Perché la bioetica?

Di Aldo Vitale
31 Agosto 2015
Secondo Steven Pinker la bioetica si fonda «principi nebulosi e vaghi», ostacola la ricerca e causa miliardi di morti. Una replica

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Su Repubblica dello scorso 27 agosto è stato pubblicato uno stralcio dell’intervista a Steven Pinker, massimo esponente contemporaneo di psicologia evoluzionistica, secondo cui la bioetica ostacola la ricerca.

La agguerrita critica di Pinker nei confronti della bioetica si sviluppa su tre snodi principali: deve essere eliminata perché basata su «principi nebulosi e vaghi»; costituendo un ostacolo per la ricerca ha causato indirettamente morte prematura e disabilità gravi che in numero di anni di vita perduti sono stati stimati dall’Oms intorno ai 2,5 miliardi all’anno; le istituzioni bioetiche «sono ormai una corporazione, in preda a un conflitto di interesse: è un’industria accademica e burocratica che ha bisogno di giustificare la propria esistenza».

A seguito di ciò, si deve considerare quanto segue.

In primo luogo: ritenere che la bioetica si fondi su principi nebulosi e vaghi significa ignorare cosa effettivamente sia la bioetica; è vago l’utilitarismo? È nebuloso il diritto alla vita? Sicuramente chi come Pinker è abituato agli apriorismi tipici dell’evoluzionismo ed agli intimismi psico-solipsistici tipici della psicologia, è anche abituato a intendere similmente il mondo in ogni suo aspetto, nonostante la realtà abbia una sua struttura ed intelligibilità razionale che ne consente la comprensione tanto della dimensione fisica, fatta di cose, quanto di quella metafisica, fatta di valori.

In secondo luogo: ritenere che la bioetica sia la causa indiretta della perdita di vite che altrimenti si sarebbero potute salvare, stimate in un ammontare annuo di 2,5 miliari di anni, significa utilizzare male una buona logica.

Poiché Pinker cita l’Oms, sarà sicuramente altresì consapevole che la stessa Oms ha calcolato la cifra di 40 milioni di aborti all’anno in tutto il mondo (come pubblicato dalla prestigiosa rivista Lancet nel 2007); se ne deduce che a causa dell’aborto si perdono molti più anni e si producono direttamente molti più danni di quelli che Pinker attribuisce indirettamente alla bioetica; moltiplicando, infatti, la vita media, circa 70 anni, per il numero di aborti all’anno, si ottiene la cifra maggiore di ben 2,8 miliardi di anni di vita all’anno; del resto, come si dice spesso, la cura per il cancro già esisterebbe se il suo scopritore non fosse stato abortito.

Insomma, Pinker semplicemente ed infantilmente si limita a rigirare contro la bioetica la statistica che ordinariamente in bioetica si utilizza come punto di partenza per evidenziare il problema dell’aborto nel mondo.

In terzo luogo: vi sarebbe tanto da dire sui conflitti di interessi di molti scienziati e di molti di coloro che sotto la nobile e casta tunica della ricerca e del progresso scientifico vestono i miseri stracci degli accaparratori di ricchezza (come dimostra inconfutabilmente l’industria mondiale della fecondazione assistita o della maternità surrogata), ma, in questa sede, ci si può limitare ad osservare che proprio lo stesso articolo su Pinker pubblicato da Repubblica evidenzia quanto segue: «Anche il mercato si schiera nella querelle: sta con Pinker».

Insomma i sostenitori di Pinker, cioè il mercato, paradossalmente lo smentiscono dimostrando che se proprio esiste una corporazione è proprio quella dei cosiddetti scienziati- manager che malsopportano i vincoli etici e giuridici e che auspicano una deregolamentazione totale per poter aumentare i profitti.

Del resto così si spiega la reazione stizzita di certi ambienti scientifici sul divieto posto tanto in Europa quanto negli Usa circa la brevettabilità dell’embrione umano.

Oltre ciò, altre due brevi osservazioni sembrano necessarie.

La bioetica consente alla scienza di non diventare autoreferenziale e, popperianamente, dunque, la bioetica può essere considerata, oltre che la “scienza della sopravvivenza” come ebbe a notare Van Potter che ne coniò il termine, anche come l’unica risorsa razionale che consente allo stesso tempo la “sopravvivenza della scienza”.

La bioetica, infatti, evitando che la scienza bio-medica possa assurgere ad elemento totemico a cui sacrificare la libertà individuale e la dignità dell’uomo, assume il delicato ed insostituibile ruolo di coscienza della scienza e di guardiana della coscienza, operando contro la dogmatizzazione della scienza in genere e di quella bio-medica in specie.

In conclusione, si può, tuttavia, riconoscere che se non vi fossero poco sofisticati pensatori come Pinker, senza dubbio non vi sarebbe bisogno della bioetica, ma, fino a quando il senso morale e la visione giuridica di alcuni saranno sordi e ciechi nei confronti della dignità umana, occorre che altri, liberi dalle cataratte ideologiche, si impegnino per indicare la via della giustizia: e questo è il quotidiano percorso della bioetica.

Foto da Shutterstock

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