Perché non possiamo dirci radicali

Di Respinti Marco
31 Gennaio 2002
La curiosa avventura intellettuale di Robert Nozick, scomparso negli States a 63 anni. Dall’anarchismo allo statalismo, passando per l’eutanasia di Marco Respinti

Ma è proprio il Manifesto che il 25 gennaio pubblica, a firma di Stefano Petrucciani, un’analisi equilibrata e addirittura simpatetica dell’arcilibertario-liberista Robert Nozick, scomparso il giorno prima all’età di 63 anni stroncato da un cancro allo stomaco, il teorizzatore dello Stato minimo nella sua forma più estrema e individualista a partire dal famosissimo Anarchia, Stato, Utopia del 1974?

Sì, è proprio il quotidiano comunista: ma che c’entra l’anarcocapitalismo “di destra” con i pronipoti di Karl Marx? Non era forse Nozick un “grande diavolo” ultranemico del Welfare State e di ogni socialismo, il difensore di un anarchismo parareazionario, un lacché dei padroni, un sicuro mazziere culturale di no global e Centri Sociali?

Sembrerebbe, ma -come dice Tolkien- «non tutto quel ch’è oro brilla».

Gli è che Nozick, mescolando un sospetto di Ludwig von Mises, una spruzzatina di Murray N. Rothbard, un nonsoché di John Locke, un’ideina di giusnaturalismo razionalista e un bel po’ d’illuminismo, partì un giorno per abbattere il drago egualitaristico di Teoria della giustizia di John Rawls (1971), ma poi finì — improbabile san Giorgio — per distuggere le stesse basi teoretiche della propria critica. Se proprio non divenne socialista (la tradizione liberalsocialista è altra cosa), creò de facto l’ala sinistra del movimento libertarian (gli eredi più puri, ancorché variegati, dei Mises e dei Rothbard), ponendosi però sostanzialmente fuori di esso.

Se l’universo libertarian statunitense è, per molti versi (e il paradosso è tutto voluto e provocatorio), la versione Far West (o Deep South) di una sorta di “medioevalismo” un po’ protestante e un po’ (post)liberale senza gerarchia, nobiltà e Chiesa, ma con molto, moltissimo feudalesimo, diritto comune e federalismo in atto, Nozick appartiene a un’altra parrocchia. Almeno da La vita pensata del 1989 (ma ampie premesse ci sono già prima), egli ha certo preso le distanze da Anarchia, Stato, Utopia. Come bene evidenzia Carlo Lottieri – uno dei massimi studiosi italiani di Libertarianism, autore di Il pensiero libertario contemporaneo (Liberilibri, Macerata 2001) -, Nozick evoca una nuova forma di statalismo incentrato sull’idea di una “società-Stato” intesa come «ente collettivo ed esclusivo, il quale […] è giudicato in grado di attribuire una particolare aura di spiritualità ad ogni azione da esso regolata o guidata, chiesta o imposta». In questo modo, si realizza la meta-utopia liberale (che, pur insita nella tradizione liberale, è stata concretamente respinta – così afferma lo studioso John Gray – da tutti i teorici dello stesso liberalismo): un ordine politico entro cui gl’individui possano, secondo varie combinazioni, cercare di mettere in pratica le proprie diverse e numerose visioni utopistiche.

La quadratura del cerchio fonda allora un nuovo statalismo radicale e libertario (per questo conviene non tradurre il ben diverso e più ampio termine inglese libertarian), e siccome tutti i Pater finiscono in Gloria, l’utopismo nozickiano miete immediatamente le propri vittime: il prestigioso pensatore dell’Università Harvard, nato a New York nel 1938, è stato infatti uno dei massimi alfieri culturali dell’introduzione dell’eutanasia nel sistema giuridico statunitense (che però ancora la considera reato). Ripensando al fatto che molti suoi critici libertarian nordamericani studiano invece la Scolastica e frequentano la Messa cattolica secondo il messale si san Pio V, capisco di botto l’attenzione de il Manifesto per Robert Nozick, r.i.p.

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