Di fronte a un centrodestra che non stabilizzava la situazione politica e a un centrosinistra incapace di misurarsi con la riforma dello Stato, non era difficile prevedere come la tendenza prevalente, determinata innanzitutto dalla crisi della Costituzione, sarebbe stata la disgregazione. Ciò non solo corrispondeva alle logiche di vari interessi e nomenklature nazionali, all’esaurirsi di un establishment ormai ridotto quasi solo a Banca Intesa (peraltro divisa all’interno) e a uno sbandamento complessivo dello Stato a partire dalle toghe politicizzate. Ma anche alle influenze di fondamentali soggetti internazionali.
Qualcuno sperò, poi, nel governo tecnico Monti. In realtà più che nel professore bocconiano, subito segnalatosi per vanesia pretenziosità, si contava su Giorgio Napolitano. L’attacco diretto di pm tra i più giustizialisti al Quirinale, con drammatica morte per crepacuore del consulente giuridico della presidenza della Repubblica e poi scontro frontale tra una procura e l’Alta corte, ha spaventato un politico che peraltro non è mai stato un cuor di leone, e da quel momento si è ancor più alimentata la deriva disgregatrice.
I segni della devastazione
Il disordine di oggi non credo abbia bisogno di molti esempi: basterebbe il successo di un pagliaccio come Beppe Grillo per confermarlo. Bel segno di devastazione è anche l’entrata in politica di chi ha messo sotto accusa lo Stato italiano (a partire – con buona pace di Beppe Pisanu – dal santino della sinistra Oscar Luigi Scalfaro) e che prima scappa in Guatemala, poi invece di assumersi le proprie responsabilità si butta in politica. Non manca la comprensione, di fronte a simili vicende, per Pier Luigi Bersani che per frenare questo tipo di deriva arruola un un po’ grigio ma onesto servitore dello Stato come Pietro Grasso: ma esprimere comprensione non significa non registrare lo smottamento della politica italiana. A questo possiamo aggiungere quei poveretti della Fiat, che hanno fatto un buon lavoro in questi anni, ma che non sanno più collocarsi in politica, puntano le carte sull’evanescente Luca Cordero di Montezemolo che si defila e sono costretti ad arruolare di corsa un gentiluomo come Alberto Bombassei. Da ricordare, pure, una certa area del mondo cattolico invischiata in un lavorìo articolato pro-Monti con un leader come Andrea Riccardi, anche lui sottrattosi prudentemente dalla scena. Vanno ricordati ancora i meravigliosi sindacalisti della Cisl, principali artefici di quel poco di riformismo di questi anni, divisi sui diversi fronti, con un loro capo storico come Sergio D’Antoni umiliato dalle “primarie” Pd, e ora con maître à penser del loro riformismo l’astrattato e velleitario Pietro Ichino. Per non parlare di validissimi tecnici confindustriali allontanati dalla propria organizzazione perché troppo nemici della Cgil e adesso in lista con il Pd. O certi ultraliberisti, sostenuti da Emma Marcegaglia & Carlo De Benedetti, che improvvisamente si trovano a fiancheggiare un Giorgio Ambrosoli capace di chiedere solo più repressione giustizialista: alla faccia del liberismo. O alcune persone perbene – tra queste anche il caro Gabriele Albertini – che sostengono giustamente come l’orizzonte del centrodestra italiano debba essere il Ppe ma non considerano questo obiettivo come uno sforzo di soggetti nazionali bensì come un commissariamento dall’alto da parte dei tedeschi. E certo, poi, forti segni di disgregazione abbondano pure nel centrodestra: basta leggere anche distrattamente i giornali.
Chi prepara la costruzione del nuovo
E allora? Nelle situazioni disperate chi cerca di agire moralmente e di perseguire oltre ai propri interessi un bene comune, la prima scelta che deve fare è quella di selezionare il possibile male minore: cioè oggi quello che frena la tendenza disgregatrice principale e prepara una fase in cui si possa costruire il nuovo. In questo senso del Pd va sottolineato come le primarie abbiano fornito una base popolare alla sua politica, che è comunque un freno alle varie forze che lo condizionano non poco: dalla Cgil ai pm sponsor, a De Benedetti, alle reti prodiane e bazoliane. Il centrodestra con tutto il suo caos è ancora l’unico baluardo di un’Italia che non vuole cedere a un’incontrastata egemonia della sinistra che, se non moderata da un’alternativa, finirebbe, d’intesa con il chiuso “sistema” italiano e le influenze internazionali, per svuotare la nostra democrazia. E il centrino elitista e delle nomenklature postmissine e post-Dc? Ha avuto delle occasioni: Pier Ferdinando Casini quando Silvio Berlusconi si dimette dalla guida del Pdl poteva diventare leader di tutto il centrodestra, Mario Monti da padrone dell’Italia, oltre alle in parte necessarie ma mediocri riforme socio-economiche realizzate, poteva aprire la via della riforma di politica e giustizia. Poi poteva rispondere all’appello di Angela Merkel a unificare il popolarismo italiano. Tutte le occasioni sono state perdute e per di più per velleitari disegnini personali. È bene che sia tenuto ben presente innanzitutto questo spreco.