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Perché un sistema governato da banche per le banche dovrebbe occuparsi di una crisi che riguarda noi?

La Bce non serve famiglie e imprese, ma altri istituti di credito. E a loro converrà sempre investire nel sistema finanziario piuttosto che nell'economia reale

Giovanni Passali
09/10/2015 - 10:59
Economia
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euro-bce-ansa

Gentile direttore, negli articoli precedenti ho provato a spiegare sommariamente che la crisi economica è dipesa dall’esplosione del debito privato e il fatto che gli esperti sapevano bene che in questo modo, con un sistema di banche centrali che favorisce il debito privato con successive e sempre maggiori iniezioni di liquidità, la crisi sarebbe arrivata. Da ultimo ho poi cercato di mostrare che conoscenze anche minime di economia (e del principio di sussidiarietà) sono sufficienti per rendere evidente che il libero mercato non può funzionare.

Ora mi sembra interessante, a beneficio dei lettori che finora hanno fatto la fatica di seguirmi, entrare nel dettaglio di alcune questioni per meglio comprendere la gravità della crisi e il momento presente. Questo infatti dovrebbe essere il percorso per una autentica comprensione: capire il passato per comprendere meglio il presente e intuire con una certa efficacia il futuro, seguendo la direzione di quella linea che parte dal passato e arriva al presente.

Per una efficace lettura del presente, possiamo andare a prendere i dati fondamentali dal bilancio della nostra banca centrale.

La Bce non serve l’economia reale
Nell’ultima relazione annuale della Banca d’Italia, scaricabile dal sito dell’istituto, alla pagina 173 è visibile lo Stato Patrimoniale, di cui qui riporto la parte che ci interessa:

stato-patrimoniale-banca-d-italia-banconote

Ovviamente le banconote possono avere solo questa origine (a parte quelle falsificate, che sono da ritenere un fenomeno trascurabile da un punto di vista macroeconomico).

Quindi ora sappiamo che il valore totale delle banconote in circolazione in Italia è pari a 164,5 miliardi di euro. Le monetine invece non sono presenti in questo bilancio perché, come già spiegato in altri articoli, vengono coniate dallo Stato (ovviamente nella quantità decisa dalla Bce).

Sempre relativamente al 2014, dalla pagina 43 dello stesso documento sappiamo (come ormai è universalmente noto) che il Pil ha avuto un segno negativo: -0,4 per cento.

Siccome nel 2014 il valore delle banconote è passato da 157,5 a 164,5 miliardi di euro, con un aumento del 4,44 per cento, la domandina facile è: come mai con tanti soldi in più in circolazione il Pil è addirittura calato?

Certo, per studiare questa problematica non si può tenere conto solo delle banconote, ma occorrerebbe tenere conto anche di tutto il denaro creato in maniera elettronica dalle banche commerciali, quelle che erogano a famiglie e imprese mutui e finanziamenti di diverso tipo.

Ma questo studio è già stato condotto nella primavera del 2007 (con grande tempismo, poco prima che scoppiasse ufficialmente l’attuale crisi). Si tratta di uno studio condotto da tre economisti della Banca d’Italia, i quali hanno risposto alla domanda: come mai, con tutta la moneta in eccesso creata dalla Bce, nella zona euro non osserviamo inflazione (e nemmeno una crescita adeguata)?

Tale studio ha trovato la risposta: non osserviamo inflazione (né crescita) perché la moneta in eccesso non è finita a famiglie e imprese, ma sui mercati finanziari.

Il sistema bancario serve sempre di più la finanza
Questo accade perché, con l’attuale architettura monetaria e bancaria, quando il sistema delle banche centrali decide una espansione monetaria, le loro controparti sono quasi esclusivamente le banche commerciali e d’investimento. Ma queste non sono banche di Stato (che potrebbero avere come obiettivo non il profitto ma il bene comune), sono aziende che rispondono ad azionisti e hanno l’obiettivo di fare soldi.

E dove si fanno più rapidamente e con maggiore certezza i soldi, soprattutto un periodo in cui l’economia reale è in gravissima crisi? Ovviamente sui mercati finanziari.

Questo mette in evidenza due cose: la prima è che il principale responsabile della bolla dei mercati finanziari (basti pensare che la Borsa italiana dal 2013 ad oggi ha guadagnato il 30 per cento) è il sistema delle banche centrali; la seconda è che con tale struttura il sistema delle banche centrali è totalmente impotente nel fronteggiare la crisi dell’economia reale. Infatti in questa situazione alle banche commerciali, quelle che per prime ricevono il nuovo denaro creato, converrà sempre investirlo nel sistema finanziario piuttosto che nell’economia reale.

La sussidiarietà diventa impossibile
Già questo mostra come la presenza dello Stato sia indispensabile sia per governare la banca centrale, sia per operare con una banca commerciale nel sistema bancario al servizio di cittadini e imprese. Anche perché, se manca lo Stato, qualsiasi ipotesi di attuazione del principio di sussidiarietà è letteralmente impossibile.

