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Perché Rosetta e Giovanni Gheddo, genitori di padre Piero, meritano la beatificazione

Il loro desiderio, espresso al Santuario di Oropa, di avere 12 figli, non è stato disatteso ma solo rimandato e moltiplicato nel piano divino. La testimonianza della postulatrice

Lia Lafronte
26/02/2016 - 0:10
Chiesa
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gheddo

Tratto dal blog di padre Piero Gheddo – Come è noto ai lettori dei miei blog, il Signore mi ha fatto la grande grazia di essere figlio di due genitori diventati servi di Dio nel 2006. Le due cause per la loro beatificazione, in questo Anno della Famiglia, stanno per riprendere il cammino con buone prospettive di continuarlo, con l’aiuto di Dio, fino alla meta. La nuova postulatrice delle cause, avvocato Lia Lafronte, nominata dall’arcivescovo di Vercelli monsignor Marco Arnolfo circa un anno fa, racconta in toni commossi come e perché Rosetta e Giovanni meritano di essere venerati e imitati come beati e santi della Chiesa. Oggi le due cause hanno bisogno soprattutto di preghiere, poiché tutto è nelle mani di Dio, e poi anche di offerte generose per sostenerle. Dio vi benedica, vostro padre Piero Gheddo.

Nell’aprile 2010 la Congregazione delle Cause dei Santi, per alcune irregolarità procedurali, bloccava l’iter romano delle cause di Beatificazione e Canonizzazione dei Servi di Dio Rosetta Franzi e Giovanni Gheddo (iniziate nel febbraio 2006) e consigliava che l’apparato probatorio fosse completato e rafforzato con altri documenti storici ed altre testimonianze.

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Poiché sembrava che tali prove ulteriori non potessero essere reperite, dato il lungo periodo di tempo dalla morte dei coniugi Gheddo, il blocco temporaneo delle cause appariva definitivo e la postulatrice di allora, dott.ssa Francesca Consolini, nel giugno 2011 rinunciava al mandato che l’Arcivescovo di Vercelli, Mons. Enrico Masseroni, le aveva conferito nell’ottobre 2004.

Mons. Marco Arnolfo, attuale Arcivescovo, insieme al Vicario Episcopale per la Pastorale Familiare, Mons. Giuseppe Cavallone, mi hanno nominata postulatrice il 18 febbraio 2015 in vista di una possibile ripresa delle cause che, oggi, alla luce della documentazione storica che è stata rinvenuta e delle nuove testimonianze raccolte, è da considerarsi quanto mai prossima.

Io sono estremamente grata ed onorata per l’incarico ricevuto e ringrazio il Signore non solo per le nuove prove trovate ma per avermi permesso di accostarmi così intimamente, nello studio e nella ricerca, alla conoscenza degli umili e semplici Servi di Dio, ma proprio per questo grandi, Rosetta e Giovanni. Ho potuto apprezzarne le splendide virtù evangeliche, la cui eroicità spero possa essere al più presto decretata dalla Congregazione delle Cause dei Santi e, soprattutto, sono arrivata ad amare entrambi così come si possono amare persone buone e care che si sentono vicine a noi.

La spiritualità dei coniugi e genitori Gheddo, manifestata già prima che si sposassero, mi ha colpito in modo molto profondo: è impossibile riassumere qui la ricchezza interiore e la luminosità della loro fede che ho percepito dai testimoni ascoltati e dai documenti storici che ho reperito.

L’impressione forte che ho avuto è che ogni più piccolo gesto nella vita di questi Servi di Dio, così amabili nella personalità e così calati nella normalità della vita familiare, parrocchiale e sociale da poter essere davvero definiti i “santi della porta accanto”, è che ogni loro più piccolo gesto – dicevo – è stato connotato da amore a Dio e da intimo ossequio alla Sua volontà: nella gioia, nel dolore, nel sacrificio.

Sono emerse in modo esemplare l’adesione dell’uno e dell’altra alla spiritualità di Don Giovanni Bosco (la loro era terra prettamente salesiana nel tempo in cui era molto forte l’eco della vita, delle opere e della morte del grande Santo) e la piena condivisione dei tre principi basilari dell’Azione Cattolica, di cui entrambi facevano parte: preghiera, azione, sacrificio.

Rosetta Franzi, iscritta anche all’ADMA (Associazione dei Devoti di Maria Ausiliatrice), era figlia di Maria Roviera, per qualche anno presidente delle donne di A.C. di Crova; era figlia di Francesco, ex alunno presso l’Istituto Salesiano di Torino Valdocco appena un anno dopo la morte di Don Bosco e mancato prete salesiano solo per la morte improvvisa del padre, che aveva richiesto il suo ritorno anticipato al paese natale, Crova. Rosetta era stata alunna e convittrice, per anni, presso l’Istituto delle Suore di Maria Ausiliatrice a Casale Monferrato, dove aveva respirato e fatto proprio non solo il carisma di Don Bosco ma anche quello di Santa Maria Mazzarello, fondatrice per volontà del Santo degli Istituti Salesiani femminili.

gheddo-piero-questi-santi-genitoriGiovanni, anch’egli ispirato agli ideali di Don Bosco, della cui vita e spiritualità si nutriva tramite letture particolareggiate e meditate, era parte viva e feconda dell’Azione Cattolica di Tronzano, dove negli anni 1923-1928 è stato presidente dei Giovani del Circolo ‘Don Abbondo’ (parroco di Tronzano che sarà beatificato nel Duomo di Vercelli l’11 giugno 2016 alle ore 10), rimanendo iscritto tra gli adulti da dopo il matrimonio fino al 1943, quando la sorella Adelaide lo iscrisse sperando nel suo ritorno dalla Russia.

