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“Ordina un papà”. Che è come dire: scegli un uomo e fallo sparire

Il seme del “papà ideale” dei propri figli ora si sceglie via app. Ma così per lo psicanalista Risé «le persone che nasceranno, non nasceranno mai veramente»

Benedetta Frigerio
09/10/2016 - 3:00
Società
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Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Ora bastano un clic e 950 sterline per scegliere con facilità e velocità il papà ideale per il proprio bambino. Sì, perché il business della fecondazione artificiale ha pensato di migliorare il suo servizio clienti ideando una app per smartphone davvero all’avanguardia. Si chiama “Order a Daddy” (ordina un papà), ed è un sistema attraverso cui si possono inserire le caratteristiche fisiche, intellettive, professionali e persino spirituali dell’uomo che sarà, come si dice, “il papà ideale dei miei figli”. In pochi istanti l’applicazione mette insieme i requisiti, setaccia la banca dati e trova lo sperma del donatore che più si avvicina ai propri sogni, indicando alla cliente la clinica inglese in cui viene tenuto congelato. «È così, con un uomo che resta un sogno virtuale, che si impedisce definitivamente al bambino di nascere», spiega a Tempi lo psicanalista Claudio Risé.

Risé, cosa può spingere una donna a voler crescere un figlio da sola, senza un padre?
Questa donna rappresenta il modello di donna dell’Occidente moderno. È indicativo in questo senso quanto spiego nel mio ultimo libro Sazi da morire: ormai il 70-90 per cento delle persone muore (prima causa di decesso in Europa e America del Nord) di malattie “non trasmissibili” (Ncd) che si sviluppano all’interno della persona (per questo sono anche dette “non comunicabili”), come i tumori, le cardiopatie, il diabete. Non sono più dunque i batteri e i virus che si contraggono nei rapporti con gli altri esseri umani ad affliggere gli uomini del nostro tempo, ma i mali dovuti a una vita solitaria, sedentaria e consumista. È la prima volta che si verifica un fenomeno simile nella storia.

Cosa c’entrano le malattie con una app?
Questa applicazione non fa altro che riprodurre il modello antropologico individualista, che rifugge la relazione per chiudersi nel godimento consumista, dove non serve nemmeno più fare la fatica di andare a fare la spesa: si sceglie il prodotto online, lo si riceve a casa e lo si consuma chiusi fra le proprie mura. Ecco, questa nuova app per lo “sperma ideale” ricalca lo stesso modello in cui pretendiamo di vivere al di fuori di ogni relazione. Anche quella procreativa viene sottratta al rapporto grazie alla tecnologia.

Perché fuggiamo le relazioni?
Se il fine dell’esserci è il solo godimento personale, l’altro è un inciampo. Non a caso anche il bambino, “ordinato” online nello stesso modo in cui si ordina la spesa, è concepito esattamente come un prodotto da consumare. E così il figlio non riuscirà a nascere, cioè a svilupparsi come essere autonomo dalla madre. Come spiega san Giovanni Paolo II nei suoi meravigliosi discorsi sulla sessualità, il rapporto tra madre e figlio deve includere sempre un terzo necessario alla generazione: il bambino vive naturalmente e giustamente una relazione simbiotica con la madre, ma senza il padre rimane prigioniero di questa. Il padre “taglia”, fa emergere il figlio permettendo la sua nascita psicologica. Nella relazione con la madre vengono soddisfatti tutti i bisogni primari, lei lo alimenta, lei lo scalda, ma sebbene dopo la nascita il bambino viva una serie di esperienze per conto suo (ad esempio quella di respirare), senza la presenza del terzo sarà incapace di relazioni e di accoglienza. Questa app è solo l’ultimo tassello di un processo già in atto da tempo, da quando con il divorzio prima e l’aborto poi il padre è stato espulso dalla relazione.

Cosa aggiunge al processo questo ultimo tassello che rende il padre addirittura virtuale?
Gli aspetti fisici, corporei e materiali, sono molto importanti e qui sono eliminati. La persona del padre scompare dalla relazione fin dall’inizio. È come se non ci fosse mai stato. Questo nell’immaginario psicologico del bambino ha una grande incidenza, perché il padre non è presente nemmeno come un personaggio passeggero che, fosse anche per una sola notte, ha avuto un rapporto fisico (che include sempre anche lo spirito e l’anima) completo e intimo con sua madre. Un rapporto così profondo da averlo generato. Questa mancanza c’è già nella fecondazione artificiale, ma con questa app in più si rende il padre una realtà solo virtuale.

Jean-Paul Sartre, in Le parole, scrive: «Un buon padre non esiste, è la norma, non si accusino gli uomini bensì il legame di paternità che è marcio». C’è chi dice che è meglio non avere un padre, soprattutto se cattivo.
Si tratta di un errore grossolano. È gravissimo confondere un elemento sostanziale con uno etico. La paternità e la maternità sono elementi sostanziali, perciò necessari, da non confondere con gli elementi etici come la bontà o la cattiveria, altrimenti si costruiscono ragionamenti che partono da un errore all’origine. Il padre è fondamentale nella formazione dell’essere umano (infatti lo sperma resta necessario) e alla personalità del bambino, il quale anche durante la gravidanza sente la voce paterna e si abitua al suo timbro, come provato dagli studi dell’ultimo secolo. Il figlio ha sempre bisogno di questa relazione con l’alterità paterna, anche qualora fosse piena di difetti. È vero che il padre “buono” non esiste, non perché la paternità sia marcia, ma perché ognuno partecipa del bene e del male. Per questo quando il giovane ricco si rivolge a Gesù chiamandolo “Maestro buono”, Lui protesta e risponde che nessuno è buono se non Dio padre. In ogni caso, se si fa scienza, occorre uscire dalle categorie moraleggianti per non cadere in tranelli pericolosi.

Di fatto però molti padri si comportano verso i figli più come amici, non hanno autorità, e non contribuiscono come dovrebbero al distacco dalla simbiosi materna. Di qui le fragilità dei figli.
Anche solo la presenza fisica del padre è importante ed è deleterio se viene a mancare. Poi, certo, la figura paterna oggi è depotenziata al massimo. D’altronde cosa devono fare questi uomini a cui da cinquant’anni spieghiamo che non bisogna essere padri e che la paternità autorevole è un atto criminale? Va inoltre ricordato che in Occidente i padri di oggi subiscono il fatto di essere a loro volta figli di padri che negli anni Settanta, e da molto tempo prima ancora, pensavano alla presenza paterna come un fardello di cui liberarsi. La paternità si trasmette, e noi viviamo in un sistema culturale basato sulla criminalizzazione della paternità.

Esiste un rimedio all’incapacità di essere padri?
Il ruolo materno è decisivo nella valorizzazione di quello paterno. È la madre che deve presentare il padre al figlio, innanzitutto accogliendolo, come non avviene nel caso del “padre virtuale” scelto attraverso l’app. È fondamentale che la donna riconosca il contributo determinante del padre, che non si sostituisca a lui ma piuttosto lo sostenga, lavorando affinché possa essere ciò che è. La donna ha questo grande potere sull’uomo che può usare male, estromettendo il padre, oppure bene, valorizzando il suo spazio. La madre in quest’ottica non viene sminuita. Anzi è lei che, consapevole delle sue capacità uniche, le usa per permettere ai rapporti interpersonali di svilupparsi armoniosamente.

Foto Ansa

Tags: claudio risèfecondazioneGiovanni Paolo IIpadrepaternità
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