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Per un partito cattolico di centro (senza nostalgia)

Tra eredi dinamici che guardano alla comune Casa Europa e meri custodi di maniera si gioca una parte rilevante del rinnovamento per il futuro della nostra politica.

Giancarlo Chiappello
14/01/2022 - 6:23
Politica
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La facciata della cattedrale di Campinas, Brasile

Un tema che riterrei strategico in questo tempo di cambiamento in atto del sistema politico italiano in cui si è riaperta la discussione sul “centro” e si ripropone la “questione cattolica” che, indubbiamente, andrebbero entrambe sottratte alla polarizzazione ormai fallita che ha messo in pericolosa tensione la nostra democrazia e inquadrate in maniera innovativa nel quadro del sistema europeo con le sue famiglie politiche di riferimento e l’impianto di tipo proporzionale è rappresentato dal freno posto dai nostalgici. In quest’ottica si può toccare il tema del conservatorismo.

Punto di partenza, però, può essere posta oltre alla considerazione fatta da Mons. Galantino in una intervista al Corriere della Sera a margine dell’ultimo Festival della Dottrina Sociale della Chiesa a Verona, un passaggio dell’intervista a Giuseppe De Rita apparsa su Tempi: «Strutturalmente non può esserci un partito di centro – riflette ancora il sociologo – perché sarebbe di un centro così aggregativo da non poter essere partito: troppa gente sta al centro ma fare partito è un’altra cosa. Un partito si costruisce su un’ideologia, su una linea politica, un’organizzazione ferrea, un comitato centrale, una rivista tipo Critica Marxista di una volta».

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Un centro di trent’anni fa

Dopo la considerazione del presule citato, secondo la quale non dispiacerebbe un nuovo partito di ispirazione cristiana, quali posizioni si sono lette nelle settimane a seguire? Precisazioni, puntualizzazioni, rivendicazioni, con un evidente filo conduttore, ossia depotenziare un così forte, potenziale, innesco di un dibattito vero, fuori dai soliti circuiti autoreferenziali.

Egli ha provocato probabilmente un certo terrore, fin anche isterismi. Perché? Con una semplice considerazione – non scevra di realismo considerando l’afonia della visione sociale cristiana nella politica italiana collegata alla citata e sempre più evidente “questione cattolica” che rimette in gioco il centro dello scacchiere politico in connessione con l’inserimento, nel sistema, del paradosso “Draghi” che, di fatto, governa dal centro senza un centro – ha scavalcato, in un colpo solo, tutte le formule artefatte giocate durante la sedicente seconda repubblica da una classe dirigente che, dopo essere stata protagonista di scioglimenti, fusioni, congelamenti, “pellegrinaggi” a volte schizofrenici, dispersione di uno straordinario patrimonio politico, umano ed organizzativo, cerca una costante opera di maquillage.

Ha, insomma, colpito le disordinate ed invecchiate truppe, che tentano di intestarsi un generico centro da trent’anni, al cuore e questo cuore non è altro che la nostalgia: come li si può scoprire nostalgici? Per due indizi fondamentali: il primo sta nell’ incapacità di una revisione seria dei propri fallimenti e il secondo nella ripetizione stanca delle stesse formule. La nostalgia nella politica di una democrazia è positiva se rappresenta un movimento verso il futuro capace di attingere dal meglio della storia, dal pensiero, che però non può non essere autonomo, formato dall’elaborazione e dall’azione di grandi uomini e donne, su questo De Rita ha perfettamente ragione: insomma deve essere necessariamente impastata di quella fiducia ben descritta in un celebre discorso tenuto nel 1948 a Bruxelles da Alcide De Gasperi dal titolo “Le basi morali della democrazia” in cui individua, tra le altre, come virtù «una filosofia interiore che si alimenta non solo degli elementi razionali nell’interesse comune, ma anche e soprattutto degli elementi ideali che pervadono le tradizioni spirituali e sentimentali e la storia della nazione».

L’accusa di nostalgia

La semplice accusa di nostalgia a chi si pone il problema del recupero della piena dignità e agibilità politica nell’oggi di una storia ed un pensiero come quello popolare e democratico cristiano, che si collega innanzitutto alla sua radice rappresentata dall’ispirazione cristiana, che non può prescindere dall’organizzazione, nasconde una nostalgia negativa, quella dell’incapacità di fare i conti con gli errori e dei tatticismi sviluppati negli anni per la sopravvivenza personale che portano questi nostalgici ad una vera e propria coazione a ripetere: ecco, allora che si comprende, (non si condivide, naturalmente) l’affezione acritica per lo schema bipolare destra/sinistra in cui andare a servizio dell’una o dell’altra parte secondo sensibilità o calcolo, con andate e ritorni, giustificando la privatizzazione fino alla scomparsa dell’ispirazione tra posizioni cristianiste che potrebbero superare la dimensione sovranista per assumere quella più mite conservatrice, tutta, però da declinare o progressiste, l’idea di partiti, anche già sperimentati dalla vita effimera, trasformati in comitati elettorali onnicomprensivi col tentativo di nobilitarli con l’etichetta di “plurali”, la formula meramente geografica vuota, perché prescinde tatticamente dall’ispirazione, di un generico centro, di una politica così etichettata sic et simpliciter, senza centrismo che è popolarismo e viceversa (e quando si parla di popolarismo si fa riferimento alla migliore tradizione del cattolicesimo politico italiano), che rischia di essere intesa solo come quel moderatismo che non è la moderazione di don Luigi Sturzo, ricordando, con le parole di Martinazzoli, che «il primo sta all’altra come l’impotenza sta alla castità» e rimane distinto dal conservatorismo rispetto a cui andrebbe aggiunta l’ulteriore distinzione dal municipalismo sturziano: quest’ultima è una distinzione ben delineata tra le famiglie politiche europee che può segnare bene un riordino della politica italiana senza negare, guardando al sistema tedesco, il dinamismo delle alleanze, fondamentale per scongelare la nostra democrazia.

