
Panama nel caos, sarà il prossimo paese a svoltare verso la sinistra radicale?

A Panama, sede del Canale che gestisce centinaia di miliardi di dollari di scambi commerciali l’anno, nelle ultime settimane si è verificata un’esplosione di malcontento sociale. Tutto è iniziato il 6 luglio scorso, quando gli insegnanti hanno iniziato a protestare nella città di Santiago de Veraguas, circa 60mila abitanti a 250 km dalla capitale. Da lì le manifestazioni si sono rapidamente estese in tutto il paese, coinvolgendo anche il grande sindacato dei lavoratori edili, il Suntracs, oltre a numerosi gruppi di indigeni.
Il 17 luglio scorso il governo pensava di aver raggiunto un accordo, abbassando il prezzo della benzina da 6 a a 3,25 dollari al gallone, poco meno di 4 litri. Un errore di calcolo visto che anche nelle due settimane successive Panama si è trasformato in un inferno, con pneumatici dati alle fiamme e spazzatura che bloccavano le strade, gli insegnanti che continuavano a essere pagati ma senza andare a scuola, i camionisti che non potevano distribuire il cibo, i contadini che vedevano i loro raccolti marcire e i bancomat senza banconote.
La mediazione della Chiesa a Panama
Messo spalle al muro, il presidente Laurentino Cortizo Cohen, un ex allevatore del Partito Rivoluzionario Democratico, di centrosinistra, ha chiesto aiuto all’arcidiocesi di Panama per mediare il conflitto e, finalmente, da lunedì primo agosto le scuole sono state riaperte, un primo segnale che la mediazione della Chiesa cattolica sta dando i suoi primi frutti.
In tutto sono otto le richieste di Alianza Pueblo Unidos por la Vida (di cui fa parte il Suntracs), Alianza Nacional del Pueblo Organizado (Anadepo) e degli indigeni della Ngäbe-Buglé Comarca, i tre grandi blocchi che hanno paralizzato per quasi un mese Panama. La prima richiesta è la riduzione dei prezzi dei prodotti alimentari di base come il pane, il latte e la farina, la seconda è la gratuità dei medicinali passati dalla mutua locale. Inoltre, i manifestanti vogliono che la riduzione del 50 per cento dei prezzi dei carburanti sia mantenuta e che nessuna privatizzazione sarà mai fatta. Chiedono anche che il 6 per cento del Pil venga investito nell’istruzione e che il prezzo dell’energia elettrica sia abbattuto. Infine pretendono che la riforma delle pensioni introduca il sussidio di disoccupazione e che si inizi una vera lotta contro la corruzione in un paese che è storicamente un paradiso fiscale.
Una rivolta esplosa non solo per motivi economici
A detta del Wall Street Journal non si tratta però di una rivolta esplosa solo per motivi economici. I dirigenti del sindacato dei lavoratori edili sono infatti militanti di estrema sinistra, come dimostra un video su YouTube in cui inneggiano al dittatore venezuelano Nicolás Maduro e, in questo momento, hanno molto seguito perché sfruttano la perdita di fiducia della popolazione nelle istituzioni democratiche di Panama. Secondo i dati di Latinobarómetro, infatti, l’84,2 per cento della popolazione ha sfiducia nel Parlamento, il 77,2 nel governo, il 75,9 nella magistratura e addirittura l’87,5 per cento nei partiti politici. Non bastasse, due ex presidenti sono sotto processo per lo scandalo Odebrecht e, lo scorso settembre, l’Unione Europea ha inserito Panama nella lista nera dei Paesi che “non collaborano in materia fiscale”.
La popolazione, insomma, protesta perché è disgustata da un sistema in cui i potenti si ritagliano privilegi per sé, ma si rifiutano di cercare soluzioni reali ai problemi della gente, a cominciare dalla deregolamentazione del mercato del lavoro e dall’importazione di farmaci generici.
Un film già visto in Venezuela, Perù, Cile e Colombia
Un film già visto prima in Venezuela e, più di recente, in Perù, in Cile e in Colombia. Ora il governo sta tentando di attenuare il malcontento con il controllo dei prezzi, un sistema storicamente destinato al fallimento, e i sussidi ma, senza le riforme strutturali volte a ripristinare un po’ di credibilità, «la democrazia di Panama è in pericolo e, mentre Caracas ospita giochi di guerra russi, uno degli ultimi alleati latinoamericani degli Stati Uniti è nel caos», ammonisce il Wall Street Journal.
Di certo, le settimane di proteste hanno causato penuria di cibo, carburante, forniture e servizi medici e agricoli. I blocchi nella nazione che gestisce l’unico canale interoceanico nelle Americhe non hanno risparmiato l’autostrada panamericana e suoi effetti hanno raggiunto anche il Darién, una provincia al confine con la Colombia trasformatosi in uno dei corridori migratori più pericolosi negli ultimi due anni. Nel mentre, la difficile mediazione della Chiesa continua e l’Arcivescovo metropolita di Panama, Monsignor José Domingo Ulloa, dopo aver incontrato il presidente Cortizo, ha assicurato che questa settimana inizierà una seconda fase del “tavolo del dialogo”, dove nessuno sarà escluso. Per incredibile che possa apparire, infatti, sinora nei colloqui non erano stati coinvolti né gli imprenditori né alcun settore produttivo, compreso quello agroalimentare, centrale se davvero si vuole combattere fame e povertà.
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