Il dono volontario della vita compiuto da Giovanni in Russia, nel dicembre 1942, ricorda il terzo caposaldo di Azione Cattolica, il sacrificio, che aveva anche caratterizzato – seppure con diverse modalità – la morte del Beato don Secondo Pollo, Assistente Diocesano dei Giovani di Azione Cattolica di Vercelli, anche lui morto in guerra, nel 1941, colpito mentre cercava di soccorrere un ferito. Un grande esempio di cattolico, Giovanni, capitano d’artiglieria che ha dato la vita per fedeltà a Dio ed ai suoi ideali e che non aveva tradito la grande Associazione cui apparteneva neppure quando, quarantaduenne, malato, vedovo e padre di tre bimbi piccoli, era stato inviato in prima linea per pura persecuzione da parte del partito fascista, al quale non aveva voluto iscriversi.

Vorrei esprimere ciò che ho provato andando sulla tomba di Rosetta, al cimitero di Tronzano Vercellese. Un’emozione profonda mi ha pervasa al pensiero che quella piccola e dolce mamma, morta così giovane lasciando tre bambini per cui sognava con il marito un futuro di fede e carità (il primo giorno di nozze, al Santuario della Madonna di Oropa, avevano chiesto la grazia che almeno uno o una dei loro figli fosse sacerdote o suora), sia stata trovata ancora intatta, incorrotta, durante l’esumazione del corpo a trent’anni dalla morte (1964): in quella terra di risaie, umida ed assolutamente incompatibile, secondo la normalità delle cose, con la conservazione di un corpo il cui cuore aveva cessato di battere per parto prematuro e polmonite incurabile, allora, senza la penicillina.

Quel rinvenimento è stato un segno della santità di Rosetta, sono convinta, come per altri grandi santi. E lì, davanti a lei, mentre ero in preghiera, ho ripensato alle parole del parroco di Crova e confessore della Serva di Dio, don Giuseppe Oglietti, durante la messa funebre celebrata per lei in paramenti bianchi, con le campane che suonavano a festa: “Rosetta era un angelo, una santa ed è già in Paradiso. Non celebriamo la messa dei morti ma cantiamo quella degli Angeli”.

Vedendo la foto di Giovanni sulla lapide mortuaria, sotto quella di Rosetta, sono stata colpita invece dal pensiero del suo essere sepolto chissà dove, in terra straniera. Lui, perso nel gelo, sulle rive del Don: caduto per mano nemica nello slancio di carità volto a salvare la vita di un militare che doveva restare e morire al suo posto.

Un corpo donato per amore al prossimo, nel Signore, quello di Giovanni, ed un corpo preservato dalla corruzione, dal Signore, quello di Rosetta. Due destini particolari, incrociati in mistica connessione.

La vicinanza spirituale che percepivo di entrambi era grande e vera, reale come la stessa vita che avevano vissuto. Comprendevo che Giovanni era perso solo nel corpo, null’altro. Insieme erano vissuti sulla terra ed insieme erano e sono in cielo. Insieme li percepivo e, con quell’emozione profondissima, mi sono sentita e mi sento loro figlia, come tante altre persone che hanno imparato ad amarli.

Ho compreso che il secondo desiderio da loro espresso al Santuario di Oropa, di avere 12 figli, non era stato disatteso ma solo rimandato e moltiplicato nel piano divino che non vede solo la maternità e paternità fisica ma anche, e soprattutto, quella spirituale.

Ecco la preghiera semplice e genuina sgorgata dall’anima di Rosetta, tanto devota al Sacro Cuore di Gesù ed al Preziosissimo Sangue, che io, sua figlia spirituale, ho fatto mia: “O Santo Sangue sparso, o Sangue di pietà! Cuore di Cristo aperto, Cuor pieno di bontà! La grazia che ti chiedo, fammela, per carità!”.

Ora preghiamo tutti, noi che vogliamo bene a Rosetta e Giovanni, perché le loro Cause di Beatificazione e Canonizzazione riprendano presto e si concludano bene. Affidiamoci ai Servi di Dio affinché per loro intercessione il Signore voglia esaudirci e dare un segno inequivocabile, con un vero miracolo, della loro santità così che essa possa essere presto riconosciuta ufficialmente dalla Chiesa.

Lia Lafronte Postulatrice

Tags: beatificazionegiovanni gheddopiero gheddorosetta franzi
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