Peana per il contropiede, roba buona come la scodella di tagliatelle
Articolo tratto dal numero di febbraio 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.
Non sono un vecchio nostalgico. Nel passato c’erano aspetti migliori e pure peggiori, rispetto al presente. Ogni epoca ha i suoi up e i suoi down (vi autorizzo a sputare sulla rubrica).
Il calcio italiano era solo catenaccio e contropiede, poi è arrivato Arrigo Sacchi. Il calcio, anche quello nostrano, è in continua evoluzione. Adesso quando si avvia l’azione, al portiere è vietato sparacchiare la palla avanti, salvo non si sia in svantaggio e a fine partita. Deve passare, affinché l’azione parta dal basso.
C’è una ragione tattica in questo, ma non ho spazio per spiegarla. Quello che non mi spiego, però, è perché, nelle situazioni pericolose non la si scaraventi in tribuna, a scanso di equivoci. Insomma si può andare avanti, ma senza essere integralisti e conservando le buone cose di una volta.
La tradizione ha un senso, non tutto quello che si faceva trent’anni fa è da buttare. Il contropiede, per dire. Avete visto Antonio Conte diventare una iena perché gli avevano fatto notare che l’Inter è brava a segnare di rimessa. Apriti cielo, uno scandalo.
Al giorno d’oggi, il contropiede sta al pallone come le tagliatelle al ragù stanno alla cucina. Come uno diventa allenatore o cuoco di grido, abolisce l’uno e le altre. Quasi se ne vergogna. Mi sembra una follia. Non fateli sempre, ma dovete saperli fare. Un buon contropiede e una scodella di tagliatelle rendono migliore l’esistenza.
Foto Ansa
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