
Notti senza luci
Era la notte di capodanno nell’ospedale di Evry, nell’hinterland di Parigi. A pochi chilometri i turisti brindavano sugli Champs Elisées. Dal carcere di Fleury-Merogis era appena arrivata nell’ospedale locale un’ambulanza d’urgenza. Reparto ostetricia: una detenuta stava per partorire. Le Monde del 12 febbraio non riferisce chi fosse, né cosa avesse fatto. Sicuramente qualcosa di grave, per essere accompagnata da una secondina anche in sala parto.
Ma la prigioniera rifiuta quella compagna. Non vuole un volto che avverte come ostile accanto, nel momento in cui sa che avrà da soffrire. I medici le danno ragione: è una paziente come le altre per loro, ha il diritto di scegliere. La secondina, un tipo zelante, se ne va, ma prima lega i polsi della partoriente al lettino. è il regolamento, sostiene: o la sorveglianza a vista, o le manette.
è quasi mezzanotte. Le doglie si fanno più vicine e dolorose. La donna è lì, inchiodata alla sua colpa, prigioniera, qualora mai volesse scappare. Immaginiamo che le levatrici attorno provino vergogna, ma siano impotenti contro la carceriera irremovibile e il suo tranquillo obiettare: è il regolamento. Doglie ancora, grida, spasimi di sofferenza. è una guerra il parto, una guerra al contrario, per fare vivere invece che per far morire. In questa guerra, la detenuta di Fleury-Merogis è un soldato umiliato, legato in mezzo alla battaglia.
Eppure trova la forza di combattere. Il bambino nasce. Lo traggono alla luce le mani della levatrice, lacera l’aria il primo pianto. Ecco, è l’istante che ripaga di tutto, quello che rende una donna regina: il bambino ancora bagnato, gli occhi socchiusi oppure già aperti e sbalorditi, appoggiato sul ventre, finalmente è passato ogni dolore, finalmente per la madre è la quiete. Quel bambino che incredibilmente vive, è un uomo, ed è uscito da te, e non può essere che l’abbia veramente “fatto” tu. Lì fra le tue braccia, lì da accarezzare con le tue mani.
Ma non per la prigioniera di mezzanotte. La sconosciuta nell’ospedale di Evry, allo scoccare del 2004, quel figlio non lo ha potuto abbracciare. Forse ha tentato, le è venuto istintivo, ma il suono metallico delle manette contro il letto l’ha richiamata alla realtà. Peggio, quel figlio non è stato abbracciato da sua madre appena nato, com’era giusto, come gli spettava. Di quell’abbraccio scritto da sempre, è stato derubato. «Credevo fosse il regolamento» avrà ripetuto ai suoi superiori, come è scoppiato il caso, la carceriera – ennesima replica di una genìa di idioti sapienti, di cervelli in appalto, che non si estingue mai. Bagarre sui giornali, l’opposizione di sinistra accusa il governo. Malafede, schiamazzi, berciare. Chissà invece quei due, i protagonisti di questa piccola storia ignobile, mentre a Parigi si brindava. Lei con il suo ricordo indelebile. Lui, che speriamo non sappia mai.
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