Pasqua a Gerusalemme. «Alithòs anésti», davvero è risorto

Di Giancarlo Giojelli
19 Aprile 2025
In un momento difficile per la Terra Santa, il patriarca greco Teofilo III e quello dei latini Pizzaballa tornano a dire una parola di «speranza fondata su fatti»
Il rito del Sacro fuoco nel Santo sepolcro, Gerusalemme (Foto Ansa)
Il rito del Sacro fuoco nel Santo Sepolcro, Gerusalemme (Foto Ansa)

Un altro anno senza pellegrini per le vie di Gerusalemme, negozi chiusi, pochissimi gli stranieri arrivati per celebrare la Pasqua, pochi i cristiani che son riusciti ad arrivare dai Territori palestinesi. I valichi di accesso controllati dall’esercito israeliano sono aperti ad orari intermittenti, che spesso non vengono comunicati. Lunghe file per entrare dalla Cisgiordania, lunghe file per uscire, e spesso i check point vengono chiusi. La tensione si respira ovunque.

È questa la Pasqua della Città Santa. Una Pasqua che quest’anno racchiude tante “Pasque”. Nonostante la disperazione e la guerra risuona l’annuncio di speranza in una rinascita, di una speranza basata non sull’ottimismo (di ragioni umane per essere ottimisti ce ne sono davvero poche in questo momento, e sembrano sempre più scarse) ma fondata su un evento, la Resurrezione che non è, dice il Custode di Terra Santa, Francesco Patton, la «rianimazione quasi magica di un cadavere». È un fatto che coinvolge ogni uomo, ogni persona. In qualunque situazione si trovi.

Il rito del Sacro fuoco nel Santo sepolcro, Gerusalemme (Foto Ansa)
Il rito del Sacro fuoco nel Santo Sepolcro, Gerusalemme (Foto Ansa)

Il rito del Sacro fuoco

Pensiamo queste cose mentre percorriamo le vie della città e, di colpo, incontriamo una croce portata da cristiani che ripercorrono la via Dolorosa, la salita di Gesù al Calvario, la morte sulla Croce davanti a sua Madre, la manifestazione del Risorto nella Gloria.

Quest’anno le Pasque di cattolici e ortodossi, che seguono diversi calendari da oltre mille anni, simbolicamente cadono nello stesso giorno. Calendario giuliano e gregoriano coincido nel giorno della Resurrezione, nell’anno giubilare, nell’Anno Santo in cui papa Francesco ha invitato tutti ad essere “pellegrini di speranza”, nel 1700° anniversario del Concilio di Nicea in cui i cristiani di Oriente e Occidente proclamarono la divinità di Cristo.

I riti si incrociano, e sembrano ancora una volta ricordare che la vocazione all’unità affidata da Cristo, e tante volte disattesa dai cristiani, è destinata al compimento. Gli ortodossi celebrano il Sabato Santo uno dei riti più misteriosi e spettacolari della cristianità: il rito del Sacro fuoco. Il patriarca greco di Gerusalemme, Teofilo III, entra nell’edicola del Sepolcro, la basilica è gremita di folla nonostante le restrizioni imposte dalle autorità israeliane, ne esce poco dopo con una fiaccola che accende migliaia di altre fiaccole che verranno portate, come ogni anno, in tutte le terre dell’Oriente ortodosso.

Video di Giancarlo Giojelli per Tempi

La tomba è vuota

Un fuoco che accenderà altri fuochi, lo stesso fuoco che non sarà fermato nemmeno dalla guerra, e risplenderà nelle cattedrali di Kiev e di Mosca, il fuoco dello Spirito, ben più tenace del fuoco delle bombe umane: risplende dai primi secoli, il rito ha radici antichissime.

Si dice che sia un angelo ad accendere la fiaccola del Patriarca. Quello che accade nell’edicola, dove il Patriarca entra da solo, nessuno lo può vedere. Teofilo dice solo: «È un fuoco sacro perché si accende sul luogo della Anastasi, della Resurrezione, sulla tomba dove un drappo reca le parole greche «Alithòs anésti», veramente, è risorto.

L’annuncio pasquale, visto dalla cima della cupola che sovrasta la basilica lo spettacolo è impressionante: il fuoco si diffonde in tre minuti. Tempi, come vedete dal video pubblicato in questa pagina, ha avuto la possibilità di filmare la cerimonia e di proporla, ognuno può vedere cosa accade in quei momenti da un punto di vista privilegiato.

