Andrea Caprotti, 15 anni, studente del Liceo classico don Gnocchi di Carate Brianza, ispirato dai “Te Deum” di Tempi, ne ha composto uno tutto suo. Lo pubblichiamo di seguito.
Te Deum te laudamus,
per l’anno passato
che tanto, peggio di così
non sarebbe potuto andare
(sperem), perché anche lui
ha portato cose, volti e azioni
che sarebbe un vero peccato
dimenticare.
Per le cose stupide
(potevano forse mancare?)
che rendono uomini i grandi
e grandi gli uomini
nei loro limiti, che rendono
quasi trampolini verso il cielo.
Per P. e la sua innocente ingenuità,
con cui dimentica il silenzioso
e pompa l’interrogazione agghiacciata
con A. e i suoi;
o che, per carnalità adoscelenziale,
tapezza l’armadio (di classe)
con signorine di facili costumi,
o che mostra al P.
parti sempre all’oscuro
perché dimentica i pantaloni.
La lista continua, ma,
per non infierire,
si passa ad altri di simil indole:
come M., il buon terone,
che si riesce a far sgamare
mentre bariamo spudoratamente
da gente ancor più stupida;
D. che disegna sul banco
un dugongo insieme al figlio
di Guglielmo Tell;
C. che prova che anche
certi professori di storia
non meglio specificati
hanno avuto i capelli;
quel compagno delle elementari
(che sinceramente non ricordo
così bene come dovrei)
che mi fa venire la passione di
elefanti gonfiabili rosa alti almeno 5 metri,
che da allora chiedo per Natale;
chi si dimentica il suo stesso
compleanno e ogni volta
che glielo si chiede gentilmente
ti manda a quel paese e cambia
sempre la data;
B. che mi fa andare male
in latino (io sicuramente
non c’entro niente con quel voto);
P. che sostiene irremissibilmente
che un certo soldato americano
non meglio specificato,
parte di una speciale squadriglia,
pompato di steroidi e armato
con un pezzo di latta circolare
(nessuno in particolare)
sia meglio addirittura
di un paladino della giustizia
addottato dalle tenebre.
Per tutta quella gente che
pare porti sciagura e disgrazie
(come B., per esempio)
ma che in realtà portano soltanto
un minuscolo barlume di allegria
nella monotona monotonia della vita.
Per gli amici che credevo (o speravo)
di aver rimosso dal ricordo,
che saltano fuori, in generale,
nei momenti peggiori in assoluto,
per ricordarmi dei bei vecchi tempi
e che, per fortuna o disgrazia,
ritengono ancora un sonoro “bastardo”
segno di affetto e non un insulto.
Per quegli amici che si offendono
a un bel “bastardo”, perché
conoscono in vero il significato,
e per quegli amici che invece
si offendono a un bel “bastardo”
perché ritengono che non li consideri
abbastanza come veri amici.
Per gli amici che consideravo futili,
che ti colopiscono alle spalle
con citazioni di santi o estremisti
per ricordare che ero in fondo,
quando Dio diede i cervelli.
Per quegli amici che allontanano
la nuda e cruda verità
con sciocchezze e cose futili,
e per quegli amici che la verità
me la gettano addosso in tutta
la sua crudezza.
Per quegli amici che ti fanno
appassionare alla musica,
a tal punto che devo provare anch’io,
con armonica e chitarra,
che frusta le dita piuttosto
che farsi suonare da me,
e quel gracchio in fondo alla gola
che chiamo voce, che spesso va via,
allietando così gli animi
di chi mi sta vicino.
Per l’autoironia, che purtroppo
non se ne va e rimane fedele.
Per la musica che mi accompagna,
durante le giornate e le notti,
diventando quasi colonna sonora
dell’ordinarietà quotidiana;
per i Queen, i Beatles e i Guns,
e quel gruppo di maniaci australici
di origini scozzesi, dalle Higlands;
per i Deep, i Pink e gli Zeppelin,
e anche per i Dropkick, a cui tutti
(sebbene neghino spudoratamente)
riservano un posticino nel cuore;
e può forse mancare il Bernasconi?
Quel poeta che canta in lagheè,
per ricordarci della vita e
delle sue storie con la lingua
dura e cruda della nostra terra,
piccolo gioiello nell’iniquità globale.
Per la Brianza, incastonata tra
la “civiltà” e le montagne,
giganti di roccia che vegliano dall’alto.
Per Muggiò, figlia della terra
e del comunismo, a un passo da
quel dei Milanesi e sotto l’ombra
(quando questa è molto lunga)
del Resegone, per idiotismo lombardo.
Per il cielo brianzolo,
il più bello di tutto il mondo,
che rispecchia l’uomo sotto di lui
ma che si mostra lontano,
immutabile ed eterno; come forse
faceva anche quel Bambino.
Per il cielo, che si riempie
di luci, di suonie di colori
di albe e di Tchaikovsky,
di tramonti e di foglie secche
e di canzoni strozzate in gola
e di viali alberati.
Per gli alberi dei viali alberati,
soprattutto quelli brianzoli,
che si impigliano nel cielo
più bello di tutto il mondo,
e sono i migliori compagni di viaggio
che si possa sperare di trovare:
silenziosi, disposti ad ascoltare
e, solo se necessario, anche di
commentare con fruscii dei rami.
Per il buon vecchio Niccolò,
soprannominato dall’ignoranza liceale
il “Macchia”, cinico al punto giusto
per far apprezzare l’epica, la storia,
la carta da parati e, perfino,
teroni, Gabri Ponte e politica.
Per Gilbert, che con i suoi squilibrati
riesce a farmi apprezzare
gli squilibrati, le tende a pallini
e la crostata alla frutta.
E fa desiderare il giro del mondo
a chi ne ha girato mezzo.
Per chi ha girato il mondo,
che arriva a farmi amare
ancora di più la cara, vecchia
e insopportabile Brianza.
Per Leopardi, che insegna,
guarda, scopre e desidera
insieme a me e a chi altro ascolta.
Per la noia di Leopardi,
il più nobile dei sentimenti,
che indica la mancanza di qualcosa,
e ne esprime il desiderio.
Per la tristezza di Cas e Gramsci,
che si improvvisano Leopardi
per spiegarci di cosa abbiamo bisogno
e dando un nome alla nostra situazione.
Per chi è capace di ascoltare,
che continua a leggere nonostante
l’ora tarda della sera,
per i tramonti che riesco vedere,
per le montagne che non ho
mai smesso di amare,
per l’amore di una donna che
non sono mai riuscito a guardare,
per il canto gracile che riempie
la gola e il cielo notturno,
per il canto possente che riempie
le volte delle cattedrali,
per chi non si è mai arreso,
per chi invece, arrendendosi,
non ha smesso di sperare,
per il silenzio, la più
grande poesia dell’uomo
per il mare d’Irlanda
per le stelle
per il Milan, che ritorni a vincere
per il silenzio
per la polenta e per i pizzoccheri
per Gallo.
E per la leggiadra farfalla posata sul fiore tenue.