
Ora Prodi può dedicarsi al vero potere
La Finanziaria è alle spalle, con il suo drastico effetto di ridimensionamento di 30 punti della popolarità di Romano Prodi e del suo governo. Ma credere che i sondaggi avranno un effetto a breve è un errore. Il paragone è un po’ forte e me ne scuso, ma in qualche modo rende l’idea: come in una banda che ha compiuto un colpo in banca, malgrado sia nell’occhio della giustizia, subentra la certezza di farla franca spartendosi il bottino, un po’ allo stesso modo, svoltata la Finanziaria, per palazzo Chigi è tempo di passare all’incasso sul terreno delicatissimo dei poteri reali. Sinora il premier ha di fatto aggirato ogni volontà di Ds e Margherita, i principali partiti della sua coalizione. Così è stata gestita la partita di maggior rilievo, la nascita di quella San-Intesa guidata dall'”amico” Giovanni Bazoli, mentre a Torino il banchiere di riferimento dei Ds, Pietro Modiano, era erroneamente convinto di poter attendere settembre per un’eventuale aggregazione col Montepaschi. Nello stesso modo è stata gestita la partita Telecom (che però a Prodi è andata storta), partita in cui il governo ha tentato di mettere la rete fissa nelle mani delle banche amiche e della Cassa Depositi e Prestiti, col risultato che il pur molto ammaccato Marco Tronchetti Provera si è appeso a tutti i campanelli possibili per resistere a Prodi: da quelli “evidenti” usati per difendersi dalla Procura di Milano, come Guido Rossi, a quelli meno evidenti ma non meno potenti, come la Capitalia di Cesare Geronzi e la sensibilizzazione di Massimo D’Alema. Su Autostrade, Antonio Di Pietro è andato oltre il mandato originario di Prodi, facendo capire ai Benetton che sarebbe costato caro l’oltraggio di aver aggirato la nascita del governo anticipando in tutta fretta la fusione con Abertis. Ma in ogni caso è andata a segno la bordata dissuasoria rivolta a quell’ala del malmesso capitalismo italiano che ancora non ha capito quanto possa essere pesante la mano dell’ex presidente dell’Iri.
Ora Prodi ha tre frecce al suo arco. La prima. Il governo e i ministeri si sono assicurati con la Finanziaria una massa di risorse di spesa senza eguali negli ultimi decenni, la cui gestione sarà politicamente avveduta: come si è visto con l’Anas, Sviluppo Italia o le Fs, Ds e Margherita devono vegliare che Prodi non nomini solo i “suoi”. Ma l’impresa e la finanza italiana dovranno allinearsi, se vogliono partecipare al banchetto o comunque non esserne danneggiati. La seconda. Le importantissime scadenze che maturano nell’ex mondo delle partecipazioni statali: la gara per Alitalia, più finta che vera visto che tanto per cambiare Intesa incombe per convincere i riottosi capitalisti italiani; la revisione delle concessioni di tutti e 26 gli operatori autostradali e di quelli aeroportuali; la gestione Regione per Regione dei 50 miliardi da spendere in opere pubbliche; i rapporti con banche e imprese per rendere operanti i due Fondi varati da Pierluigi Bersani al ministero dello Sviluppo; il ridisegno e la rinomina della rete di Autorità che vegliano su settori rilevanti del mercato. Una vera pacchia statalista. La terza. Lo scontro che è in corso nel “potere tra i poteri” italiani, l’unico a contare davvero, quello bancario: Prodi sta dalla parte che appare e si crede più forte, quella di Bazoli. Vedremo su Generali, se davvero San-Intesa diventerà, moltiplicata per due se non per tre, quella che era la vecchia Mediobanca. Difficile, però, che di fronte a un’abbondanza che stuzzica tanti appetiti il variegato mondo che di fatto non lotta nella stessa trincea, dai Benetton a Tronchetti, da Geronzi a D’Alema, continui solo a registrare sconfitte senza mettere in conto reazioni.
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