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Non c’è pace senza responsabilità

Per il teologo Alberto Frigerio nessuna legge antiomofobia eliminerà mai il problema dei transgender: l’urgenza di fare i conti col proprio corpo. Intervista

Pietro Piccinini
10/08/2020 - 0:26
Magazine
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Peformer sul palco di un festival drag queen a Hollywood

Articolo tratto dal numero di agosto 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.

Tra le realtà più preoccupate dall’invenzione del reato di omotransfobia e dalle sue conseguenze sulla libertà di espressione c’è ovviamente la Chiesa cattolica, da sempre critica verso ogni tentativo di “normalizzazione” dell’omosessualità e della transessualità. Proprio al “caso serio del transgenderismo” è dedicato un libro di prossima uscita (dicembre) per i tipi di Cantagalli. Si intitola Corpo e lógos nel processo identitario e lo firma Alberto Frigerio, sacerdote, medico e professore di Bioetica presso l’Istituto superiore di Scienze religiose di Milano.

Il volume, frutto del lungo e approfondito studio che ha portato Frigerio a ottenere il titolo di dottore in Teologia del matrimonio e della famiglia presso il Pontificio istituto Giovanni Paolo II, non ha intenti apologetici verso la morale sessuale cattolica né punitivi verso una condizione drammatica (nella netta critica a Judith Butler, per dire, Frigerio spende anche parole di apprezzamento verso alcune intuizioni della madrina delle teorie gender). Piuttosto, il libro scaturisce da un sincero fascino per quel grande enigma che è la sessualità umana, un mistero troppo importante per lasciare che sia inscatolato in qualche teoria arcobaleno.

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Copertina di Corpo e logos nel processo identitario, libro di Alberto Frigerio

La sua tesi, in estrema sintesi, è che il bene delle persone transgender non sia assecondare acriticamente i loro desideri e percezioni, bensì aiutarle a «riconoscere il rilievo ineliminabile della propria corporeità e farsene carico responsabilmente». Insiste molto sul concetto di responsabilità. Perché?

La sessualità umana è realtà complessa, in cui s’integrano il livello biologico del sex e quello psicologico, culturale e morale del gender e della sexual orientation. Mentre negli altri esseri viventi la sessualità è guidata da meccanismi biologici/istintuali, nell’essere umano è biologicamente data, psicologicamente elaborata e moralmente scelta. Come attestano il transgenderismo e l’omosessualità, identità di genere e orientamento sessuale non sono inevitabili estensioni del sesso biologico, e questo rende ragione del vivo dibattito che anima il discorso scientifico, psicologico, filosofico e politico. Tuttavia, come documenta la psicoanalisi di scuola freudiana e lacaniana (cfr G. Morel) e la filosofia di matrice fenomenologica e ermeneutica (cfr P. Ricoeur), l’identità è insieme evento originario e processo storico. Lo sviluppo identitario ha origine dal dato corporeo, che è costitutivo della persona e da sempre segna la psiche e istruisce il vissuto coscienziale. Il soggetto non può prescindere dal dato corporeo, ma deve risponderne, riconoscendolo come elemento strutturale di sé. Ne è la riprova il fatto che l’eventuale tentativo, operato dai soggetti transgender, di conciliare corpo e psiche per via ormonale-chirurgica è altamente dispendioso e problematico.

Al contrario, la cultura da cui nascono iniziative come le norme antiomofobia tende a rovesciare tutta la responsabilità dei disagi delle persone Lgbt sulla società (il famoso “stigma sociale”): è dunque la società che va cambiata, anche con la forza delle leggi se necessario. Lei però non è d’accordo.

I dati di letteratura attestano un alto tasso di disagio psichico (ansia, depressione, abuso di sostanze, tentato suicidio, suicidio) nelle minoranze sessuali, in specie nella popolazione transgender. Si veda, ad esempio, il report dell’Institute of Medicine (2011). Il social stress model riconduce tale disagio a motivi di ordine culturale, ossia a discriminazione, stigma e stress sociale. In realtà, come documenta il report su genere e orientamento sessuale della rivista The New Atlantis (2016), il tasso di disagio mentale si mantiene elevato anche nei contesti culturalmente e giuridicamente favorevoli alle istanze delle minoranze sessuali. Per questo, concludono gli autori dello studio, come è un disservizio alla popolazione non eterosessuale ignorare o minimizzare i rischi più elevati di esiti negativi di salute mentale che affronta, così è un disservizio attribuire erroneamente le cause di questi rischi elevati, o ignorare altri potenziali fattori che possono essere al lavoro.

La legge civile – come ricorda nel suo libro – ha anche un valore pedagogico. Pensa che il reato di omofobia alla lunga convincerà la Chiesa che il suo magistero è troppo duro verso i non eterosessuali?