La tomba, ricorda padre Patton, è vuota. Non si celebra una morte: trionfa la vita. E la parola speranza si fonda su quel fatto, non su altro.

Il patriarca dei latini Pierbattista Pizzaballa nel Santo Sepolcro di Gerusalemme, 17 aprile 2025 (Foto Ansa)
Il patriarca dei latini Pierbattista Pizzaballa nel Santo Sepolcro di Gerusalemme, 17 aprile 2025 (Foto Ansa)

Dio si è fatto uomo

Il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino, ricorda che la celebrazione della Pasqua non è un diritto, ma un dovere. Per tutto il mondo. L’orrore presente di Gaza, i massacri del 7 ottobre del 2023, l’incubo degli ostaggi, la morte di decine di migliaia di persone nella Striscia non sono l’ultima parola, anche se davvero sembrano esserlo, e senza altre parole che indichino una via di uscita.

Ma anche tra gli ebrei si celebra la Pasqua, Pesach, la liberazione dalla schiavitù d’Egitto, il passaggio alla Terra Promessa, ed anche Pesach quest’ anno cade negli stessi giorni della Pasqua cristiana. È il ricordo di un passaggio dalla schiavitù alla libertà, figura di quel definitivo passaggio che verrà compiuto da quel Dio che si era manifestato ad Abramo e si è fatto uomo.

È il passaggio dell’Angelo che punì i figli degli egiziani e «passò oltre» le case degli ebrei che avevano segnato le porte con il sangue e dell’agnello, figura del Figlio di Dio. I simboli si sovrappongono e moltiplicano e tutti rimandano a fatti che stanno nella memoria, i riti fanno memoria. Ridanno le ragioni della Speranza «fondata su fatti, non speculazioni filosofiche o umane ma sulla rivelazione di Dio» ci dice Teofilo III.

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Più potente della morte

Il Patriarca latino Pizzaballa ricorda il valore di questa memoria in questo particolare momento, dilatando le sguardo a tutto e a tutti, ovunque. Da Gerusalemme si vede il mondo intero.

«Stiamo vivendo un momento molto difficile – dice Pizzaballa -, non solo qui in Terra Santa, ma credo anche in molte parti del mondo. Sembra quindi difficile parlare di vita e di speranza, che è il messaggio pasquale, il messaggio del Signore risorto, la nostra speranza è il Signore risorto. E la risurrezione di Gesù è il segno dell’amore potente di Dio. Amore di Dio che si è manifestato nella nostra vita come umanità, che è piena di peccato, piena di odio, piena di tenebre, e nonostante tutto, per il suo amore, è riuscito a trasformare tutto in luce, gioia, relazione e desiderio di vita. Ed è questo che voglio ricordare a me stesso e a tutti noi, che apparteniamo a questo Dio, che Gesù Cristo ci ha presentato con la sua vita. L’amore di Dio è stato più potente della morte, noi apparteniamo a questo Gesù. Apparteniamo a questo amore. Quindi, questo amore dovrebbe anche vincere tutte le nostre paure. Tutto l’odio e la frustrazione che a volte abbiamo nel cuore. E questo è ciò che vedo in molte persone, molti individui, molte comunità, in tutta la nostra diocesi. Da tutte le parti della nostra diocesi, comprese quelle di Gaza, che hanno tutti i diritti di essere arrabbiati e pieni di odio. Non è così. Dobbiamo celebrare perché dobbiamo annunciare con la nostra vita, con i nostri gesti, che apparteniamo all’amore potente di Dio in Gesù».

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Non abbiate paura

Nel suo messaggio alla diocesi il Patriarca ha una parola forte di incoraggiamento e di augurio: «Dico a tutti coloro che vogliono ascoltarci che, nonostante tutto, vogliamo continuare a testimoniare con la nostra vita, con quello che facciamo, con quello che siamo, quanto sia bello vivere con il Signore risorto, con Gesù, qui in Terra Santa. Quindi, buona Pasqua a tutti voi. Non abbiate paura. L’amore di Dio è più potente di qualsiasi segno di oscurità e di morte».

La Pasqua a Gerusalemme si celebra così, nella contraddizione segnata dalla paura, dalla guerra in mezzo alla quale si ripete l’annuncio. Alithòs anésti, davvero è risorto.

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