Pubblichiamo un articolo apparso sul sito di Raffaele Cattaneo, Pdl.
Alle prossime elezioni regionali ho chiesto di essere candidato nelle liste del Popolo della Libertà. Come me faranno gli amici che hanno condiviso un percorso politico in Regione Lombardia con Roberto Formigoni. Lo faremo insieme dopo un lungo travaglio e dopo aver sostenuto Gabriele Albertini che invece sarà il candidato presidente della Lista Monti.
Molti mi stanno facendo notare l’incoerenza delle mie dichiarazioni ed esprimono rammarico per quella che è percepita come una giravolta: mi accusano di aver tradito la parola data e di aver perso la faccia cambiando rotta. Altri sostengono che lo avrei fatto solo per difendere posizioni di potere e poltrone varie. È comprensibile tale reazione.
Ma, benché certamente io e gli altri amici abbiamo fatto scelte diverse da quelle iniziali, non siamo incoerenti sugli obiettivi né ci siamo venduti per un piatto di lenticchie.
Mi preme dunque spiegare bene le ragioni di questa scelta, che è stata una scelta sofferta e non fatta a cuor leggero, ma dopo una lunga valutazione e con la convinzione che si tratti della scelta migliore e più utile nelle condizioni date, per difendere un valore che vale ancor più della nostra coerenza e della mia faccia.
Qual è il valore che in politica vale ancor di più della coerenza con le proprie dichiarazioni? C’è un valore per cui si può anche “perdere la faccia” di fronte a chi ritiene tale un cambiamento di posizione?
Non sono un uomo politico che ama vantarsi delle giravolte e le capriole politiche non mi entusiasmano. Ma credo che l’affermazione dei principi non negoziabili e la difesa di quello che abbiamo costruito in 18 anni di lavoro politico-istituzionale in Lombardia valgano un cambiamento di rotta, se giustificato da ragioni politiche adeguate e da un cambiamento oggettivo del contesto.
Quali sono le ragioni politiche che ci hanno portato a cambiare opinione? Innanzitutto l’evidenza che abbiamo fatto una battaglia politica nel PDL e che l’abbiamo perduta, benché avesse buone ragioni. In politica si può vincere o perdere una battaglia politica, ma se le ragioni sono giuste vale la pena di combatterla anche quando l’esito non é garantito.
L’abbiamo fatta per tre ragioni che restano tutte valide:
• costruire una proposta di unificazione del voto moderato nella prospettiva di creare la sezione italiana del PPE
• aprire nel PDL una stagione di partecipazione dal basso e di scelte democratiche di rinnovamento (primarie, congressi, ecc.)
• evitare di affidare la rappresentanza esclusiva delle regioni del nord alla Lega, consegnando alla guida leghista anche la regione Lombardia dopo Veneto e Piemonte. Non sono tutte queste ragioni adeguate per condurre una battaglia politica? E non sono forse ancora tutte valide? Io credo di sì e non ho cambiato idea a riguardo.
Quello che è cambiato è lo scenario politico nel quale ci siamo trovati e con questo dobbiamo fare i conti con molto realismo, soprattutto alla luce di tre elementi:
• le scelte politiche di Monti – a cui in Lombardia si sono allineate quelle di Albertini nato come candidato civico aperto al sostegno di PDL e forze centriste e diventato oggi il candidato di Monti – hanno precluso la possibilità di federare i moderati, nonostante ciò fosse stato chiesto a Monti dal PPE e anche dal PDL. Anzi hanno portato alla nascita di una limitata forza di centro che è prevedibile sia destinata a fare da stampella alla sinistra e che ha posizioni incerte sui principi non negoziabili come la difesa della vita, la libertà di educazione, la famiglia come pilastro della vita sociale.
• il ritorno in campo di Berlusconi, fondatore del PDL, ha chiuso oggi la prospettiva delle primarie e del rinnovamento all’interno del PDL che pure non può essere ulteriormente rinviato. Dopo la tornata elettorale questa necessità ritornerà in tutta la sua evidenza. Oggi però il PDL si è ricompattato intorno a Berlusconi
• l’accordo Lega-PDL, accettato dalla Lega nonostante le ire della base leghista e le ripetute dichiarazioni dei propri vertici che avrebbero fatto corsa solitaria, ha portato da un lato all’alleanza per le elezioni politiche, con l’obiettivo di conquistare il premio di maggioranza al Senato in Lombardia, dall’altra alla candidatura di Roberto Maroni per la presidenza della Regione Lombardia sostenuta da tutta la coalizione.
