Pedagogia “democratica”, una catastrofe. La scuola berlingueriana è fuori dal mondo

È inutile prendersela con lo scientismo quando si tratta di eugenetica e non capire che la distruzione della scuola deriva dalla stessa sfera concettuale: è l’idea per cui le sorti della persona appartengono a una élite di specialisti, nella fattispecie i pedagogisti “democratici” e i docimologici, o “scienziati” della valutazione. Come la nuova eugenetica vuol manipolare la persona come se fosse una macchina, così gli pseudoscienziati dell’educazione avanzano la pretesa che i processi educativi e la valutazione possano essere trattati in modo oggettivo con gli stessi metodi delle scienze fisico-matematiche. Ma l’idea che i comportamenti soggettivi siano misurabili e trattabili come un campo magnetico è, oltre che ridicola e ignorante, destinata a un fallimento certo. Ed è proprio a questo fallimento che questa corporazione di irresponsabili ha trascinato la scuola, non solo in Italia. Tempi ha meritoriamente dedicato un servizio al matematico francese Laurent Lafforgue che combatte le «politiche ispirate da un’ideologia che non attribuisce valore al sapere», bensì «a teorie pedagogiche deliranti», alla «teoria dell’allievo “al centro del sistema” e che deve “costruire lui stesso i suoi saperi”». Non a caso dilaga la parola “laboratorio”. Laboratorio è cosa che ha senso soltanto per la fisica, la chimica e la biologia, mentre il termine “laboratorio didattico” è una pomposa insulsaggine. Ma il termine dilaga perché, in queste visioni, tutta la scuola è un terreno di sperimentazione della pseudoscienza della pedagogia e della valutazione “oggettiva”. Sia detto di passaggio: avete mai visto nulla di meno oggettivo, e anzi espressione di soggettività ignorante, delle attuali schede di valutazione, sostitutive delle vecchie pagelle? Dove al posto di “matematica” se ne danno definizioni che meriterebbero una disonorevole bocciatura?
Trasformando la scuola in laboratorio, il pedagogismo democratico l’ha separata dal mondo reale, in quanto sfera rarefatta dei suoi esperimenti e non luogo in cui ci si introduce alla vita sociale e alle sue regole; come se non fosse un’autentica follia che il luogo dove i nostri figli trascorrono la maggior parte del loro tempo sia altra cosa dalla vita reale. Nella scuola non si insegnano più le regole di civiltà, i comportamenti rispettosi, il valore dello studio e dell’applicazione, del merito, della competizione e della selezione. E allora niente premi ai migliori, né sanzioni ai nullafacenti o teppisti, né bocciature né punizioni. L’aspetto tragicomico è che poi i valori della competizione e del merito vengono esaltati come decisivi per il futuro della società. Ma chi sia cresciuto nel Paese dei Balocchi del pedagogismo democratico – dove fioriscono spinelli e telefonini, si smutandano i professori e si bastonano a sangue i crocefissi – come potrà entrare nel mondo reale, se non come uno spostato sociale? Del resto, l’ignoranza delle regole e l’incapacità di applicarsi allo studio che dilaga tra i giovani che entrano nelle università è un indice della catastrofe.
Il professor Luigi Berlinguer è persona tenace nel difendere le sue imprese, ma l’ostinazione non è una qualità. Il tono caparbio e aggressivo con cui egli continua a rivendicare la giustezza delle sue “politiche” è soltanto la rappresentazione della condizione in cui si trova la corporazione che egli ha portato al vertice dell’istruzione (e che colà è stata lasciata dal centrodestra) e di cui è il lord protettore. È una condizione bene descritta da Laurent Lafforgue: «Tutte queste persone hanno oggi uno scopo soltanto: scaricare le loro responsabilità e quindi mascherare con tutti i mezzi la realtà del disastro».

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