
Pericolo di crollo
«è l’inizio di una catastrofe». A lanciare il grido di allarme rispetto l’andamento dei mutui in Europa non è il solito menagramo del mercato, ma Bernard Connolly, analista globale per la Banque Aig. Esagerato? Forse, ma quando una corazzata come Ubs, l’Unione delle banche svizzere, avverte pubblicamente che «le attività nel reddito fisso sono esposte a un ulteriore deterioramento del mercato immobiliare Usa», significa che qualcosa non funziona. La famosa crisi dei mutui subprime che molti avevano dato per esaurita è ben lungi dall’aver terminato la propria azione depressiva: quando un gigante come il gruppo di Zurigo lancia l’allarme e parla di un passivo per il terzo trimestre del 2007 di 830 milioni di franchi, circa 500 milioni di euro, c’è poco da stare allegri. Quando poi il governatore di Bankitalia, Mario Draghi, incentra il proprio intervento all’83esima Giornata mondiale del risparmio su questi temi, allora significa che qualcosa sta scricchiolando. Cosa ha detto Draghi? Ha parlato delle difficoltà delle famiglie italiane a far fronte a mutui e prestiti, dei costi ancora alti dei conti correnti e di una maggiore attenzione da parte delle banche alla clientela, oltre a lanciare un, per ora, cauto allarme sui prodotti finanziari “derivati” basati sul finanziamento del debito degli enti pubblici.
Per il titolare di palazzo Koch le famiglie italiane cominciano a faticare a far fronte alle rate del mutuo. «L’incidenza delle sofferenze sui prestiti per acquisto di abitazioni, ancora bassa, inizia a mostrare segnali di deterioramento. La Banca d’Italia ha sensibilizzato il sistema sui rischi specifici», ha aggiunto il governatore. Per le famiglie e le imprese «il rialzo dei tassi interbancari si rifletterà in un aumento del costo dei prestiti a tasso variabile, che rappresentano tre quarti del totale dei prestiti a medio e lungo termine». C’è poco da stare allegri, in Italia come altrove. Qualche numero può esemplificare. A Napoli i pignoramenti di case sono aumentati del 29 per cento, a Milano del 22, a Roma del 21. Piccole cifre, se viste in prospettiva generale: nessuno si accorgerà delle 317 famiglie in più rispetto al 2006 che a Napoli non sono riuscite a pagare il mutuo variabile o delle 317 di Roma o delle 227 di Milano. Un problema ancora limitato, insomma.
L’epicentro statunitense
Non è così negli Usa, dove la Commissione economia del Congresso prevede che entro il 2008 le famiglie americane buttate fuori di casa saranno due milioni. Il prezzo della casa media americana era di 262.600 dollari a marzo, mentre in settembre era già sceso a 211.700, un crollo velocissimo del 18 per cento. In Italia, dicono le banche, non può accadere visto che solo l’1 per cento dei mutui non vengono pagati. Per ora. Anche perché, come irresponsabile sete di stabilità impone, a tre mesi dal colossale collasso speculativo americano ancora non si prende atto del disa
stro. La scorsa settimana Merrill Lynch ha ammesso di avere in tasca «obbligazioni sostenute da debito» (cdo) per 8,4 miliardi di dollari. Il presidente, Stan O’Neal, è stato costretto alle dimissioni: la sua buonuscita, 160 milioni di dollari, ha lenito in parte il dolore. Il problema di credibilità è che meno di un mese fa la stessa banca d’affari aveva mentito: solo 5 miliardi di dollari di perdite, aveva assicurato. C’è da fidarsi? La cifra in questione è astronomica: basta pensare che la bancarotta del Long Term Capital Management nel 1997, un fondo speculativo, aprì un buco di 4,6 miliardi di dollari, provocando la necessità di un intervento-salvataggio di Stato. Solo le perdite del terzo trimestre hanno divorato un quinto del capitale proprio di Merrill Lynch. Il che significa che i prestiti che potrà concedere si contrarranno di un multiplo della perdita. In questo modo la rovina degli speculatori finanziari si riflette sull’economia reale: meno fidi e meno mutui, a prezzi più cari. E «c’è il timore che le quattro più grandi banche Usa stiano ancora cercando di nascondere i loro debiti», annuncia stentoreo Hans Redeker, capo del valutario a BnpParibas.