La legge civile, oltre a essere permissiva o punitiva, è sempre anche espressiva, ossia sottende e veicola una certa visione delle cose. Per questo, nella pólis greca e nella civitas romana la legge civile era ritenuta elemento centrale per l’educazione dei cittadini. Lo stesso dicasi per la tradizione giudeo-cristiana, come mostra in modo emblematico la visione paolina, secondo cui la Legge è pedagogo (Gal 3,24), istruzione sul cammino. L’importanza della legge civile, che recepisce e al contempo produce mentalità, è ben compresa dai teorici della teoria del genere, come documenta la riflessione di Judith Butler, secondo cui il compito politico delle minoranze sessuali è sovvertire il discorso eterosessuale e promuovere nuove forme di sessualità, anche tramite la rivendicazione e introduzione dei cosiddetti diritti sessuali: same-sex marriage, procreazione assistita, maternità surrogata, manipolazione della corporeità. Questi favoriscono la progressiva erosione di certezze antiche, da cui non è esente l’indagine teologica, in particolare di area germanofona.

Per parte mia, ritengo che il magistero ecclesiale, secondo cui l’esercizio della sessualità è vissuto con piena dignità nella famiglia fondata sul matrimonio, intesa come legame sociale che unisce le differenze originarie e fondanti l’umano (generi, generazioni, stirpi), tuteli il bene delle persone e della società. È quanto attestano la ricerca di S. Girgis, R. T. Anderson e R. P. George, confluita nel testo What Is Marriage? (2012), e le indagini della scuola di psicologia sociale dell’Università Cattolica di Milano e di sociologia relazionale dell’Università di Bologna, secondo cui la famiglia, quale unione socialmente approvata di un uomo, una donna e la prole, è luogo insostituibile di umanizzazione e di edificazione sociale, mentre altre forme di unione presentano salute e sicurezza emotiva, risultati formativi e lavorativi, comportamento e sviluppo sessuale problematici. La solidità dell’insegnamento del magistero chiede alla teologia non già di metterlo in discussione, ma di custodirlo con gratitudine e approfondirlo con intelligenza.

Benché supportate da un solido apparato scientifico e filosofico, le sue tesi sono controcorrente (vedi la contrarietà agli interventi di rettificazione sessuale). Pensa di rischiare l’accusa di omotransfobia?

In effetti, come ha scritto la saggista Mary Eberstadt nel testo It’s Dangerous to Believe (2016), nel mondo occidentale è in corso una sorta di persecuzione soft, che squalifica socialmente quanti dissentono dal dogma secolarista promosso dalla rivoluzione sessuale, che prospetta l’emancipazione radicale dai tradizionali codici di comportamento in materia di sessualità. D’altra parte, in una società che si dice liberale, mi auguro che non si taccia la voce di quanti avanzano posizioni difformi dalla maggioranza, tanto più se radicate in un’indagine scientifica, psicologica e filosofica fondata e motivata, per quanto perfettibile essa sia. Inoltre, nell’odierna società plurale auspico che si faccia strada un’adeguata forma di laicità, in cui le diverse tradizioni, anche religiose, siano libere di offrire il proprio patrimonio sapienziale, come evocano alcuni tra i più autorevoli filosofi politici della seconda modernità: Paul Ricoeur, John Rawls e Jürgen Habermas.

È la prima volta che si tenta di introdurre un reato di opinione riguardo a un tema così aperto e dibattuto. Perché pretendere unanimità assoluta sulla questione più personale e relativa che c’è?

Il tentativo di imporre una visione de-naturalizzata della sessualità si registra nell’ingresso del pensiero gender nel sistema scolastico, già denunciato dalla femminista lesbica Camille Paglia nel saggio Gay Ideology in Public School (2018), e rilevato dal documento della Congregazione per l’Educazione cattolica Maschio e femmina li creò (2019). A mio parere, il motivo di questo tentativo di livellamento va rinvenuto nella visione sottesa ai così detti nuovi diritti, relativi all’ambito bioetico e delle nuove tecnologie: diritto alla salute riproduttiva (aborto, contraccezione), a nascere sano e avere un figlio sano (eugenetica), alla buona morte (eutanasia), diritti sessuali. Questi incarnano la concezione odierna della persona come pura iniziativa, che si auto-determina, pertanto, chiunque vi si opponga è percepito come ostacolo alla realizzazione personale. In realtà, la libertà umana non è assoluta, ma correlata all’alterità, che assume la figura della corporeità, dell’altro sessualmente differente e degli altri che sono la comunità. La persona non si realizza nell’auto-costruzione, ma nel vivere bene i rapporti costitutivi della vita, rispettando la propria natura relazionale.

Foto Ansa

Tags: alberto frigerioddl ZanIdeologia Genderjudith butlerlgbtOmofobiatempi agosto 2020
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