Dottor House e painkiller. Boom di morti in Usa per abuso di antidolorifici e oppiacei

Di Benedetta Frigerio
05 Luglio 2013
Le chiamano "Painkiller", servono a eliminare il più lieve malessere, producono dipendenza e poi arrivano ad uccidere 18 donne al giorno

Una volta a uccidere c’era l’eroina, la cocaina, l’Lsd, ora invece per morire basta un mix di medicinali prescritti normalmente dai medici. A elaborare i dati allarmanti di un nuovo fenomeno sono i “Centres for disease controll and prevention” (Cdc), gli organismi di controllo della sanità pubblica degli Stati Uniti.

IL DOTTOR HOUSE. I numeri, pubblicati a inizio mese, dicono che a uccidere sempre più persone, in maggioranza donne fra i 45 e i 64 anni di età, sono i cosiddetti “Painkiller” (Killer del dolore), gli antidolorifici e gli oppiacei, a volte assunti contemporaneamente, a partire dai 25 anni di età.
Alcune delle pillole menzionate dal rapporto sono fra le più classiche, come la Tachipirina, l’Aulin e il Brufen, altri sono oppiacei. Fra questi ultimi c’è il Vicodin, l’antidolorifico usato normalmente dal protagonista della serie “Dottor House” per alleviare un persistente dolore alla gamba e da quella della serie “Nurse Jackie” per sopportare lo stress da lavoro. C’è poi l’Ossicodone, utilizzato specificamente per i pazienti oncologici, ma che diversi anni fa ha cominciato ad essere regolarmente prescritto a chiunque soffrisse di dolori cronici. Gli altri oppiacei, che in America si vendono normalmente, sono l’Opana e l’Ossimorfone.
I Cdc hanno così denunciato il “boom” di prescrizioni degli ultimi dieci anni: «Sono pericolosi e dovrebbero essere somministrati solo in situazioni di grave dolore, come quello causato dal cancro».

LA PUBBLICITA’. Fra le cause del fenomeno, oltre alla prescrizione massicci, ci sarebbero anche la pubblicità e le campagne di marketing delle case farmaceutiche. Fa poi pensare il fatto che le persone più colpite siano donne bianche e single, spesso sole con figli. E che ad abusare dei farmaci siano più le donne degli uomini: fra il 1999 e il 2010 i decessi per overdose (inclusi i suicidi) sono aumentati di 3,5 volte nella popolazione maschile e di ben 5 volte in quella femminile. Le morti certe (molte sono probabili, con certificati di decesso incompleti) sono 23 mila nel 2010 (15.300 femminili).
I numeri impressionano ancor più se si calcolano i decessi nel lungo e breve periodo: sono 48 mila le donne uccise dalle “painkiller” in 10 anni, con una media di morti femminili giornaliere che si aggira intorno alle 18. Ma a rimetterci non sono solo le donne. Si legge ancora nel rapporto: «L’abuso di prescrizioni di “painkiller” da parte delle donne incinta mette a rischio il bambino. I casi di Sindrome da Astinenza Neonatale – un gruppo di malattie che colpiscono i neonati di madri che usano i “painkiller” e le droghe – è cresciuto di almeno il 300 per cento in America tra il 2000 e il 2009».

IL MITO DELL’EFFICIENZA. La prescrizione massiccia, unita alla pubblicità e al mito efficientista, indurrebbe quindi le donne a pensare che al primo malessere si debba ricorrere ai farmaci, ma c’è di più. Il rapporto spiega che all’abuso di medicinali non corrisponde un aumento delle condizioni di dolore. Si riscontra dunque anche un’incapacità maggiore di sopportare la pena e il tentativo di cancellarla immediatamente, agendo sulle conseguenze e non sulle cause del malessere.
A crescere è anche la sofferenza psicologica, dovuta a stili di vita stressanti, causati principalmente dalla solitudine e dalla fragilità dei legami. Ad ammetterlo è lo stesso New York Times, paladino dell’indipendenza femminile, che lo scorso 2 luglio ha pubblicato un articolo sul caso: «L’incremento è fra le donne sole e con responsabilità, che non sono solo madri, ma anche, in molti casi, coloro che mantengono la famiglia». E se alcune donne intervistate dichiarano di aver abusato dei farmaci perché si sentivano «sopraffatte dalle responsabilità, desiderando di prendere le medicine per anestetizzarsi», altre hanno spiegato di «sentirsi più belle, forti, produttive». Come Crystal D. Steele, di 42 anni, un tempo dipendente dai farmaci, che spiega: «Mi sentivo una super mamma. Portavo un figlio a calcio, l’altro a baseball. Andavo al lavoro, pulivo la macchina, la casa. E non mi accorgevo nemmeno di avere un problema».

LA RADICE DEL PROBLEMA. L’abuso da farmaco è infatti la conseguenza di un problema più profondo: insieme alla scoperta e alla vendita massiccia degli antidolorifici e degli oppiacei, negli ultimi quaranta anni sono aumentate le persone che, avendo situazioni familiari difficili alle spalle, ne abusano. «Spesso provengono da famiglie che già facevano uso di droghe e di alcool», ha dichiarato al quotidiano newyorkese Stella Collins, terapista in un centro di aiuto sorto a Portsmouth, in Ohio, per cercare di curare questo tipo di dipendenze.
Ora tutti si stracciano le vesti, ma se nel 2001 gli Stati autorizzati a creare programmi di monitoraggio sulla prescrizione dei “painkiller” erano 16, nel 2011 erano già 49. Non solo, nel 2010 i Cds parlavano già di un raddoppio delle morti per abuso di analgesici per cui è necessaria la prescrizione medica nel decennio compreso tra il 1999 e il 2009, con un numero di morti passate da 20 a 37 mila.

@frigeriobenedet

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