L’handicap dell’euro
L’America è già in stato d’insolvenza dato che il cumulo dei debiti privati, pubblici e familiari, supera il quadruplo del prodotto interno lordo. L’effetto cascata non ha tardato a farsi sentire. Il Giappone è tornato in recessione: la costruzione di nuove case è calata del 23,4 per cento in luglio e del 43,4 in agosto. L’Europa non sta meglio. La Banca centrale europea ha iniettato 400 miliardi di euro in liquidità – cifra spropositata mai vista in precedenza – senza un esito apparente. La Spagna ha il 98 per cento dei mutui a tasso variabile di tutta l’Eurozona (trionfo dell’edilizia speculativa) e ora l’intera Eurozona subisce un aumento dei tassi di almeno mezzo punto: la Spagna è sull’orlo della crisi e i suoi cittadini, che hanno comprato la casa all’apice dei prezzi, si troveranno costretti a vendere a prezzi in crollo. Perché? Semplice. In Spagna il denaro facile fino al 2005 ha alimentato un patologico boom immobiliare, a prezzi astronomicamente crescenti. Ora la crisi generale sta facendo scoppiare la bolla iberica: a Siviglia il prezzo degli immobili è calato del 4,1 per cento in un solo trimestre, a Madrid quasi l’1 per cento e a Barcellona lo 0,5. Di più, dopo la crisi dei subprime americani e la conseguente stretta sul credito, il 98 per cento dei mutui spagnoli devono pagare molto più del tasso Euribor (il tasso medio a cui avvengono le transazioni finanziarie in euro tra le grandi banche europee), con la prospettiva di insolvenze e pignoramenti a valanga. Tanto più che l’economia spagnola è debolissima e ha un deficit dei conti correnti salito al 9 per cento del Pil.
La crisi non solo è all’orizzonte, è già tra noi. I paesi europei, soprattutto quelli del Mediterraneo, arrancano schiacciati dalla competizione con il dollaro che ha perso il 60 per cento sull’euro dal 2001. «è l’inizio di una catastrofe», pronostica Bernard Connolly. L’euro proibitivo (non solo sul dollaro ma ancor più sulle valute asiatiche, dirette concorrenti) sta dissanguando la Spagna, ma anche la Francia. Anche Oltralpe i prezzi della case sono in caduta. Una grande fabbrica di giocattoli, la Smoby Majorette, ha chiuso non potendo sostenere la concorrenza cinese. Il gruppo Manzoni-Bouchto (che costruisce componenti per il settore automobilistico) è fallito per lo stesso motivo. «L’euro è diventato un handicap terribile», secondo Christian Streiff, della Peugeot-Citroen. La stessa Irlanda – protagonista di un boom economico incredibile – è ferocemente colpita dalla valuta ultra-forte nei confronti del biglietto verde perché commercialmente dipende dagli Usa e da investimenti statunitensi: a Dublino la recessione è già cominciata visto che la crescita del Pil è già negativa, -1,4 per cento nel secondo trimestre e da sei mesi i prezzi immobiliari calano senza sosta.
Parola di Profumo
E in Italia? Già tra la fine del 2006 e il primo trimestre 2007 c’è stato un calo dei mutui concessi e nelle compravendite (soprattutto nel Nord-Ovest). Sul fronte dei prezzi invece nessuna flessione nell’anno in corso: alla fine dello scorso anno Federconsumatori già preconizzava che i prezzi sarebbero aumentati mediamente del 5 per cento rispetto al 2006. Per la Federazione agenti immobiliari, i venditori accetteranno, dopo periodi di trattativa più lunghi, di vendere a prezzi inferiori alle loro richieste iniziali, ma superiori rispetto al 2006. Con i prezzi alti e i tassi d’interesse in rialzo, le rate salgono soprattutto in un paese come il nostro dove, a causa dell’elevato costo del denaro, il mutuo a tasso variabile è sulla carta molto più conveniente del fisso: in Italia la scelta del variabile rappresenta circa tre quarti del totale, mentre in Francia e Germania è solo il 25 per cento. Da queste premesse ci si chiede se i 208 miliardi di mutui sottoscritti da 3,5 milioni di famiglie saranno sostenibili. Incrociando i dati sull’Osservatorio del credito del Crif/Prometeia, con quelli di Unicredit, Banca d’Italia e Istat abbiamo il seguente profilo medio: i mutui coprono circa il 60 per cento del costo della casa, i tassi d’interesse medi sono del 5,5 per cento, la durata media è di circa 25 anni, una famiglia ha un reddito mensile di circa 2 mila euro e ha comprato una casa di circa 60 metri quadrati. In questo caso la rata media è intorno al 40 per cento dello stipendio: finora i debiti sono stati pagati puntualmente visto che solo 50 mila famiglie (circa 1,5 per cento del totale) sono entrate in una situazione di sofferenza finanziaria. Ma la fascia più esposta al rischio di un rialzo dei tassi è rappresentata da quelle famiglie con reddito massimo di 2 mila euro al mese che hanno contratto mutui a tasso variabile che coprono il 70 per cento circa del valore dell’immobile. Una moltitudine, sulla carta. La crisi è già qui e nessuna sa dove ci porterà. Soprattutto quando l’ad di Unicredit, Alessandro Profumo, risponde così alle contestazioni riguardo il numero di derivati finiti “in pancia” al suo istituto: «Sfortunatamente non deteniamo il cento per cento del mercato dei derivati, ma apparentemente siamo l’unica banca con i derivati e questa mi sembra una cosa abbastanza strana. Suppongo che altri istituti abbiano invece fatto la stessa cosa».
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