto ridicolo della cosa è che a sostenere il “giudizio di Dio” sono coloro che: a) irridono sistematicamente la tradizione classica e medioevale che ha esaltato quella pratica; b) non perdono occasione per sottolineare la complessità della realtà culturale e sociale del nostro tempo, che pertanto richiede ben altro che un confronto televisivo tra due leader per essere capita e giudicata. Credo che l’imperiosa richiesta della sinistra sia la conferma che la scelta di Rutelli leader è stata motivata soprattutto dalla piacevolezza (o piacioneria, come dicono a Roma) della sua immagine. Nella speranza che sorrisi e capigliatura sale-pepe mascherino il suo vuoto d’idee, e ripetano il “colpo”, nel 1960, del miliardario belloccio e telegenico J. F. Kennedy sul popolano, brutto e povero Richard Nixon. Il primo confronto televisivo della storia di due candidati americani alla presidenza, infatti, il telegenico irlandese riuscì a strappare il lievissimo margine (300.000 voti) che gli consentì di battere l’avversario. Anche se Nixon – attenzione – aveva largamente prevalso su Kennedy, per solidità e incisività di argomenti, a giudizio degli americani che avevano seguito il confronto per radio.
Nicola Guiso, Roma
IL DIRETTORE RISPONDE
1. Alla fine della lunga guerra
al modello liberista-capitalista americano, la sinistra italiana arriva con cinquant’anni di ritardo ad abbracciare (acriticamente) il modello (fallimentare) di istruzione di impronta “americanista”.Tutti gli insegnanti dovrebbero leggere l’ultimo numero della rivista trimestrale Il nuovo aeropago (qui già segnalata nell’edicola di Marco Respinti) e in particolare l’articolo di Elisa Buzzi (“Dewey e l’educazione sovietica”, appunto su John Dewey, padre del progressismo pedagogico Usa che ha causato il disastro della scuola statale d’Oltreoceano) e quello di William K. Kilpatrick, docente di Filosofia dell’educazione al Boston College, anch’egli politicamente corretto ma consapevole del fallimento dell’istruzione deweyanamente intesa come “controllo sociale” col risultato, scrive Kilpatrick, che oggi “le scuole americane sono appena in grado di insegnare a leggere e scrivere”. Per completare le buone letture utili al dibattito, resta fondamentale un saggio del 1958 di Hannah Arendt sulla “Crisi dell’educazione” (in parte pubblicato da Tempi, n°18, 1999), in “Tra passato e futuro”, Garzanti, 1991. Sicuramente i Saggi del ministero non l’hanno letto. Fa però impressione vedere che un modello di istruzione scolastica puntualmente liquidato negli ambienti della cultura universitaria americana già a partire dagli anni ’50 sia oggi riproposto dalla sinistra italiana di governo come una “novità”.
2.Nomina sunt consequentia rerum. I nomi sono conseguenza delle cose. Se non lo sono, restano flatus vocis. Le contraffazioni simboliche sono evidenti alla ragione che non sia debole, cioè che non è sottomessa all’ideologia, la quale è il fiore sopra le catene del potere (cfr. Dante, Inferno), la vie en rose che porta dritta all’inferno (cfr.100milioni di morti del comunismo). Che nel piccolo già si rivede, come abbiamo rivisto a Milano il 25 aprile, quando 100 antifascistizzatori si scagliarono contro 1 che portava “fiori fascisti”, con 100 bastoni contro 2 nude mani. E Dario Fo, l’ex repubblichino Dario Fo, applaudì. Inutile dire “ma il fascismo eccetera”. Non sta bene usare il passato per dare rifugio alle canaglie presenti.
3. Non sappiamo ancora come finirà questa petulante ondata, tutta mediatica, in richiesta del faccia a faccia Tv tra B.e R. Anche qui pare che la sinistra sbrachi verso stili americanisti, ma dato che lo fa lei, non è spazzatura da “Tv-immagine berlusconiana” ma televalorizzazione da “democrazia kennediana”. Olre alle parole del valente Guiso, non abbiamo da aggiungere notazioni particolari, se non l’avvertenza scritta dall’autore di Striscia la notizia nel libro Striscia la Tv: “la pubblicità è la cosa più onesta che c’è in televisione”. Un pioniere delle scienze della comunicazione come il newyorkese Neil Postman, forse aggiungerebbe che “quando un intero popolo si trasforma in spettatore e ogni affare pubblico in una vaudeville, allora la nazione è in pericolo”.
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