Norvegia. «È un miracolo. I bambini di Marius e Ruth torneranno a casa»

Di Benedetta Frigerio
08 Giugno 2016
Il caso di due genitori, accusati di essere «cristiani radicali», cui erano stati sottratti i cinque figli. Intervista al loro avvocato

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«Un miracolo. I bambini di Marius e Ruth Bodnariu torneranno a casa». A spiegare a tempi.it che cosa ha permesso ai coniugi rumeni di riabbracciare i cinque figli che erano stati loro sottratti a novembre dai servizi sociali norvegesi, che li avevano definiti «cristiani radicali», è Peter Costea, avvocato e presidente della Alliance for Romania’s Family. Costea in questi mesi ha letteralmente smosso mezzo mondo con iniziative legali, ma anche con veglie di preghiera, digiuni, petizioni, e pressioni politiche sul governo norvegese e sull’Unione Europea affinché il caso rimanesse sotto i riflettori internazionali.

[pubblicita_articolo allineam=”destra”]TROPPO RELIGIOSI. Tutto cominciò il 16 novembre dell’anno scorso, quando Marius e Ruth furono arrestati, interrogati e rilasciati, dopo che i servizi sociali avevano prelevato dalla scuola dell’infanzia ed elementare i loro quattro figli maggiori. Inizialmente inconsapevoli delle ragioni dell’accaduto, la coppia aveva scoperto solo alcuni giorni dopo che la loro colpa era quella di essere «cristiani radicali che stavano indottrinando i loro figli». A segnalare la famiglia allo Stato era stata la preside della scuola, vicina di casa di Marius e Ruth, che, in seguito a una lite tra le due figlie e alcuni compagni, aveva interrogato gli alunni. Le bambine avevano spiegato che il papà aveva provato a dare loro una sculacciata e questo era bastato a far scattare la denuncia, come da regolamento. «Tanto che la preside stessa – spiega Costea – aveva subito ammesso che Marius e Ruth “sono due genitori eccellenti”, ma che lei si doveva attenere alle norme, sebbene non avesse mai riscontrato problemi di rendimento o comportamento dei loro figli». Interrogata, la preside aveva spiegato che i coniugi erano «molto credenti», così «come gli zii e i nonni che credono in un Dio che punisce». Questo era bastato ad allontanare i quattro bambini da casa (in seguito anche il quintogenito neonato), sebbene fossero stati sottoposti a diversi esami medici da cui non era emerso alcun segno di abusi fisici. I piccoli avevano solo spiegato che, a volte, il papà li aveva sculacciati e che una volta aveva «scosso come un tappeto» il figlio minore perché si era aggrappato ai suoi occhiali. Informato, Marius aveva chiarito che «era semplicemente felice perché per la prima volta il figlio minore era riuscito ad afferrare qualcosa» e perciò gli aveva fatto festa. Il fratello di Marius, un pastore cristiano che ha fatto da portavoce alla famiglia, aveva commentato che «davvero i bambini possono essere manipolati e interrogati in modo tale da essere spinti a dire cose inesatte».

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APPELLI E PREGHIERE. Pochi giorni dopo, Ruth aveva ricevuto pressioni affinché denunciasse il marito in cambio del riaffidamento dei figli, ma la donna non aveva ceduto. «Abbiamo poi scoperto che bambini avevano scritto delle lettere mai consegnate ai loro genitori, in cui chiedevano di tornare a casa». Contattato dalla famiglia, Costea aveva poi sollevato la vicenda a livello internazionale: «Innanzitutto ho chiesto alle comunità cristiane rumene in tutto il mondo di pregare e digiunare. Poi abbiamo manifestato di fronte alle ambasciate norvegesi di oltre venticinque paesi».
Sempre dall’avvocato nacque l’idea di una petizione firmata da oltre 100 giuristi di tutto il mondo, perché «questo è un sistema crudele e non democratico, che lede la stessa Convenzione Onu sui diritti del bambino in cui si vieta la separazione dei genitori e dei figli a meno di abusi segnalati dalla magistratura. Mentre, in questo caso, l’allontanamento era avvenuto su richiesta dei servizi sociali».

L’ULTIMA UDIENZA. A febbraio il senatore romeno Titus Corlatean ha parlato in difesa della famiglia Bodnariu di fronte alla Commissione per l’uguaglianza e la non discriminazione del Consiglio europeo. Dopo oltre tre mesi, l’unica concessione ottenuta fu un breve incontro con i figli, in cui una delle bambine «non riusciva a smettere di parlare», mentre il quartogenito, di due anni, «avendo imparato qualche nuova parola, aveva molto da dire. Il piccolo Ezechiele era più felice che mai». Bambini e genitori avevano giocato, parlato, mangiato e pregato insieme. Finché, destando i sospetti di Marius e Ruth, una delle figlie aveva affermato che non voleva che i genitori morissero.
Da allora le visite erano diventate sporadiche e le speranze di una soluzione positiva erano andate scemando. Non così le azioni legali e le proteste, che erano continuate e tra maggio e aprile era stato organizzata dalle comunità cristiane romene di tutto il mondo una lunga maratona di «preghiere e digiuni».
L’ultima udienza si è conclusa venerdì 3 giugno «ed è accaduto il miracolo: giovedì il panel della giuria ha chiesto ai servizi sociali di patteggiare. Di fronte alla resistenza dei funzionari statali, il panel ha fatto capire che il caso sarebbe stato vinto dalla famiglia, motivo per cui i servizi sociali hanno ritirato le accuse piuttosto che perdere. I bambini torneranno preso a casa!».

ALTRI CASI. Costea definisce la vicenda «un miracolo, perché normalmente i servizi sociali norvegesi, una volta sottratti i figli alle famiglie, li fanno adottare da altre coppie, mentre i pochi bambini che tornano a casa, lo fanno dopo anni». In ogni caso, la causa del successo è la stessa che ha permesso a Marius e Ruth di non disperare in «giorni terribili: la vicinanza della comunità cristiana di tutto il mondo. La fede attiva di decine di migliaia di persone, le lettere ai servizi sociali e al primo ministro, le proteste anche quando tutto sembrava perduto e tutti i giornali nazionali, anche cristiani, si schieravano contro la famiglia».
Ora Marius, Ruth e migliaia di persone «stanno festeggiando l’arrivo imminente dei bambini», dando speranza a tante altre famiglie che in questi anni hanno subito situazioni simili, «denunciando ai leader dell’Unione Europea lo stesso modus operandi da parte dei servizi sociali norvegesi che riservano questo trattamento a molti residenti stranieri».

@frigeriobenedet

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2 commenti

  1. Iolanda

    “No, non credere mai all’imperatore, anche se il suo nome è società, anche se si chiama amore.”

  2. Susanna Rolli

    Non ci credo!, troppo bello! Cristianofobia: in aumento in tutto il mondo….; qualcuno se ne sarà accorto?

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