Ovviamente sono contrario a una soluzione statalista, nella quale sia presente solo lo Stato (pure questo sarebbe contro il principio di sussidiarietà); sono invece per una soluzione mista (come negli anni Ottanta, prima delle grandi privatizzazioni attuate soprattutto da Prodi), proprio come oggi accade nel campo dell’istruzione e in campo sanitario. Ma tutto ormai sta per essere travolto dai dogmi del libero mercato, e pure la presenza pubblica in campo sanitario e in quello dell’istruzione si trova a mal partito, con gli operatori di quei settori costretti a servizi sempre maggiori (per la progressiva chiusura di sedi) e con fondi sempre in calo.

Alla fine a rimetterci sono sempre i cittadini, costretti a spese sempre più alte a fronte di servizi sempre più scadenti.

Il valore di una banca centrale di Stato
Quanto sia fondamentale l’apporto di una banca centrale è stato ben spiegato il 29 novembre del 2004 dal governatore della Banca centrale svizzera, Jean-Pierre Roth, in occasione delle celebrazioni per i 50 anni della Banca d’Israele. In tale occasione Roth fece un excursus sui motivi per cui la Svizzera non aderì al progetto dell’euro. E Roth cita due motivazioni molto interessanti, soprattutto alla luce della crisi odierna: la prima è che aderendo all’euro, la Svizzera avrebbe perso il signoraggio sulla propria moneta, e trattandosi di una base monetaria di 40 miliardi di franchi svizzeri, cioè 5.700 franchi svizzeri per persona, la cosa era tutto tranne che insignificante (questo tra l’altro conferma, al contrario della vulgata oggi dominante, che il signoraggio è pari al valore della moneta creata e non pari agli interessi maturati); la seconda è che la perdita di autonomia monetaria avrebbe tolto alla Banca bentrale svizzera la possibilità di creare liquidità in caso di necessità.

Proprio quella possibilità che ora sarebbe tanto utile alla Grecia e pure all’Italia.

Con la perdita del signoraggio, l’Italia ci sta rimettendo quei 164,5 miliardi di euro oggi presenti tra i passivi della Banca d’Italia. Senza contare la perdita degli interessi, che paghiamo ogni anno.

Sulla moralità o meno dei titoli di Stato
Eh già, problema spinoso quello degli interessi. Anzitutto perché all’economia reale toccano i soldi, che da soli non possono crescere, mentre al sistema bancario toccano i titoli di Stato, che al passare del tempo, sia che faccia bel tempo o che grandini, producono comunque il loro interesse per legge.

Ma c’è un altro aspetto dei titoli di Stato che mi preme far emergere, soprattutto perché non ho letto mai commenti “morali” su questi.

Sì, intendo proprio porre una enorme questione morale: i titoli di Stato sono uno strumento moralmente accettabile?

Capisco che la domanda possa suonare strana, bizzarra. Ma forse suona strana proprio perché non è stata mai posta. Proviamo allora a ragionarci con calma. Il titolo di Stato offre un rendimento praticamente certo (a meno del fallimento dello Stato). A chi lo offre? Normalmente i fruitori dei titoli di Stato sono cittadini benestanti, quando non fondi speculativi. Possiamo dire, con buona approssimazione, che il fruitore tipico del titolo di Stato è un cittadino (o una impresa, cioè una società finanziaria) dal reddito medio-alto.

Ma da chi è pagato il titolo di Stato? Ovviamente dallo Stato, cioè dalla totalità della popolazione. In altre parole, il titolo di Stato è uno strumento finanziario che fornisce un rendimento praticamente certo alla popolazione di maggiore reddito, pagato però dalla totalità della popolazione.

Ripeto la domanda: i titoli di Stato sono uno strumento moralmente accettabile?

Ma i titoli di Stato, da quando lo Stato non ha più una propria banca centrale (né una propria banca), sono l’unico strumento col quale lo Stato può reperire liquidità. Questo rende ancora più evidente e pressante l’esigenza dello Stato di avere una propria banca centrale, con una propria moneta, per poter stampare tutto il denaro che serve alle necessità dei cittadini, senza per questo arricchire sempre più la parte benestante della popolazione.

Ps. Nello scorso luglio, il nuovo super esperto di operazioni finanziarie speculative di Deutsche Bank ha improvvisamente abbandonato la banca, dopo appena un mese dalla nomina. Poi si è saputo che la banca si prepara a licenziare un quarto dei propri dipendenti, circa 23 mila persone. Ora in settimana è uscita la notizia che la banca tedesca, nel terzo trimestre, ha accumulato perdite per oltre 6 miliardi. Siamo alla nuova Lehman (che nessuno però può salvare)? Siamo al collasso?

Foto Ansa

Tags: bcecrisicrisi economicaEuroPil
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