
Perché la secessione della Bosnia-Erzegovina è un rischio molto concreto

La Bosnia-Erzegovina è sull’orlo della secessione dopo il fallito arresto da parte della polizia nazionale (la Sipa, Agenzia statale di investigazione e protezione) di Milorad Dodik, il presidente della Repubblica Serba, l’entità che insieme alla Federazione di Bosnia ed Erzegovina forma lo stato di Bosnia-Erzegovina, il 23 aprile scorso. Le guardie del corpo del ministero degli Interni della Repubblica Serba che accompagnavano Dodik a una riunione a Sarajevo Est hanno impedito l’esecuzione dell’arresto, disposto dalla procura nazionale, minacciando di opporre resistenza armata se gli agenti della Sipa avessero cercato di eseguire gli ordini del procuratore.
I commenti attribuiti al presidente serbo rendono il senso della situazione: «C’è qualcuno che pensa davvero che la polizia della Repubblica Serba, incaricata della protezione delle istituzioni, debba inchinarsi alla forza occupante chiamata Sipa, Procura, Corte, Schmidt?».
Lo scontro con il rappresentante dell’Ue
Schmidt sarebbe il tedesco Christian Schmidt, Alto Rappresentante per la Bosnia e Erzegovina, figura istituita dagli Accordi di Dayton del 1995 che misero fine alla guerra civile bosniaca. I suoi poteri sono estesissimi: può legiferare anche in termini costituzionali, bocciare leggi prodotte nelle due entità, rimuovere dalle loro cariche pubblici ufficiali e dirigenti politici.
Il mandato di arresto contro Dodik risale infatti alla mancata esecuzione da parte della Repubblica Serba di una decisione dell’Alto Rappresentante, che aveva invalidato una legge approvata dalla sua Assemblea nazionale in base alla quale le decisioni dell’Alto Rappresentante non erano più riconosciute nel territorio della Repubblica: non sarebbero più state pubblicate sulla Gazzetta ufficiale e non sarebbero state applicate all’interno dell’entità. In risposta, Schmidt ha introdotto emendamenti al codice penale della Bosnia-Erzegovina che hanno reso reato il mancato rispetto delle sue decisioni.
Ne è nata un’inchiesta giudiziaria e poi un processo che hanno portato alla condanna del presidente Dodik, del primo ministro Radovan Višković e del presidente del parlamento Nenad Stevandić. Il primo è stato condannato a un anno di carcere e a sei anni di interdizione dai pubblici uffici. La sentenza è stata emessa in febbraio, il mandato di arresto è stato spiccato il 12 marzo scorso. La Repubblica Serba ha immediatamente reagito a tale provvedimento approvando una legge che vieta alle autorità giudiziarie nazionali e alla Sipa di esercitare la loro giurisdizione sul suo territorio. La norma è stata immediatamente impugnata dalla Corte costituzionale della Bosnia-Erzegovina, ma l’episodio del 23 aprile è la dimostrazione che la polizia alle dipendenze della Repubblica Serba è intenzionata a farla rispettare.

Gli ultimatum di Dodik
A proposito di Christian Schmidt il presidente Dodik ha rincarato la dose: «Schmidt deve andarsene e deve cancellare tutto ciò che ha imposto prima di andarsene. Se voi signori di Sarajevo volete davvero ripristinare la forza o la funzionalità della Bosnia-Erzegovina, allora rinunciate a Schmidt e cancellate tutte le sue decisioni. Solo allora potremo sederci e parlare».
Un altro ultimatum ha riguardato la proprietà dei beni pubblici, che i serbi vogliono attribuita esclusivamente alla Repubblica Serba per quelli che si trovano sul suo territorio. Nel caso che ciò non sia permesso, «ci separeremo e difenderemo le nostre proprietà. Pensate che non possiamo farlo? Non abbiamo bisogno di armi per farlo». È stata pure annunciata la creazione di una polizia della Repubblica Serba per il controllo dei confini.
Ultranazionalismo e legami con Putin
Dodik è stato due volte primo ministro della Repubblica Serba ed è al terzo mandato presidenziale quadriennale. Considera innocente l’ex leader serbo bosniaco Radovan Karadžić, condannato all’ergastolo dal Tribunale internazionale per i crimini nella ex Jugoslavia, e rigetta i rapporti sulla strage di Srebrenica, compreso quello approvato dalla Repubblica Serba nel 2004. Per tre volte Stati Uniti e Regno Unito hanno istituito sanzioni contro la sua persona accusandolo di minare gli equilibri costituzionali della Bosnia-Erzegovina.
Dodik ha dichiarato la Repubblica Serba neutrale rispetto alla guerra russo-ucraina, ma sono noti i suoi rapporti con Vladimir Putin, che nel gennaio 2023 ha insignito della più alta onorificenza serbo-bosniaca, l’Ordine della Repubblica Serba. Dodik, che il 31 marzo scorso era a Mosca per un incontro con il presidente russo, ha annunciato che il prossimo 9 maggio sarà a Mosca per l’anniversario della vittoria sovietica sul nazismo; altri leader europei che hanno annunciato la loro partecipazioni alle celebrazioni, nonostante l’invito dell’Alta Rappresentante per la politica estera della Ue Kaja Kallas a disertarle, sono il primo ministro slovacco Robert Fico e il presidente della Serbia Aleksandar Vučić.
Incaricata del mantenimento della pace e degli adempimenti militari previsti dagli Accordi di Dayton in Bosnia è una missione dell’Unione Europea denominata Eufor Operazione Althea composta da 1.100 elementi, in maggioranza concentrati nei pressi di Sarajevo. In realtà alla missione contribuiscono anche quattro paesi che non fanno parte dell’Unione Europea. Da sola la Turchia fornisce 150 soldati.
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