Paul Bhatti: «Mi hanno minacciato di morte ma non scappo dal Pakistan»
tratto da Acs Italia – «Non sono affatto fuggito. Amo il mio paese e sarò in Pakistan per il terzo anniversario della morte di mio fratello». Così Paul Bhatti, in una conversazione avuta questa mattina con Aiuto alla Chiesa che Soffre-Italia, smentisce le voci che lo vorrebbero in Italia a causa di minacce ricevute di recente.
Il consigliere speciale del primo ministro pachistano per le minoranze religiose, e presidente dell’Alleanza pan-pachistana delle minoranze (Apma), è nel nostro paese per alcuni impegni concordati in precedenza e farà ritorno in Pakistan la settimana prossima. Eppure da sabato scorso alcune testate pachistane sostengono che si sia rifugiato in Italia per il timore di possibili attentati. «È vero che ho ricevuto delle minacce – spiega ad ACS – ma non è affatto una novità. Le intimidazioni non m’impediranno di continuare il mio lavoro».
Da quando ha deciso di proseguire l’opera di suo fratello Shahbaz, ministro per le minoranze assassinato il 2 marzo 2011, Paul Bhatti s’è visto recapitare più di un “avvertimento”, ma mai ha pensato di abbandonare i cristiani pachistani. «Scappare ora vorrebbe dire porre fine alla missione di Shahbaz: una causa alla quale ha dedicato tutta la sua vita e per la quale è stato ucciso. Inoltre significherebbe lasciare il mio paese, che io amo profondamente». In seguito al «martirio» di suo fratello, Paul ha deciso di lasciare l’Italia, dove viveva da diversi anni, per raccogliere l’eredità del ministro per le minoranze.
Paul Bhatti non teme per la sua vita, quanto piuttosto per quella dei suoi familiari. Le minacce erano rivolte anche alla sua famiglia. Dopo l’assassinio di Shahbaz, una delle sorelle e la madre Marta sono state costrette a rifugiarsi in Canada, dove da tempo si era già trasferito il fratello Peter. Ma un altro dei fratelli, Sikandar vive ancora nel loro villaggio natale, Khushpur, nel distretto di Faisalabad. A preoccupare Bhatti sono inoltre le intimidazioni ricevute da alcuni testimoni oculari dell’omicidio di Shahbaz e del legale che rappresenta la sua famiglia, costituitasi parte civile. «Mi sono rivolto al governo del Pakistan affinché protegga i testimoni ed il nostro avvocato – racconta ad ACS – Le autorità mi hanno garantito che forniranno loro adeguata protezione, affinché nulla possa compromettere il processo per l’assassinio di mio fratello».
Tra qualche giorno Paul tornerà in Pakistan dove parteciperà a diverse iniziative in ricordo di Shahbaz Bhatti, organizzate nel terzo anniversario della sua morte, e dove continuerà la propria opera in difesa delle minoranze religiose. Un impegno che lo scorso anno ha portato alla liberazione di Rimsha Masih, la quattordicenne affetta da ritardo mentale accusata di blasfemia. Paul ha attribuito la vittoria all’inestimabile lavoro di suo fratello. «Io porto avanti la sua missione, che lui ha creato e fatto crescere. E se raggiungiamo dei risultati il successo è soltanto suo».
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