Si può mettere qualunque cosa nel contenitore, dice Durkheim. Che però deve riconoscere suo malgrado un fastidioso “rumore di fondo”, un “minimo di resistenza”, che è “dato”
Se oggi usiamo il termine educazione, lo facciamo quasi esclusivamente quando viene a mancare la “buona” educazione, l’ultima responsabilità addebitata alle famiglie (che però sono in via di estinzione). Educare implica un processo un po’ antipatico ai nostri giorni perché presuppone (e-duco) che ci sia qualcosa da “tirare fuori”, non da “mettere dentro”: e siccome sulla prima cosa abbiamo le idee molto confuse mentre sulla seconda abbiamo interessi ormai consolidati, preferiamo oggi parlare di istruzione, formazione, socializzazione (termini molto più adatti a descrivere chi butta oggetti dentro contenitori).
Richard Rorty, filosofo americano, definiva questo processo in termini molto chiari e radicali: «Non vi è niente nel profondo di noi se non ciò che noi stessi vi abbiamo messo; nessun criterio che non sia stato creato da noi nel corso di una pratica, nessun canone di razionalità che non si richiami a un tale criterio, che non sia l’...