In questa situazione continuare a sostenere in modo coerente la candidatura di Albertini alla Presidenza della Lombardia – che oggi non ha più alcuna probabilità di vittoria – avrebbe significato concretamente favorire il successo di Ambrosoli e delle sinistre, una coalizione che ha fatto della eliminazione sistematica di quanto realizzato da Formigoni (buono scuola e sistema dote, modello sanitario basato sulla parità pubblico privato, sistema accreditamento e voucher per le politiche sociali, del lavoro, ecc.) la propria ragion d’essere e il contenuto del proprio programma. Sarebbe una scelta saggia? Io credo di no e sono certo che gli stessi nostri elettori che oggi ci accusano di incoerenza e minacciano di non votarci più, domani sarebbero stati i primi a criticarci per averli portati verso esiti simili.
A questo punto occorreva prendere una decisione fra tre alternative:
• per coerenza, continuare con Albertini che avrebbe significato far vincere Ambrosoli e scegliere il partito di Monti, che peraltro non ci vuole come detto chiaramente dallo stesso Monti.
• per rigore, ritirarsi a vita privata, come Catone tornato a fare l’agricoltore per distinguersi dal Senato di Roma, lasciando ad altri il campo.
• per realismo, prendere atto che lo scenario politico si è profondamente modificato e trarne la conseguenza più coerente con l’obiettivo di difendere principi e contenuti di 18 anni di lavoro in Lombardia.
Ho scelto la terza strada, insieme a Roberto Formigoni e con il conforto di tanti amici che hanno condiviso questo passaggio e che mi hanno chiesto di rimanere in campo per la Regione Lombardia, affinché l’esperienza che ho maturato in questi anni possa contribuire meglio alla difesa dei risultati ottenuti e di quanto abbiamo costruito in Lombardia.
La scelta di fare il Catone per salvare “faccia e virtù” mi avrebbe risparmiato critiche feroci. Ma credo che la difesa di quello che abbiamo costruito dal rischio di una vittoria della Sinistra che si candida per distruggerlo sia un sacrificio di valore morale almeno altrettanto alto. Nel 1981 l’allora Cardinale Ratzinger proponeva ai politici cattolici del suo paese, la Germania, un elogio del compromesso in politica, come valore in sé, la cui attualità, per laici e cattolici, mi sembra ancor oggi stringente.
«Essere sobri e attuare ciò che è possibile, e non reclamare con il cuore in fiamme l’impossibile, è sempre stato difficile; la voce della ragione non è mai così forte come il grido irrazionale. Il grido che reclama le grandi cose ha la vibrazione del moralismo: limitarsi al possibile sembra invece una rinuncia alla passione morale, sembra pragmatismo da meschini. Ma la verità è che la morale politica consiste precisamente nella resistenza alla seduzione delle grandi parole con cui ci si fa gioco dell’umanità dell’uomo e delle sue possibilità. Non è morale il moralismo dell’avventura, che tende a realizzare da sé le cose di Dio. Lo è invece la lealtà che accetta le misure dell’uomo e compie, entro queste misure, l’opera dell’uomo. Non l’assenza di compromesso, ma il compromesso stesso è la vera morale dell’attività politica».
Per le ragioni che ho descritto mi candiderò dunque nelle liste del PDL con l’obiettivo di essere eletto al Consiglio Regionale e di continuare l’esperienza di buon governo dell’alleanza PDL-Lega che ovviamente sosterrò. Se la coalizione, come sono certo, vincerà le elezioni sarà Presidente Roberto Maroni. La nostra presenza contribuirà a mantenere una linea di continuità con quanto fatto finora nell’interesse dei lombardi.
In particolare io mi impegnerò per difendere i principi non negoziabili – difesa della vita, sostegno alla famiglia, libertà di educazione – e le realizzazioni concrete con cui sono stati tradotti in pratica in Lombardia come il buono scuola e il sistema delle doti scuola e lavoro, il fondo Nasko (che ha sostenuto 2.500 donne in difficoltà permettendo loro di portare a termine la gravidanza anziché abortire), la legge 23 sul sostegno alle famiglie e all’associazionismo familiare.
Inoltre farò di tutto affinché la sussidiarietà rimanga il principio fondante del “modello lombardo”, come é stato per il sistema sanitario lombardo che andrà perfezionato ma ci ha dato la sanità migliore al minor costo, per i servizi alla persona e il sistema di welfare, che andrà mantenuto e incrementato, per le politiche oggi ancor più necessarie a sostegno del lavoro e dell’impresa, soprattutto piccola e media, per la realizzazione delle grandi opere pubbliche avviate, che andranno certamente completate, ecc.
Ma anche, guardando al futuro, per assicurare, in una nuova fase della vita istituzionale di Regione Lombardia, il permanere di un patrimonio di idee, valori, cultura, esperienze, buona amministrazione riassunto nella concezione sussidiaria del potere pubblico, il contributo più significativo a mio parere del “modello lombardo”, dimostrando nei fatti come i principi della dottrina sociale cristiana fossero effettivamente in grado di cambiare in meglio le cose. Principi di cui credo ci sia ancora bisogno non solo nei convegni ma nella testimonianza concreta di una azione di governo, in particolare per i cattolici impegnati in politica.
Raffaele Cattaneo, 11.1.2013