Lo sforzo dei cattolici

D’altronde Luigi Sturzo affermò, nel celebre discorso di Caltagirone del 1905, anticipatore del Partito Popolare Italiano, dal titolo “I problemi della vita nazionale dei cattolici italiani”, che rimane di una cristallina attualità peri nostri tempi: «Da soli, specificamente diversi dai liberali e dai socialisti, liberi nelle mosse, ora a destra e ora a manca, con un programma consono, iniziale, concreto e basato sopra elementi di vita democratica, così ci conviene entrare nella vita politica. Non la monarchia, non il conservatorismo, non il socialismo riformista ci potranno attirare nella loro orbita: noi saremo sempre, e necessariamente, democratici e cattolici. La necessità della democrazia del nostro programma? Oggi io non la saprei dimostrare, la sento come un istinto; è la vita del pensiero nostro. I conservatori sono dei fossili, per noi, siano pure dei cattolici: non possiamo assumerne alcuna responsabilità. Ci si dirà: ciò scinderà le forze cattoliche. Se è così, che avvenga. Non sarà certo un male quello che necessariamente deriva da ragioni logiche e storiche, e che risponde alla realtà del progresso umano. Due forze contrarie che si elidono arrestano il movimento e paralizzano la vita. Tutto lo sforzo enorme dei cattolici italiani è stato concentrato nell’affermazione di un principio sociale democratico, che comprende tutte le forze sociali della vita presente e le riprova al fuoco del cristianesimo per purificarle dalle scorie egoistiche, dalle infiltrazioni materialistiche, dal tufo socialista o liberalista. Nell’affermazione di un programma specifico sociale, il partito cattolico diviene partito vitale, assurge alla potenzialità di moderno combattente, che ha vie precise e finalità concrete. È logico adunque l’affermare che il neo-partito cattolico dovrà avere un contenuto necessariamente democratico-sociale, ispirato ai principi cristiani: fuori di questi termini, non avrà mai il diritto a una vita propria: esso diverrà una appendice del partito moderato. Se mi è lecito, compio questa analisi con un augurio: è quello che nessuno più della democrazia cristiana faccia una insegna di povere e minute iniziative, che nessuno più sfrutti questo nome in battaglie vuote di senso, che nessuno la presenti come una ragione antagonistica alle forme vuote della nostra organizzazione. Essa, la democrazia cristiana, è un ideale e un programma che va divenendo, anche senza il nome, evoluzione di idee, convinzione di coscienze, speranza di vita; essa non può essere una designazione concreta di forze cattoliche, ma una aspirazione collettiva, sia pure ancora vaga e indistinta…».

Eredi o custodi?

Certo l’auspicio di Mons. Galantino non può essere cancellato da questi nostalgici negativi, completamente immersi in schemi che l’attualità decreta falliti, né da operazioni politiciste di piccolo cabotaggio politico dei soliti, o da strade di altre famiglie politiche come quella potenzialmente conservatrice (tutta da vedere), perché interroga anche i Pastori che trovano il puzzo del gregge pure nella politica. Rimane così attuale, in cerca ancora di risposta, che nella società di oggi urge ormai, l’interrogativo posto dal Presidente della Cei, il Cardinal Gualtiero Bassetti nel maggio 2018 preceduto dalla constatazione dell’attualità di un pensiero e di una tradizione politica in vista del centenario della nascita del Partito Popolare Italiano: «Tra pochi mesi celebreremo il centenario dell’appello ai Liberi e Forti, lanciato da un gruppo di tenaci democratici, riuniti intorno a don Luigi Sturzo. Fu l’inizio di una storia, quella del cattolicesimo politico italiano, che ha segnato la nostra democrazia e che ci ha dato una galleria di esempi alti di dedizione, di umiltà, di intelligenza».

Riconosciuto ciò però «la storia della Chiesa italiana, è stata una storia importante anche per la particolare sensibilità per l’aspetto politico dell’evangelizzazione: nessuna conferenza episcopale come la nostra possiede un tesoro così ricco di documenti e di testimonianze. Dobbiamo esserne fieri, ma soprattutto è venuto il momento di interrogarci se siamo davvero eredi di quella nobile tradizione o se ci limitiamo soltanto a custodirla, come talvolta si rischia che avvenga perfino per il Vangelo».

Tra eredi dinamici che guardano alla comune Casa Europa e meri custodi di maniera si gioca una parte rilevante del rinnovamento per il futuro della nostra politica.

Segreteria nazionale
Popolari/Italia Popolare

Foto Ansa

Tags: Alcide De GaspericonservatorismoLuigi Sturzo
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